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(ACR) Al via anche in Basilicata l'aborto farmacologico

15 febbraio 2010

(ACR) - Anche in Basilicata è possibile praticare l’aborto farmacologico, in alternativa a quello chirurgico: la pillola abortiva RU 486, infatti, è ora legale e disponibile in tutti gli ospedali d’Italia.

L’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) aveva già autorizzato la vendita della pillola nel luglio scorso, ma a novembre, al termine di un’indagine conoscitiva sul farmaco, la Commissione Sanità del Senato ha approvato un documento che chiedeva al Governo il blocco della sua commercializzazione in attesa del parere tecnico del Ministero della Salute. Parere che, formulato poco dopo, ha vincolato la somministrazione della pillola al ricovero ordinario in ospedale, perché fosse compatibile con la 194, la legge sull’aborto. A conclusione del lungo iter parlamentare, la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 9 dicembre rende operativa l’autorizzazione dell’Aifa del luglio 2009. Ma si stima che la pillola sarà effettivamente presente in tutti gli ospedali italiani a partire dal mese di febbraio 2010. Nonostante il farmaco sia utilizzato nel resto del mondo già da venti anni (in Francia, ad esempio, è
commercializzato dal lontano 1988), in Italia ha trovato fortissime resistenze dalla componente cattolica in Parlamento, preoccupata che l’aborto farmacologico potesse avvenire anche fuori dai presidi sanitari, risultando così difficilmente controllabile.

Ma la legge italiana, in proposito, non ammette eccezioni: l’interruzione volontaria di gravidanza (IVG) deve avvenire in ospedale entro la settima settimana, e la donna deve essere seguita da un medico fino all’avvenuto aborto. In particolare, sulla delibera dell’Aifa si legge che alla donna “deve essere garantito il ricovero in una struttura sanitaria dal momento dell’assunzione del farmaco fino alla certezza dell’avvenuta interruzione della gravidanza escludendo la possibilità che si verifichino successivi effetti teratogeni”, sotto stretta sorveglianza del personale sanitario “cui è demandata la corretta informazione sul trattamento, sui farmaci da associare, sulle metodiche alternative disponibili e sui possibili rischi, nonché l’attento monitoraggio del percorso abortivo onde ridurre al minimo le reazioni avverse, quali emorragie, infezioni ed eventi fatali”. Ma vediamo dal punto di vista scientifico a cosa ci riferiamo quando parliamo di “pillola abortiva”.

Cos’è e come funziona

L’RU 486 è un farmaco utilizzato nell’IVG, in associazione con le prostaglandine.
La sua scoperta risale al 1980 in Francia, quando Étienne-Émile Baulieu, lavorando per i laboratori Roussel-Uclaf su derivati del progesterone, scoprì un potente anti-progestinico, il mifepristone, in grado di interrompere la gravidanza già iniziata con l’attecchimento dell’ovulo fecondato. Baulieu chiamò inizialmente la molecola con l’acronimo della casa farmaceutica, seguito da un numero di serie (RU-38486). Fu così che prese piede la sperimentazione della pillola come alternativa all’aborto classico per aspirazione.
“Per capire bene di cosa si tratta - spiega il dottor Sergio Schettini, direttore dell’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San Carlo di Potenza - bisogna partire dal concetto che in natura esiste il progesterone, un ormone fondamentale nelle prime fasi della gravidanza. L’RU 486, o mifepristone, è un anti-progesterone, ossia un ormone che blocca i recettori progestinici inibendo lo sviluppo embrionale e causando, di conseguenza, l’eliminazione e la fuoriuscita dell’ovulo fecondato”.

“Venti anni fa in Francia, dove ho lavorato insieme a Baulieu - continua Schettini - negli studi pre-clinici fatti avevamo visto che da solo l’RU 486 dava un tasso di espulsione dell’embrione pari all’80 per cento. Il che significava che esponevamo 20 donne su 100 al rischio di un aborto incompleto. Ecco perché al mifepristone abbiamo poi aggiunto la prostaglandina, un altro farmaco, molto usato in gastroenterologia, come gastro-protettivo. L’associazione sinergica delle due sostanze consente oggi di raggiungere tassi di riuscita dell’espulsione fino al 98%, permettendo di evitare il ricorso all’intervento chirurgico”.

Ma come agiscono, nello specifico, le due sostanze? Se il mifepristone blocca i recettori del progesterone, riducendo la possibilità che una gravidanza possa andare avanti fino ad interromperla, “la prostaglandina - conclude il direttore - determina la contrattività del corpo dell’utero e la dilatazione del collo, favorendo quindi la fuoriuscita della mucosa uterina”.

Il protocollo

L’utilizzo del farmaco per l’aborto chimico è limitato entro la settima settimana di gestazione, anziché la nona, come avviene invece in gran parte d’Europa. Questo per garantire una maggiore sicurezza ed efficacia della pillola. Dai rapporti periodici dell’EMEA (Agenzia Europea per i Medicinali), infatti, sono emerse alcune complicazioni legate all’assunzione dell’RU 486 tra la settima e la nona settimana di gravidanza: alcune pazienti presentavano contrazioni espulsive più dolorose, e si sono verificati casi di insuccesso abortivo che hanno imposto il ricorso all’integrazione con la metodica chirurgica. Il protocollo oggi prevede la somministrazione da una a tre compresse (200-600 mg.) di mifepristone (Mifegyne, la vera e propria RU 486) il primo giorno, e di una o due compresse (200-400 mg.) di prostaglandina il terzo giorno, a seconda dell’avanzamento della gravidanza. Dopo due settimane la donna effettua una visita di controllo, e soltanto nel 2 per cento dei casi l’aborto non è avvenuto, per cui si ricorre all’operazione.

La legge 194 prevede il regime di ricovero per la paziente, fino all’avvenuto aborto. Questo principio ostacola in realtà la corretta applicazione della legge, perché significa un aggravio di costi inutili per l’Azienda sanitaria. La legge, negli articoli 8 e 15, lascia alle Regioni la definizione del corretto percorso di utilizzo clinico del farmaco all’interno del proprio servizio ospedaliero pubblico. Secondo Schettini “la Regione deve lasciare al medico che effettua l’interruzione volontaria di gravidanza l’autonomia della decisione ‘caso per caso’. È il medico che deve valutare e decidere il percorso più adatto ad ogni donna, nel rispetto e nella tutela della sua salute”. Per quel che riguarda l’aborto chirurgico, spiega il direttore dell’U.O. di Ostetricia e Ginecologia, “una paziente che decide di interrompere la gravidanza viene una volta in ospedale al San Carlo, esegue colloquio ed esame ecografico, viene una seconda volta, interrompe la gravidanza chirurgicamente e dopo qualche ora torna a casa. Si chiama ‘dimissione protetta’, dove noi medici ci assumiamo la responsabilità di mandare la donna a casa, dopo averle spiegato a cosa va incontro nei giorni successivi”. Prosegue: “nel caso dell’aborto farmacologico, è ancora più inutile trattenere la paziente sotto osservazione per tre giorni, come prescrive la legge, in un reparto che, tra l’altro, risulterebbe psicologicamente un ghetto per la donna che decide di abortire, circondata da neo-mamme, parenti, visite, fiori e quant’altro. E sarebbe uno spreco in termini di costo per l’azienda sanitaria”. E aggiunge: “la forma più intelligente per la salute psichica della paziente e per le casse dello Stato è quella che noi applichiamo, cioè la dimissione protetta dove la donna, una volta effettuata l’operazione o assunta la pillola, torna a casa e si ripresenta solo per il controllo. Parliamoci chiaro, se io obbligo la donna a restare ricoverata tre giorni in ospedale significa che non voglio far partire realmente l’RU 486. Perché se le condizioni sono quelle dettate dalla legge, del regime di ricovero ordinario, sfido io qualsiasi donna a scegliere l’assunzione dell’RU 486. Tutte preferirebbero l’operazione chirurgica, dato che dopo poche ore possono lasciare l’ospedale”. E’ necessario, dunque, che la paziente assuma le compresse in presenza di personale medico del servizio ostetrico-ginecologico, ma nell’intervallo tra il primo e il terzo giorno, nulla vieta alla donna – consapevole dei sintomi che potrà accusare – di rientrare a casa. Anzi, a parere di Schettini è la soluzione migliore.

Metodo chirurgico e farmacologico a confronto

Entrambi i metodi sono efficaci e sicuri. In rari casi il medico deve sconsigliare l’uno o l’altro per ragioni legate alla salute della donna coinvolta. Esistono però delle differenze riguardanti il periodo entro il quale la donna deve decidersi e anche riguardante la percezione dei due metodi. L’interruzione farmacologica si offre per le donne che sono giunte rapidamente alla chiara decisione di interrompere la gravidanza, entro la settima settimana di gravidanza, oltre il quale è comunque possibile eseguire l’interruzione chirurgicamente. L’intervento, per aspirazione, viene effettuato in ospedale o presso uno studio medico autorizzato sia come ambulante (dopo poche ore si torna a casa) sia come degente (si resta anche la notte) fino alla quattordicesima settimana di gestazione. L’operazione avviene sotto narcosi e dura all’incirca quindici minuti. Le complicazioni che possono verificarsi includono eventuali lacerazioni del collo dell’utero e perforazioni della parete uterina durante l’aspirazione, rischio di infezioni e forti perdite di sangue.

“L’aborto farmacologico risulta per la donna in un certo senso più ‘naturale’ perché è quasi come un aborto spontaneo - dice Schettini - ciò non significa che è un fatto positivo, ma ha sicuramente un impatto emotivo diverso. Poi non richiede né intervento né anestesia, non presenta tutti quei rischi connessi all’intervento chirurgico (traumi dell’utero, possibilità che si sviluppi una gravidanza extra-uterina, sterilità); e permette dunque l’interruzione volontaria di gravidanza in tutti quei casi in cui l’aborto chirurgico non può essere praticato”. D’altro canto, però, richiede un periodo più lungo di trattamento (tre giorni) e, in caso di riuscita negativa, si deve comunque ricorrere all’aspirazione. Entrambi i metodi, infine, comportano gli stessi effetti secondari: dolori addominali, perdite di sangue (più abbondanti nel caso dell’aborto chimico), diarrea e nausea (causata dalla narcosi o dalla prostaglandina).

In Francia, venti anni fa, il farmaco veniva già utilizzato, come testimonia l’esperienza del dottor Schettini. In Italia, invece, c’è sempre tanta difficoltà a favorire il progresso della medicina, soprattutto, quando la sperimentazione tocca temi considerati etici. Ma al di là di qualsiasi considerazione di carattere etico-politico e ideologico, bisogna prendere atto che esiste una legge, la 194, che permette in Italia l’interruzione volontaria di gravidanza, non come “mezzo per il controllo delle nascite”, ma come scelta individuale consapevole della donna, e come soluzione a circostanze per le quali il parto o la maternità comporterebbero “un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”.

L’adozione della pillola abortiva significa esemplificare ulteriormente l’iter pre e post-abortivo da seguire, e risulta senza dubbio meno ‘invasiva’ dal punto di vista tecnico (per il medico che esegue l’IVG) e psicologico (per la paziente che decide di abortire). “A me interessa facilitare in tutti i modi possibili ciò che una legge dello Stato garantisce da tempo - conclude Schettini - al di là di ogni inutile demagogia. Se l’RU 486 consente questo, e lo fa, bisognerebbe che lo Stato e i politici dicessero ‘ben venga la possibilità di utilizzarla’, se l’obiettivo è tutelare la salute della donna, e se non lo si fa pesare troppo sulle casse dello Stato”. (F.R.)

Fonti:

  • Intervista al dottor Sergio Schettini, direttore dell’Unità Operativa di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale San Carlo di Potenza
  • Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco n. 120 del 30 luglio 2009, “RU 486: CdA delibera autorizzazione alla commercializzazione”
  • Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco n. 123 del 22 settembre 2009, “RU 486, Aifa pronta a fornire chiarimenti al Senato”
  • Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco n. 130 del 19 ottobre 2009, “RU 486: decisioni CdA”
  • Comunicato stampa dell’Agenzia Italiana del Farmaco n. 137 del 2 dicembre 2009, “CdA AIFA: pienamente coerente con indicazioni Ministro Sacconi. Delibera assunta 30 luglio scorso”
  • Gazzetta Ufficiale - Serie Generale n. 286 del 9 dicembre 2009, “Autorizzazione all’immissione in commercio del medicinale per uso umano ‘Mifegyne’”
  • Testo della Legge n. 194 del 22 maggio 1978, “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”
  • http://it.wikipedia.org/wiki/Mifepristone
  • http://salute.aduc.it/info/ru486.php.



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