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L'INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE
25 giugno 2003
(ACR) - L'unificazione del mercato europeo, l'omogeneizzazione dei modelli di vita, l'aumento delle pressioni competitive a opera di concorrenti provenienti da Paesi anche molto lontani, richiedono che le nostre imprese siano sempre più attente al tema dell'internazionalizzazione. Internazionalizzazione che oggi assume forme diverse rispetto al passato e non si identifica necessariamente con le esportazioni o la costituzione di proprie unità in Paesi stranieri. Le imprese odierne possono scegliere di internazionalizzarsi lungo diverse dimensioni: vendendo i propri prodotti sui mercati esteri, alleandosi con partner stranieri, acquisendo partecipazioni in imprese estere ma, anche più semplicemente, impiegando personale straniero, decentrando la produzione all'estero o confrontandosi, anche sul mercato interno, con concorrenti di diversa nazionalità. Ne consegue che le imprese di dimensioni minori e, al limite, anche le imprese che non hanno intenzione di operare sui mercati internazionali dovrebbero essere spinte a interrogarsi sull'impatto che l'internazionalizzazione può avere sul loro modo di competere e sui risultati della loro attività. Per una piccola e media impresa, quindi, è necessario internazionalizzarsi? La tesi di fondo, contenuta in questo lavoro, è che l'internazionalizzazione in molti casi non è una necessità, ma una delle possibili alternative strategiche, perseguibile con successo anche dalle piccole e medie imprese. Perché tale processo sia realizzato con successo è però necessario che si segua un disegno strategico consapevole. La complessità ambientale e l'intensità che la concorrenza ha assunto in ogni settore non consentono di improvvisare, ma richiedono che chi dirige l'impresa sul cammino dell'internazionalizzazione sia in grado di rispondere a alcune domande chiave sul perché, il come e il dove internazionalizzarsi. Dagli anni '70, l'ambiente in cui operano le imprese è in continuo cambiamento, cambiamento che concerne gli aspetti produttivi, quelli strategici, organizzativi e competitivi. Tra gli effetti del cambiamento ve ne sono stati alcuni che hanno determinato un processo di apertura verso l'estero da parte delle imprese nazionali, tale fenomeno è genericamente denominato internazionalizzazione. Nell'attuale contesto economico, caratterizzato da una maggiore integrazione tra i diversi mercati, da maggiori pressioni competitive, da minori costi di transazione e da barriere agli scambi meno elevate, l'internazionalizzazione non è più una delle possibili opzioni strategiche a disposizione dell'impresa, ma costituisce una via obbligata per acquisire un vantaggio competitivo sostenibile nel tempo. In discussione, oggi, non è più il "se" adottare una strategia di internazionalizzazione, quanto piuttosto il "come" attuarla, e dunque, le modalità di entrata in mercati esteri, nonché delle espressioni organizzative per internazionalizzare l'intero sistema del valore. Il fattore critico di successo nella competizione internazionale, nell'attuale ambito economico, è rappresentato dalla capacità di presidiare le competenze distintive all'interno dell'azienda e di individuare risorse e competenze esterne all'organizzazione coordinandole in un processo produttivo capace di generare un prodotto competitivo. Da questo punto di vista diventa strategica la costruzione di un network di relazioni, fondato sulla valorizzazione delle competenze localizzate sul territorio di origine dell'impresa e sull'attitudine ad impostare strategie di outsourcing a livello internazionale. Nelle piccole imprese, quindi, assume notevole importanza la cultura aziendale che dipende dal personale e dalla figura dell'imprenditore e dei familiari che collaborano alla direzione aziendale. La cultura del piccolo imprenditore tende ad essere di solito resistente al cambiamento piuttosto che innovatrice, orientata alla produzione, reattiva piuttosto che proattiva, anziana, avversa al rischio e attenta ai risultati di breve periodo, legata a fattori locali, individualistica.Tra le diverse forme e i vari strumenti con cui può essere sviluppata la cultura imprenditoriale, la formazione, l'inserimento di nuovi dirigenti e in particolar modo l'esperienza riguardo al mercato estero, sono quelle più adatte per la propensione strategica all'internazionalizzazione. Nell'attuazione di una strategia di crescita internazionale, l'impresa può optare tra diverse modalità di azione, ponendo in essere relazioni di tipo concorrenziale che si concretizzano nello sviluppo di tutte le attività finalizzate a migliorare la propria posizione sui mercati di sbocco attuali o nuovi, e/o relazioni di tipo collaborativo le quali si concretizzano nelle forme organizzative reticolari e nelle alleanze strategiche tra imprese che, conservando la propria autonomia decisionale, decidono di cooperare al fine di sfruttare le risorse e competenze dei partners dell'accordo. Di conseguenza, lo sviluppo dei processi di internazionalizzazione basati su rapporti interfirm riduce il valore della dimensione aziendale come variabile determinante nella selezione dei percorsi accessibili. In questa prospettiva, la multinazionalizzazione non rappresenta più un passaggio obbligato nel processo del coinvolgimento estero delle imprese, ma solo una delle molteplici modalità di internazionalizzazione. Tra queste modalità di internazionalizzazione, oltre alle forme tradizionali, "classiche", riconducibili essenzialmente all'internazionalizzazione mercantile (export diretto, indiretto) e all'investimento diretto estero (acquisizione o green field), acquistano un'importanza crescente "nuove forme" (joint ventures, accordi di collaborazione tecnologica o commerciale, franchising internazionale, countertrade, ecc.) basate su rapporti equity o non-equity di complementarità e collaborazione che esulano dal fattore dimensione, privilegiando altri aspetti, quali la flessibilità della soluzione organizzativa e di altri fattori strategici che consentono di valorizzare, mediante il coordinamento, risorse e competenze distintive specialistiche e complementari possedute dai diversi attori. Le forme di internazionalizzazione possono essere intese come "tipi" fissi, predefiniti. Nella realtà della loro applicazione avviene che l'adattamento non si limiti all'aspetto giuridico-tecnico, infatti, vi sono degli aspetti strategici e organizzativi che possono cambiare del tutto la natura intrinseca del rapporto. La "forma" non è che la manifestazione finale della volontà-imprenditoriale, quando manca la volontà avviene che il rapporto proceda negativamente, si perde quindi, la possibilità di sinergie ulteriori. Analizzare l'internazionalizzazione secondo le forme tecniche con cui si realizza, significa guardare agli strumenti di realizzazione piuttosto che alle intenzioni strategiche. In genere, si parte dalla forma tecnico-giuridica per collegarla alla strategia. Da un punto di vista concettuale, tale approccio non appare molto corretto. Ad esempio, la forma "joint venture" è utilizzata prevalentemente per fini produttivi, ma può averne anche altri (come la ricerca e sviluppo, oppure scopi inusitati come approvvigionamento, commercializzazione, gestione della logistica). In altre parole, una stessa forma riferisce a diverse dimensioni di internazionalizzazione. Un ragionamento più lineare e coerente con l'idea della trasformazione delle risorse in vantaggio competitivo è il seguente: in base alle risorse di cui dispone, o potrebbe disporre, l'impresa si prefigura un certo vantaggio competitivo che realizza una classe di possibili dimensioni di internazionalizzazione. Per ogni singola dimensione viene elaborata una strategia competitiva e organizzativa che si manifesta in una formalizzazione giuridico-tecnica. Le forme, in quest'ottica, sono il punto di arrivo, e non quello di partenza del processo di analisi. (S.C.)