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LA CRESCITA DEI PICCOLI COMUNI

19 maggio 2003

Melfi crocevia della politica meridionalistica

© 2013 - melfi_-_castello.jpg

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(ACR) - Del ruolo e delle funzioni delle città per sostenere lo sviluppo rurale e della crescita dei piccoli comuni si è parlato a Melfi nel corso di un convegno nazionale organizzato dalla sezione lucana del Cnel. La relazione di base è stata curata da Raffaele Vanni, presidente della IV commissione del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro. Questa una sintesi. La nuova programmazione comunitaria 2000/2006 é finalizzata allo sviluppo sostenibile, urbano e rurale che non sono due aspetti separati (Parere Comitato Europeo delle Regioni) della Pianificazione strategica del territorio, ma elementi inerenti ad una problematica comune di assetto del territorio. Un ruolo determinante, di volano, é affidato alle città, puntualmente indicato nella strategia dell'Asse V del Piano di Sviluppo del Mezzogiorno che, rafforzando le proprie funzioni e il sostegno ai processi di crescita dei centri minori, realizzano uno sviluppo equilibrato del territorio. La strategia deve attuarsi nell'ambito di un disegno regionale, in cui lo sviluppo urbano si integra con quello complessivo, percio' le Regioni individuano le città su cui puntare per realizzare specifici progetti di sviluppo integrato e bilanciato con il resto del territorio. Dalla Conferenza di Cork in poi é divenuto centrale, nel dibattito sulle politiche di sviluppo locale, l'obiettivo di dare priorità allo sviluppo rurale e, conseguentemente, soprattutto per l'Italia (40% popolazione in comuni rurali e al di sotto di 15.000 ab.), salvaguardia dei piccoli comuni. Uno sviluppo che non puo' essere incentrato esclusivamente sull'agricoltura e selvicoltura ma deve tener conto della conservazione del patrimonio naturale, culturale e del potenziamento delle biodiversità e che deve avere il fine di arginare l'esodo della popolazione, indotto dalla progressiva perdita di potere di acquisto delle popolazioni rurali rispetto ai "cittadini". Quindi, una ripartizione più equilibrata delle risorse con una preferenza rurale della Comunità, un approccio integrato di promozione dello sviluppo delle PMI in comparti diversi dall'agricoltura con una diversificazione delle attività socioeconomiche delle aree rurali. La nuova politica di sviluppo rurale della UE mira alla sostenibilità ambientale, alla sussidiarietà, alla semplificazione della legislazione, alla programmazione coerente, all'attivazione di risorse finanziarie locali (ruolo propulsivo del sistema bancario), al potenziamento delle capacità amministrative di Regioni ed Enti locali, al partenariato sociale ed istituzionale. Gli attuali sistemi locali di sviluppo si identificano o sulla grande impresa integrata con l'ambiente locale (automobile Torino), con fenomeni di inurbamento; o sulle PMI di tipo distrettuale (ceramiche Sassuolo), con alla base un reticolo di comuni; o sempre su distretti ma in contesti in cui non c'é soluzione di continuità tra la città e il piccolo comune in un continuum di realtà urbana e rurale. É pero' vero che si puo' parlare di sistema locale di sviluppo solo quando il mercato del lavoro trova nell'area di riferimento le opportunità per potersi autocontenere. Questo sviluppo é favorito dalla normativa sull'associazionismo dei Comuni e dal protagonismo delle Autonomie locali e trova attuazione in una serie di strumenti: la programmazione negoziata, i Fondi strutturali (Pit), la semplificazione amministrativa (lo sportello unico), le azioni di sostegno e valorizzazione dell'economia locale, il marketing territoriale. Il tutto si fonda sulla libera collaborazione interistituzionale, allargata alle forze sociali ed economiche, in un'ottica di sviluppo locale che individua il territorio centralmente, rispetto alle dinamiche produttive e si coniuga alla "coesione sociale". Il processo di rivitalizzazione del tessuto socioeconomico dei piccoli comuni incontra ostacoli in alcuni provvedimenti normativi, le ultime due Finanziarie (2002 e 2003) tendono a marginalizzare la negoziazione e il coinvolgimento degli attori protagonisti del territorio e a disincentivare le politiche di sviluppo "dal basso". Evidenti le ripercussioni sui piccoli comuni che, pur rappresentando il reale tessuto connettivo del Paese, evidenziano tre elementi di debolezza: il forte peso delle diseconomie di scala; l'impossibilità ad erogare servizi adeguati; le carenze di ordine professionale. La terziarizzazione dei sistemi produttivi, dal '90 in poi, ha evidenziato la maggiore dinamicità del sistema locale di tipo distrettuale, delle PMI che, operando per aggregazioni territoriali omogenee, riduce il fenomeno dell'inurbamento e induce al recupero del ruolo delle aree rurali per un aumento delle popolazioni residenti. Questa condizione ha indotto la UE a rafforzare il ruolo delle aree rurali, quantomeno in termini localizzativi di persone e imprese, attraverso la riforma della PAC (Politica Agricola Comunitaria) che prevede il ridimensionamento delle protezioni sui prodotti agricoli, con conseguente riduzione delle produzioni non competitive e, contestualmente, puntare sulla qualità delle produzioni e la promozione di interventi per la valorizzazione del territorio rurale. Ne consegue che lo sviluppo rurale deve fondarsi sulle potenzialità locali in termini di prodotti, professionalità e conoscenze, essere integrato e multifunzionale e perseguire uno sviluppo sostenibile in grado di coniugare investimenti industriali con la salvaguardia ambientale. Vengono cosi' introdotti con il Dlgs n.57, del 2001, i distretti rurali, sistemi produttivi locali, caratterizzati territorialmente e integrati; e i distretti agroalimentari, interregionali e caratterizzati dalle imprese agricole e agroalimentari con produzioni certificate o tradizionali e tipiche. Questi distretti rappresentano più che una opportunità per i piccoli comuni ma non risulta sufficiente l'accompagnamento istituzionale se non é supportato dalle forse sociali e imprenditoriali. Il distretto rurale pluriattività potrebbe rappresentare uno strumento importante per lo sviluppo dei piccoli comuni italiani, nella maggior parte ricompresi nei sistemi rurali e molteplici sono gli strumenti di supporto: il PTC, Piano Territoriale di Coordinamento che identifica le aree attraverso una mappatura; il PRUSST, Programmi di Riqualificazione Urbana e di Sviluppo Sostenibile del Territorio che indicano le aree dove allocare le infrastrutture; i Piani di Sviluppo della Montagna; i Patti Territoriali; i Contratti d'area; i Contratti di Programma; i PIT che nascono da una richiesta italiana e permettono di finanziare aree territoriali in modo più flessibile e i Piani di Sviluppo Rurale. Il riconoscimento del Comune quale soggetto che promuove lo sviluppo socioeconomico della comunità locale, individuato dalle leggi di riforma, sposta il baricentro della vita collettiva verso il Municipio che spesso non ha a disposizione gli strumenti minimi per diventare protagonista. Da qui le incentivazioni normative alle varie forme di associazionismo che permettono ai piccoli comuni, sostenuti dal principio della sussidiarietà , di svolgere concretamente un ruolo di promozione e sviluppo delle proprie comunità. Sviluppo per le piccole realtà che significa occupazione e le politiche della UE discendono da un processo di programmazione che, a partire da indirizzi decisi a livello comunitario, lascia ai singoli Stati l'autonomia di elaborare i propri piani nazionali. La UE si muove su quattro pilastri orizzontali sui quali basa le politiche per il mercato del lavoro: la capacità di inserimento professionale – l'imprenditorialità – la capacità di adattamento – le pari opportunità. Pur con qualche semplificazione é possibile suddividere le politiche per il lavoro fra attive ( aggiornamento, formazione, incentivi alle imprese, ecc.) e passive (sussidi, CIG, ecc.). In questo quadro, per favorire l'obiettivo di aumentare il livello di cooperazione tra città e piccoli comuni é necessario indirizzarsi verso il potenziamento delle politiche attive in luogo di quelle passive. Tuttavia, l'applicazione dello strumento formativo in realtà rurali, quindi in un contesto territoriale diffuso, presenta difficoltà che si superano indirizzando, per quota parte, a favore dei piccoli territori i programmi di formazione continua che raggiungono grappoli di piccole imprese in un approccio "porta a porta". I piccoli comuni dovranno spostare le risorse sulle politiche selettive che puntino al rafforzamento del tessuto produttivo attraverso, essenzialmente, la formazione continua, gli incentivi per la creazione delle imprese e in questo contesto, cruciale risulterà il ruolo di programmazione e gestionale delle Amministrazioni Provinciali. Parimenti determinante resta il ruolo delle forze sociali, senza partenariato e concertazione é impossibile attuare le politiche economiche di sviluppo, note come bottom up, cioé l'equilibrio tra le proposte territoriali e le indicazioni che provengono dall'alto. In questa concertazione l'attuale soluzione che, meglio di ogni altra, dà i migliori risultati, rispondendo alle esigenze di sviluppo dei sistemi locali rurali e dei piccoli comuni é quella dei Patti per lo Sviluppo e l'Occupazione. Si tratta di programmi di medio periodo per cui le istituzioni, le forze sociali e produttive e le autonomie funzionali si impegnano a cooperare ciascuno con le proprie risorse per raggiungere un traguardo comune. (L.T.)

Redazione Consiglio Informa

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