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TRA POESIA E REALTA'

25 febbraio 2003

Il simbolismo dell’ultima stagione pirandelliana

© 2013 - igigantidellamontagna.jpg

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(ACR) - I Giganti della montagna, l'opera incompiuta di Luigi Pirandello e alla quale il figlio Stefano, basandosi sugli appunti del padre, cercò di scrivere il finale, si può considerare a tutti gli effetti il testamento spirituale dell'artista. Fulcro del dramma il dualismo tra arte e vita pratica, tra poesia e realtà. Un testo difficile, oscuro, enigmatico appartenente al Pirandello surrealista, che risente fortemente dell'influenza del mito. La storia è ironica e al tempo stesso drammatica: gli Scalognati si sono ritirati in una villa abbandonata e vivono come straccioni, illudendosi di essere quello che non sono sotto la guida di Cotrone, il quale scoperte le sue capacità "sciamaniche" ha dovuto abbandonare il mondo e rifugiarsi in un luogo isolato per poterle estrinsecare. In questo luogo, che è al di fuori del tempo e del mondo, arriva la Compagnia della Contessa Ilse, la quale abbandonati gli agi, è partita perché vuole mettere in scena "La favola del figlio cambiato", testo di un poeta morto suicida per amore. Da un lato, quindi, la figura del mago Cotrone per il quale l'arte può vivere solo nei sogni e nella fantasia, dall'altro la contessa Ilse che gira per il mondo con la sua compagnia perché non vuole rinunciare a rendere pubblico il teatro. Quindi due diverse realtà, due concezioni differenti che si scontrano e sulle quali incombe minacciosa la figura dei Giganti che rappresentano la realtà più gretta, spesso invisibile agli uomini. Al centro della scena campeggia una sfera grigia di metallo, una sorta di labirinto dal quale è difficile trovare una via di fuga e che si addice pienamente al simbolismo dell'opera. La rappresentazione dell'opera di Pirandello che, sta girando tra i diversi teatri italiani, è giunta anche a Potenza. Tra gli interpreti l'attore napoletano Mariano Rigillo e l'attrice Anna Teresa Rossini che interpretano rispettivamente Cotrone e Ilse in maniera magistrale. Ai due artisti il merito di aver reso a pieno la denuncia pirandelliana delle condizioni dell'arte e del teatro, del problema della creazione che non riesce più a confrontarsi con la vita e dell'esigenza del recupero della potenzialità spirituale dell'individuo. La regia dello spettacolo è di Maurizio Panici il quale ha dichiarato che "l'opera può essere considerata una favola di cui possiamo anche non cogliere tutti i significati, ma che comunque ci deve soddisfare perché i giganti siamo noi con le disillusioni, il cinismo, la crudeltà che il nostro tempo ci impone e a cui non sappiamo sottrarci". (A.D.S.)

Redazione Consiglio Informa

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