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L'ADOLESCENZA, RELAZIONE DEL PROF. MICHELE DI NARDO

05 giugno 2003

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(ACR) - L'uomo nel suo processo di crescita passa attraverso stagioni vitali, dette più propriamente cicli. Sarebbe molto bello approfondire cosa avviene in ognuno di questi cicli per vedere quello che perdiamo, ma anche ciò che acquisiamo. In questa continuità ciclica, nel passaggio da un ciclo all'altro, comunque, non si perde tutto, così come è vero che non si acquisisce tutto "ex novo". Si creano così nessi, analogie, antitesi e, in tal modo, la continuità diventa affascinante nel suo essere discontinuità. In questa discontinuità però, il bambino perde inevitabilmente qualcosa e, se noi adulti non siamo attenti a ciò che si perde, da una stagione vitale all'altra, potremmo, forse, commettere degli errori. Se un essere umano "buca", "fora", una stagione vitale, invecchia male. Erikson, così come Bergman, afferma che se un essere umano distrugge una stagione della vita invecchia male, diventa egoista, attaccato alle piccole cose. Analizziamo con più attenzione il ciclo vitale dell'adolescenza. Diciamo subito che la prima caratteristica dell'adolescenza è proprio quella di non avere caratteristiche. L'adolescente non è più un bambino, ma non è ancora un giovane; è come se vivesse in una terra di nessuno, per cui perde tutte le sicurezze di quando aveva sette anni, ma non ne acquista di nuove e vive così in una zona intermedia, terra di nessuno. Ancora, alcuni sostengono che l'adolescenza è una " seconda nascita". E' come se l'adolescente vivesse quello che in molti è il dramma della prima nascita. Come durante la prima nascita, il bambino abbandona la sicurezza del grembo materno per rischiare la luce, il respiro, il mangiare, che non è più dato simbioticamente, attraverso il cordone ombelicale, così l'adolescente vive alcune caratteristiche di questo distacco. Il bambino che aveva trasformato la sua casa nel grembo materno, durante gli anni della scuola elementare, comincia a sentire fortemente il richiamo dei coetanei, del mondo esterno. E' come se lottasse quasi per uscire, per trovare all'esterno della famiglia quelle risposte che soddisfino le sue domande. E' "seconda nascita" anche per un altro motivo: come nel bambino c'è conflittualità fra il sentimento d'onnipotenza e il sentimento d'impotenza, così nell'adolescente s'impone pieno il bisogno d'indipendenza accompagnato da un'autentica esigenza di protezione. Ancora, l'adolescenza è la stagione della crisi d'identità. L'adolescente comincia a porsi domande più serie e precise sul lavoro, sull'amicizia, l'amore, la vita, la morte. Domande che da bambino non si poneva. Perché è importante porsi queste domande? Perché attraverso le risposte che l'adolescente ricerca o riceve, faticosamente può costruire la propria identità. Molto spesso anche noi, di fronte allo specchio, ci chiediamo: chi siamo veramente? Quali sono le nostre maschere? Pirandello direbbe: "Molto spesso non ci troviamo più". L'adolescente si cerca, si cerca di fronte a queste domande dure, difficili che spesso non pone agli adulti, ma ai ragazzi leggermente più grandi. E' chiaro che questa crisi d'identità è una crisi inquietante anche perché a renderla più complessa c'è l'identità sessuale. Mentre il bambino piccolo è un po' come Pinocchio, un essere asessuato, un transessuale generico, durante l'adolescenza questo corpo, che prima era ambivalente, improvvisamente si impone e questo adolescente scopre una sua identità sessuale: è maschio, è femmina. Durante lo sviluppo il corpo di un adolescente comincia a lavorare e gli arti sociali, gambe, braccia, mani, piedi, si dilatano. Questo corpo che lavora li rende goffi, impacciati e magari li vedete uscire dalla scuola con le mani in tasca, dando calci a tutto quello che incontrano. Se chiedete loro di portare un vassoio, due volte su dieci faranno cadere quello che hanno in mano. Noi poi, aggiungiamo ferite quando cominciamo a fare confronti o a emettere giudizi. Ancora, per qualcuno, l'adolescenza è la stagione della "teatralità". L'adolescente vive come se fosse continuamente su un palcoscenico, deve cercare una sua identità, deve provare la maschera più funzionale. Ne ha già utilizzate alcune in casa o a scuola, ma ne cerca altre che soddisfino maggiormente il proprio Io. Uno degli atteggiamenti visibili di questa teatralità è il disordine della camera di un adolescente, il suo cercare affannoso fra gli otto golfini da provare, affastellati l'uno sull'altro, mescolati a calze, a scarpe e così via. E' la ricerca di qualcosa che non è solo moda, è la ricerca di un'immagine nella quale loro si riconoscano, si percepiscano con assoluta tranquillità. Cambiano indumenti, se li scambiano con gli amici: una confusione terribile che fa capire come questa teatralità è vissuta da tutti gli adolescenti. Qualcuno afferma anche che l'adolescenza è la stagione della solitudine. Spesso i nostri figli si ritirano nella loro stanza, con le loro cuffie, si isolano dal mondo. E' come se con un compasso si disegnasse un cerchio invalicabile per gli adulti. Ancora, l'adolescenza è la stagione delle possibilità: tutto è possibile, potenzialmente fattibile. Per un adolescente è possibile vivere in un mondo più giusto, è possibile ricostruire il mondo, l'universo. Qualcuno ha affermato: se il tempo del bambino è l'urgenza di diventare grande, il tempo dell'adolescente è la possibilità. Proprio su quest'elemento poggia il conflitto tra le generazioni: il mondo degli adulti e quello degli adolescenti, così è stato da sempre. Anche Leopardi, Eschilo, Sofocle, erano in conflitto con i loro genitori. Per noi adulti non tutto è possibile, per gli adolescenti, invece, tutto è possibile. Se l'adolescenza è multiforme realtà è pur vero che non può essere solo una stagione della vita, ma sotto molti aspetti è addirittura una componente dell'intera vita. Se adolescenza vuol dire cambiamento, divenire, anche la vita deve essere questo, guai se così non fosse. La vita non può essere staticità, non può fondarsi su assunti indiscutibili, radicati e immutabili. Ciò significa che, in un certo senso, dovremmo rimanere un po' adolescenti anche nella vita adulta. Allora se l'adolescenza è questa incredibile tensione, come si può pensare ad una possibilità di aiuto? Com'è possibile stabilire una relazione significativa in questo particolare momento della vita? Sto parlando di relazione di aiuto e non di altro e, al riguardo, la prima cosa da chiarire è cosa intendiamo per educazione. Molto spesso confondiamo i termini "educazione" e "istruzione". E' vero che c'è una dinamica dialettica fra le due cose, però è altrettanto vero che l'atto di educare è diverso dall'atto di istruire. Se come padre mi ponessi il problema dell'istruzione di mia figlia e mi chiedessi quante cose sa di storia, di latino, greco farei un qualcosa di certamente importante. Probabilmente con più greco, latino, storia, i nostri figli avrebbero la possibilità di "arare" di più nel loro umano, perché Dante, Orazio, Socrate aiutano a scavare nell'umano. Però mi pongo un problema: se mia figlia questa sera va in discoteca con un gruppo di amici e uno di questi le propone l'uso di una pillola, l'extasi, mi chiedo se l'aiuterà Orazio a dire di no. Può anche darsi. Però cosa salva mia figlia dalla pressione di un gruppo di amici che offre questa pillola? Io posso credere in una sola possibilità: la sua capacità di autonomia, intendendo per autonomia la capacità di rimanere se stessi vivendo in mezzo agli altri. Così dunque, l'istruzione diviene un prezioso bagaglio, un saldo mondo e modo di vita, però scopriamo che quando parliamo di autonomia, responsabilità, indipendenza dei nostri giovani, non sempre abbiamo a che fare con quanto essi sanno di storia, di greco o di latino. Hanno a che fare con un'altra dimensione che è quella del loro essere uomini, per questo educare vuol dire umanarsi, farsi uomini. (m.d.n.) 1-continua

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