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(ACR) Il tarantismo, un fenomeno anche lucano
15 luglio 2010
(ACR) - Secondo la tradizione popolare il tarantismo o tarantolismo è un fenomeno isterico-convulsivo. In base a credenze ampiamente diffuse, nell’antichità nell'area mediterranea ed in epoca più recente nell'Italia meridionale, sarebbe provocato dal morso di alcuni ragni, della tarantola appunto. Il quadro psico-patologico è caratterizzato da una condizione di malessere generale e da una sintomatologia psichiatrica vagamente assimilabile all'epilessia o all'isteria. I sintomi sarebbero, in particolare, l’offuscamento dello stato di coscienza e delle turbe emotive, nonché dolori addominali, stato di catalessi, sudorazioni e palpitazioni. I ragni implicati nel fenomeno del tarantismo erano essenzialmente due, la malmignatta (Latrodectus tredecimguttatus), dal morso quasi indolore ma molto pericoloso, causa di latrodectismo, e la tarantola (Lycosa tarentula), dall’aspetto vistoso e dal morso doloroso ma praticamente innocuo.
Il fenomeno del tarantismo è comunque iscritto in un sistema ideologico complesso e antico, presente sino a pochi decenni fa in Spagna e in diverse regioni dell'Italia meridionale, particolarmente in Puglia e in Basilicata ( nella provincia materana), forse estinto nelle sue forme storicamente riportate e comunque non più attestato da molti anni. In tali contesti, l'evento del manifestarsi dei "sintomi" del tarantismo in un soggetto (di frequente giovani nubili donne in età da matrimonio, ed in periodo estivo) trovava risposta nella partecipazione di un gruppo di persone ad un complesso rito terapeutico domiciliare nel quale, avvalendosi di uno specifico apparato ritmico, musicale, coreutico e cromatico, oltre che di oggetti e ambientazioni rituali, si riusciva a ristabilire la guarigione e la reintegrazione della persona sofferente. Ciclicamente ogni anno, generalmente all'inizio dell'estate e per molti anni di seguito sino a guarigione completa, il soggetto veniva colto da una specifica forma di grave malessere interiore ed esteriore che poteva essere curata, anche se solo pro-anno, mediante questo complesso rito.
Coloro i quali partecipavano a questo sistema ideologico definivano "tarantata" la persona sofferente, nella convinzione che il male derivasse dal morso velenoso della "taranta", animale simbolico e non zoologicamente identificabile con alcuna specie di aracnide o rettile realmente esistente, così come ha chiarito, nel 1959, l'etnologo Ernesto de Martino nella famosissima monografia etnografica "La Terra del Rimorso", testo fondamentale per inquadrare correttamente tale fenomeno culturale e religioso. Il tarantismo è un fenomeno con il quale hanno dovuto confrontarsi, nel corso dei secoli, senza peraltro poterlo mai compiutamente spiegare, tutte le diverse scuole di pensiero che hanno caratterizzato lo sviluppo della cultura umana e tutte le diverse branche del sapere: etnologia, psicologia, storia delle religioni, mitologia, estetica, medicina, antropologia culturale, etnomusicologia, zoologia, psichiatria e quant'altro. I tentativi di comprensione del complesso fenomeno non possono comunque prescindere da un approccio fortemente multidisciplinare, che non si esaurisca in una analisi medico-diagnostica che individua il carattere psicopatologico, né che etichetti semplicemente il tarantismo come un frutto dell'ignoranza e della credulità popolare.
Secondo la leggenda, la tarantola con il suo morso provocherebbe, dunque, crisi isteriche. La tradizione popolare ritiene che alcuni musicanti fossero in grado, con la musica, di guarire o almeno lenire, lo stato di "pizzicata". Attraverso una suonata, che poteva durare anche giorni, cercavano di trovare la combinazione di vibrazioni con le note dei loro strumenti. Ne venivano utilizzati diversi, e, in particolare, il ‘tamburello’. I musicisti avevano a disposizione dodici composizioni e suonavano fino ad identificare quella adatta alla tarantata in questione. È opinione comune che la tarantata assumesse il carattere del ragno da cui era stata morsa e i musicisti si trovavano così a fronteggiare possessioni quasi demoniache e dovevano faticare non poco per portare a compimento il rituale. L’esorcismo poteva durare diverse ore! Non a caso, il tratto distintivo di un suonatore terapeutico di tamburo erano le macchie di sangue sul suo strumento musicale: suonando freneticamente e per ore si procuravano grandi ferite sulle mani; queste macchie erano un orgoglio per i tamburellisti poiché erano il segno che con la loro musica avevano liberato la donna dalla malefica possessione del ragno.
Ancora oggi sono diffuse espressioni scherzose o di rimprovero del tipo "Ti ha morso la tarantola? " rivolte, soprattutto, a bambini vivaci o persone particolarmente irrequiete ma che nulla hanno a che fare con il rito di vero e proprio esorcismo musicale e coreutico legato al fenomeno del tarantismo. Il tarantismo si connotò come fenomeno storico - religioso che caratterizzò l'Italia meridionale fin dal Medioevo; visse un periodo felice fino al XVIII secolo, per, poi, subire nel XIX secolo, un lento ed inesorabile declino. Le vittime più frequenti del tarantismo erano le donne, in quanto durante la stagione della mietitura, le raccoglitrici di grano erano maggiormente esposte al rischio di essere morsicate da questo fantomatico ragno, poiché operavano nel loro habitat naturale. Attraverso la musica e la danza era però possibile dare guarigione ai tarantati, realizzando un vero e proprio esorcismo a carattere musicale. Ogni volta che un tarantato esibiva i sintomi associati al tarantismo, dei suonatori di tamburello, violino, organetto, armonica a bocca ed altri strumenti musicali, andavano nell'abitazione del tarantato oppure nella piazza principale del paese. I musicisti cominciavano a suonare la pizzica, una musica dal ritmo sfrenato, e il tarantato cominciava a danzare e cantare per lunghe ore sino allo sfinimento. La credenza voleva infatti, che mentre si consumavano le proprie energie nella danza, anche la taranta si consumasse e soffrisse sino ad essere annientata.
Alla leggenda popolare può essere in realtà legata anche una spiegazione strettamente scientifica: il ballo convulso, accelerando il battito cardiaco e stimolando il rilascio di endorfine, favorisce l'eliminazione del veleno e contribuisce ad alleviare il dolore provocato dal morso del ragno e di simili insetti. Non è quindi da escludere che il ballo venisse utilizzato originariamente come vero e proprio rimedio medico, a cui solo in seguito sono stati aggiunti connotati religiosi ed esoterici. Quando la persona afflitta dal morso si riteneva guarita, si usava fare un corteo, chiamato tarantolesco: si tornava accompagnati dai musicisti sul posto dove la persona riteneva di essere stata pizzicata e lì compiva l'ultimo ballo per quell'anno.
La musica è l’elemento più importante della terapia; infatti, la tarantata, che giaceva al suolo o sul letto, ascoltandola cominciava a muovere la testa e le gambe, strisciava sul dorso, sembrava impossibilitata a stare in piedi e quindi si manteneva aderente al suolo, identificandosi con la taranta. Successivamente batteva i piedi a tempo di musica come per schiacciare il ragno, compiva svariati giri e movimenti acrobatici, finché, stremata dagli sforzi, crollava a terra. La tarantata si diceva, così, graziata da S. Paolo, veniva condotta presso la cappella del Santo, a Galatina (Lecce), beveva l’acqua sacra del pozzo adiacente ad essa e ripeteva simbolicamente un breve rito coreutico. La figura di S. Paolo all’interno del tarantismo è legata anche alla leggenda che narra come S. Paolo un giorno, durante le sue predicazioni in Giudea, si vide circondato da serpi, vipere e bisce, raccolte dai giudei per spaventarlo e per costringerlo a non far sentire la voce di Gesù. Ma S. Paolo, con un segno di croce, fece scappare le brutte bestie che vennero schiacciate dal popolo.
Come spesso accade per i rituali a carattere magico e superstizioso, anche a questa tradizione si cercò di dare una "giustificazione" cristiana: così si spiega il ruolo di San Paolo, ritenuto il santo protettore di coloro che sono stati "pizzicati" da un animale velenoso, capace di guarire per effetto della sua grazia. La scelta del santo non è casuale poiché una tradizione vuole che egli sia sopravvissuto al veleno di un serpente nell'isola di Malta. La leggenda racconta anche che Paolo, durante uno dei suoi viaggi di evangelizzazione, sia giunto a Galatina e qui sia stato ospitato da un pio galatinese nella propria casa, ribattezzata in seguito “ Casa di San Paolo”. L’apostolo, riconoscente per l’ospitalità ricevuta, dette all’uomo e ai suoi discendenti la facoltà di guarire coloro i quali fossero stati morsicati da animali velenosi: sarebbe stato necessario tracciare il segno di croce sulla ferita e far bere l’acqua del pozzo che si trovava nella casa. Concesse, inoltre, agli abitanti l’immunità dal veleno dei serpenti e di ogni altro animale dal morso nocivo. La chiesa di san Paolo edificata nei pressi del pozzo miracoloso divenne meta di pellegrinaggi da parte di quanti, soprattutto donne, durante i lavori nei campi erano morse da ragni e serpenti velenosi. Il tentativo di cristianizzazione del tarantismo non riuscì però completamente. Infatti, durante lo stato di trance le donne tarantate esibivano dei comportamenti di natura considerata oscena, ad esempio mimando rapporti sessuali oppure orinando sugli altari. Per questi motivi la chiesa di San Paolo di Galatina, dove i tarantati venivano condotti a bere l'acqua sacra del pozzo della cappella, venne sconsacrata e San Paolo da santo protettore degli avvelenati cominciò ad essere ricordato come il santo della sessualità.
Il fenomeno del tarantismo si è andato progressivamente estinguendo, ed è sopravvissuto esclusivamente in determinate zone del Salento e nella provincia lucana. Era diffuso nelle province di Lecce, Brindisi, Taranto e nel sud barese ma anche nella provincia di Matera. Per quanto riguarda l'alto Salento, pare che il culto di San Paolo non fosse molto diffuso, ma il tarantismo aveva conservato maggiormente il carattere pagano. Il rituale del tarantismo coniuga alcuni elementi del paganesimo, caratteristici delle società antiche, ad elementi della religione cattolica. L'esorcismo inizia quando il tarantato avverte i primi sintomi del tarantismo e chiede che vengano i musicisti a suonare la pizzica. Al suono della musica il tarantato comincia a scatenarsi in una danza sfrenata che in questa fase del rito serve a determinare da quale tipo di taranta è stato avvelenato (ad esempio, si distinguono la "taranta libertina", la "taranta triste e muta", la "taranta tempestosa", la "taranta d'acqua").
La taranta poteva essere anche identificata con i serpenti o gli scorpioni. Dopo questa fase che si potrebbe definire "diagnostica" comincia una fase "cromatica", in cui il tarantato viene attratto dai vestiti delle persone da cui è circondato (spesso dei fazzoletti), il cui colore dovrebbe corrispondere al colore della taranta che ha iniettato il veleno. Tale attrazione viene manifestata a volte in modo violento ed aggressivo. Il perimetro rituale non era solo circondato da fazzoletti colorati, ma anche da oggetti richiesti esclusivamente dalla persona tarantata, che potevano essere tini ricolmi d'acqua, vasi di erbe aromatiche, funi, sedie, scale, spade e altro. Inizia quindi una fase "coreutica" in cui il tarantato evidenzia dei sintomi di possessione che può essere di natura epilettoide, depressiva- malinconica oppure pseudo- stuprosa. Durante questa fase l'ammalato si abbandona a convulsioni, assume delle posture particolari in cui si isola dall'ambiente circostante e può assumere atteggiamenti con cui si identifica con la taranta stessa. Il rituale finisce quando il tarantato calpesta simbolicamente la taranta per sottolineare sia la sua guarigione dalla malattia che la vittoria sull’animale.
La tradizione del tarantismo è in qualche modo sopravvissuta sino ai nostri giorni con la messa-esorcismo del 29 giugno nella chiesa di San Paolo di Galatina.
Tuttavia, sono andati progressivamente scomparendo i momenti di partecipazione collettiva e diminuisce sempre di più il numero di persone che si recano alla chiesa per dare luogo al rituale. Il contesto in cui avviene l'esorcismo del resto è radicalmente cambiato: non più la comunità contadina riunita a condividere la stessa esperienza culturale ma solo una folla di curiosi e visitatori lontani dall'atmosfera culturale del rito. Negli ultimi anni ha preso piede la rappresentazione teatralizzata e rievocativa della danza delle tarantate, da parte di alcuni gruppi musicali e associazioni culturali. Negli anni 1990 e 2000 tradizioni musicali appartenenti al genere della tarantella, in particolare la pizzica, sono tornate alla ribalta ottenendo un grande seguito. Tale riutilizzo di antichi tratti culturali inseriti in contesti completamente differenti e con significati profondamente mutati è un classico esempio di "revival folklorico", fortunata definizione dell'antropologo Tullio Seppilli. Grazie a questa riproposta culturale, il fenomeno del tarantismo ha raggiunto un vasto pubblico anche fuori dai confini del Salento e della Basilicata. Per gli appassionati di musica popolare il nome di Tricarico richiama subito la notorietà del gruppo de "I tarantolati di Tricarico", formazione di musica progressiva e di contaminazione, come si direbbe oggi, che faceva sin dal 1977 della musica popolare materana un radicale riadattamento per mediare con i gusti giovanili dell'epoca: abbondanza e persino esasperazione della componente ritmica, riferimento al tarantismo che solo in pochi allora fiutavano come apporto di grande spessore magico- simbolico e, infine, il coraggio di proporre repertori di una regione nota solo agli etnomusicologi e ai demologi.
Il rito del tarantismo è un rito antichissimo, che da secoli attira la curiosità di medici, antropologi e psicologi. Troviamo un accenno nel “Sertum” di Guglielmo Marra da Padova del 1362, che riporta la tradizione popolare per la quale la tarantola mordendo le sue vittime produce un canto. E il tarantato trae indiscusso giovamento dall’ascoltare una melodia concorde con quella della tarantola. Poco dopo, a metà del ‘400, Johannes Tinctoris, uno dei maggiori teorici della musica, interessandosi alle possibili funzioni della musica, individua, fra le tante, quella di “risanare gli ammalati”. Anche l’alchimista e filosofo tedesco H. Cornelius Agrippa nel “De Occulta Philosophia” (1533) al capitolo XXXIV in cui tratta “Dell’armonia musicale, delle sue forze e del suo potere” dimostra di conoscere il fenomeno del Tarantismo: “Si trova anche scritto che coloro i quali siano stati morsicati dalla tarantola in Puglia cadano in sopore, dal quale vengono tratti mercé determinati suoni che li spingono a ballare in cadenza”. “Genuit hic natura arachenum animal nocentissimum…” "La natura ha generato (nel Salento) un animale dannosissimo, un ragno, il cui veleno viene espulso al suono di flauti e tamburi”; così scrive nel 1513 il medico umanista Antonio De Ferrariis in una sua epistola. Questo rito è stato veramente molto studiato; il migliore e più dettagliato studio rimane quello compiuto da Ernesto De Martino nel 1959. Con uno psicologo, un etnomusicologo, uno psichiatra ed un sociologo, egli analizzò il fenomeno del tarantismo da un punto di vista storico, culturale e religioso. In quest’opera, De Martino definì il tarantismo un “male culturale”, cogliendo nei momenti della terapia il ricorso ad uno schema tramandato nelle comunità, escludendo reali fenomeni di aracnidismo, peraltro rarissimi. Secondo lo studioso, il tarantismo è una specie di isteria, un “male sociale”, legata alle precarie condizioni socio – economiche di vita dei contadini del passato; il morso del ragno altro non è se non il simbolo di tutto ciò che costituisce trauma o frustrazione psichica, economica, sociale o sessuale. Non a caso ad essere "pizzicate" erano per lo più le donne, emarginate tra gli emarginati, che durante l'estasi o il tormento del veleno, si potevano permettere di tutto, anche di mimare amplessi in pubblico. Per una donna, la taranta era spesso l’unica via d’uscita da uno stato nevrotico e sociale o da forme di depressione individuale e l’unico modo per essere integrate nella comunità. Secondo De Martino, quindi, la "tarantata" non è stata morsa da nessun animale. Questo culto del tarantismo, era legato all'icona del ragno poiché esso è il simbolo della Madre Terra che riaffiora con i suoi istinti primordiali implacabili, con la forza di riti pagani antichissimi che il Cristianesimo ha cercato di mitigare riportandoli alla ragione, nel grembo di Santa Madre Chiesa (da qui la connessione con San Paolo). All'origine ci sono quindi la terra e la taranta, il tamburello e la sua musica primordiale e un repertorio di ricordi ancestrali che ognuno di noi si porta dentro e che riaffiorano periodicamente.
Dagli studi di Ernesto De Martino, nel 1959, si evince che, ad alcuni sporadici casi di reale morso della taranta corrisponde una netta maggioranza di casi in cui il morso diventa un pretesto per risolvere traumi, frustrazioni, conflitti familiari, e vicende personali: un amore infelice, la perdita di una persona cara, le crisi legate alla pubertà e condizioni socio-economiche difficili. Il fenomeno del tarantismo oggi è pressoché scomparso nella sua forma originaria, o si pensa che si sia modificato in altri aspetti, essendo radicalmente mutate le componenti psicologiche, sociali, culturali, economiche e religiose che ne costituivano la base. Probabilmente sarà difficile scrivere un giorno la parola fine sul mistero che fa da sfondo al fenomeno del tarantismo, ma la sfida è aperta e forse le varie e moderne rievocazioni potranno aiutare, ma solo se supportate da una conoscenza storica approfondita. (M.A.V.)
Fonti:
- Eugenio Imbriani, “Le piume di Erodoto, ovvero l’antropologia e la neve” ( 1998)
- Guglielmo Marra da Padova, “Sertum”,( 1362)
- H. Cornelius Agrippa, “De Occulta Philosophia” (1533)
- Ernesto de Martino “La Terra del Rimorso”, (1959)
- www.taranta.it
- www.tarantolatiditricarico.it