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SINTESI RAPPORTO ITALIA 2004
02 febbraio 2004
(ACR) - Un Paese in cerca d'autore. E' questa la chiave di lettura alla quale il presidente dell'Eurispes, il prof. Gian Maria Fara, affida il Rapporto Italia 2004. Un volume di 1.400 pagine di analisi severa e approfondita dalla quale emerge un'Italia smarrita, diffidente e alla ricerca di un'identità. Sono, infatti, numerose le cause all'origine del senso di smarrimento, di diffidenza, di incertezza che attraversa il Paese e la situazione attuale è il frutto dell'intreccio di processi recenti e di lungo periodo che chiama in causa diversi e concomitanti fattori economici, politici, sociali e psicologici. «Nel Rapporto dello scorso anno ? sottolinea nelle considerazioni generali il Presidente dell'Eurispes prof. Gian Maria Fara ? avevamo evidenziato le difficoltà e i guasti provocati dall'affermarsi della pericolosa cultura del manicheismo. Eravamo convinti che una eccessiva radicalizzazione del confronto politico avrebbe nociuto al prestigio del Parlamento e delle Istituzioni e indebolito, nello stesso tempo, sia l'azione della maggioranza di governo sia quella dell'opposizione producendo un rallentamento del processo di legittimazione del bipolarismo necessario al consolidamento della democrazia dell'alternanza». "Tuttavia ? prosegue Fara ? le forze politiche non sono riuscite a superare lo spirito partigiano che ne ha caratterizzato i percorsi degli ultimi anni, affermando, di fronte alla opinione pubblica, una vocazione al conflitto difficilmente superabile anche all'interno stesso dei due schieramenti. Alle difficoltà di tenuta delle diverse anime della maggioranza di governo corrispondono la divisione e la mancanza di un progetto alternativo dell'opposizione". Mentre tutto ciò accade, secondo l'Eurispes, in Italia lo spettro della povertà si allarga sino ad occupare territori che solo fino a qualche anno fa erano sconosciuti: i ceti medi sono costretti, per la prima volta dopo decenni, a difendersi dal pericolo di una incalzante proletarizzazione. IL RISCHIO DI PROLETARIZZAZIONE DEL CETO MEDIO La società dei tre terzi che 1'Eurispes aveva paventato qualche anno fa è diventata una realtà: un terzo di supergarantiti, un terzo di poveri e un terzo a rischio di povertà. Del resto la attuale congiuntura penalizza soprattutto la categoria degli impiegati. In particolare, secondo l'Istituto, nel biennio 2001?2003, la perdita del potere d'acquisto delle retribuzioni è stata pari al 19,7% per gli impiegati, al 16% per gli operai, al 15,4% per i dirigenti e al 13,3% per i quadri. Il confine tra povertà e non povertà diventa sempre più labile e rappresenta una condizione di instabilità che potrebbe precipitare al modificarsi di una sola variabile. L'Eurispes ha stimato il numero di famiglie italiane che sono seriamente a rischio povertà. Utilizzando i parametri riferiti alle fasce di reddito, risulta, infatti, che oltre alle tradizionali 2.500.000 famiglie povere (pari a circa 8 milioni di soggetti) si aggiunge un altro 10% di famiglie italiane a rischio povertà. In valori assoluti si tratta di altri 2.400.000 nuclei familiari. La sensazione di essere più poveri trova conferma nei dati sull'inflazione ormai unanimemente riconosciuti. Per 1'Eurispes la forbice tra stipendi e prezzi si è allargata, il potere d'acquisto si è ridotto e non si intravede una inversione di tendenza. Più volte si è accesa la polemica sulle cause della più elevata dinamica dell'inflazione interna rispetto agli altri paesi della Comunità Europea, e la tesi più diffusa attribuisce una particolare responsabilità al changeover e ai conseguenti arrotondamenti. Tuttavia, questa tesi potrebbe spiegare gli andamenti inflazionistici del 2002 e non quelli del 2003. Il dato circa l'aumento del carovita è incontestabile: quasi la totalità degli intervistati, pari al 96,7%, ha avvertito un aumento dei prezzi nel corso del 2003. Inoltre, solo una contenuta percentuale di intervistati non ha avvertito variazioni (2,8%) ed appena lo 0,2% del campione afferma che i prezzi sono diminuiti. Ma si è trattato di aumenti fisiologici o aumenti sconsiderati? In questo inizio di anno i consumatori giudicano ancora più pressanti gli aumenti inflazionistici rispetto a quanto rilevato all'inizio del 2003: il 59,1% del campione percepisce un eccessivo aumento dei prezzi, contro il 37,5% dello scorso anno. Diminuiscono invece le quote di coloro che avvertono aumenti più contenuti (minimi o elevati che siano). Quindi, gli italiani avvertono con sempre maggior disagio il problema dell'aumento dei prezzi, che incide pesantemente sui bilanci familiari. PROSPETTIVE ECONOMICHE PER IL 2004 Quali le prospettive economiche del Paese per i prossimi 12 mesi? L'Eurispes lo ha chiesto agli italiani. Stando ai risultati di un sondaggio realizzato sul tema emerge un crescente pessimismo da parte dei cittadini italiani. Se nel 2003 la maggioranza degli intervistati avvertiva un lieve peggioramento dell'economia italiana (32,5%), nel 2004 la situazione si aggrava ulteriormente: infatti il 48,2% degli intervistati percepisce un netto peggioramento. Di conseguenza, diminuiscono le percentuali di coloro che intravedono un trend economico positivo: nel 2004 solamente lo 0,6% avverte un netto miglioramento e il 6,8% un leggero miglioramento. Infine, nel 2004, la percentuale di chi considera stabile la situazione economica del Paese risulta dimezzata rispetto al 2003 (il 14,4% contro il 27,8%). Per quanto riguarda il risparmio degli italiani, l'Eurispes segnala prospettive negative: solo il 5,5% degli intervistati prevede di risparmiare sicuramente qualcosa nel 2004 (contro il 6,5% del 2003) e il 33,7%, pur nutrendo la stessa intenzione, non è sicuro di riuscirci. La maggioranza degli intervistati (il 56,4% sommando le previsioni negative) non è orientata a risparmiare per il futuro. Gli italiani stanno "facendo le cicale" o, piuttosto, non hanno più la possibilità di mettere i risparmi da parte? "A giudicare dai dati sui consumi, ? dichiara Fara ? questa ultima ipotesi sembra la più plausibile. Nelle preferenze degli italiani, il mattone si conferma la forma d'investimento privilegiata, anche se questo fenomeno ha portato ad un incredibile incremento dei prezzi degli immobili che ha di fatto drogato il mercato stesso. Il rischio è che passata l'euforia, gli acquirenti si possano ritrovare nell'arco di qualche anno con un prezzo degli immobili più basso del prezzo d'acquisto. E' ancora più marcato rispetto all'anno precedente, l'orientamento degli intervistati nei confronti degli immobili: il 46,9% contro il 42,5% del 2003. La scelta di tenere i soldi in un conto corrente e di acquistare titoli di Stato sta passando di moda: le percentuali di preferenza sono inferiori rispetto al 2003". Sembra, invece, riprendere leggermente quota il mercato azionario. Inoltre, sempre secondo l'Istituto, una cospicua parte di intervistati (17,3%) non si esprime, incerta sulle prospettive future. Il comportamento di investimento delle famiglie si mantiene molto cauto: la tendenza prevalente è quella di limitare i rischi ed una quota contenuta di soggetti mostra un maggiore interesse verso prodotti a maggiore contenuto azionario, forse confortata dalla ripresa dei mercati finanziari. I meno temerari sul fronte degli investimenti risultano gli intervistati con titolo di studio medio?basso, che prediligono il conto corrente, bancario o postale, e sono piuttosto scettici nei confronti di Piazza Affari. Al contrario, oltre la metà dei laureati preferisce l'acquisto di immobili e molti di loro guardano con favore ai titoli azionari/obbligazionari (10,3%), sebbene in misura inferiore rispetto ai diplomati (11,1%). A proposito dei beni durevoli, è sembrato interessante verificare se l'acquisto di un'automobile rientra nelle intenzioni di spesa delle famiglie italiane. Nel corso degli ultimi due anni, il mercato automobilistico ha suscitato un interesse sempre minore tra gli italiani: aumentano considerevolmente le persone che non prevedono di fare acquisti (nel 2003 erano il 37,8% degli intervistati, oggi il 61,2%), diminuisce la percentuale di coloro che probabilmente affronteranno la spesa (si passa dal 22,9% al 17,3%) e aumentano di poco gli intervistati che compreranno un'automobile (dal 4,3% al 6,8%). L'intenzione di acquistare un'automobile è più diffusa tra gli studenti (40,5%), magari perché molti al compimento del 18° anno di età hanno ottenuto la patente di guida e sognano di poter avere una automobile tutta loro. La componente di intervistati che ha in programma di acquistare una casa nel corso dei prossimi due anni rimane sostanzialmente stabile nel tempo (nel 2003, il 10,6% e nel 2004, il 10,1%), ma aumenta la percentuale di chi sicuramente non affronterà questa spesa (dal 64,7% al 79%). Osservando le condizioni finanziarie delle famiglie, 1'Eurispes nota che prevale la logica del "sopravvivere" per un numero crescente di nuclei familiari che: riesce ad arrivare a fine mese (il 38,7% nel 2003 e il 51,2% oggi) e utilizza i risparmi accumulati in precedenza e deve contrarre debiti. Diminuisce la percentuale di intervistati che riescono a risparmiare qualcosa (il 20,3% contro il 35% del 2003) o abbastanza (il 3,1% contro il 10,5% del 2003). In termini reali i salari si stanno riducendo, in maniera non occasionale e transitoria, a causa di un progressivo arretramento della produttività. Questo processo di impoverimento riguarda tanto i lavoratori a tempo indeterminato, che consideriamo i più protetti, quanto, e soprattutto, i "nuovi lavoratori", con tipologie contrattuali spesso non regolamentate a livello nazionale e che nella forma non costituiscono lavoro dipendente (co.co.co.). Si tratta di occupazione precaria, incostante e spesso sottopagata. Per valutare la perdita del potere d'acquisto occorre sottolineare che questo riguarda principalmente le fasce di reddito più basse, quindi i redditi le cui variazioni si traducono automaticamente in variazioni dei consumi. Di conseguenza gli italiani per far quadrare i conti si rifugiano anche nel lavoro nero. A tal proposito 1'Eurispes, stima oltre 5.650.000 (pari a poco meno di un quinto dell'attuale popolazione attiva) di persone distribuite fra i diversi settori nelle forme del lavoro nero continuativo, del doppio lavoro e del lavoro nascosto saltuario e che vanno a coinvolgere una molteplicità di soggetti: giovani in cerca di primo impiego, disoccupati, cassaintegrati, lavoratori in mobilità, extracomunitari non in regola ma anche studenti, pensionati, casalinghe, lavoratori dipendenti ed autonomi con lavoro regolare. PERDITA DI COMPETITIVITA' L'Italia è segnata da un progressivo declino industriale e da una generale perdita di competitività in diversi settori dell'economia nazionale. Precipitano vistosamente gli ordinativi e i fatturati dei principali settori di attività economica. Tutto ciò spiega esaurientemente la collocazione dell'Italia al 41° posto, nella gerarchia della competitività mondiale del 2003. Il calo della produzione industriale è generalizzato ed investe sia i settori a basso come quelli ad alto valore aggiunto: nel periodo 2000?2003 si sono registrati sensibili diminuzioni nei settori cuoio e pelli (?15,9 punti ), macchine elettriche (-18,5), mezzi di trasporto (-17,9), tessile (-10). Le cose non vanno bene neanche sul fronte delle esportazioni italiane di merci. Secondo gli ultimi dati disponibili, infatti, sono diminuite del 2,8% in valore e dello 0,8% in quantità, facendo registrare una nuova flessione della loro quota italiana sulle esportazioni mondiali, passata dal 4% al 3,9% (a prezzi correnti). Nei primi otto mesi del 2003 le esportazioni verso gli Stati Uniti sono diminuite del 13%, sono rallentate quelle verso la Cina e le vendite in Europa (area Euro) sono diminuite del 3,1%. A causa dell'apprezzamento dell'euro, le esportazioni nell'area del dollaro diminuiscono più di quelle rivolte all'area dell'euro. Dal 2000 al 2002 la perdita di competitività di prezzo è stimata al 7,5%. Essa è ulteriormente peggiorata del 3% nei primi otto mesi del 2002. La nostra presenza sui mercati mondiali scende dal 4,5% al 3,6%. Contestualmente alla nostra caduta la Germania aumenta dell'1% la sua quota mentre la quota della Francia resta stabile. Una spiegazione del nostro declino si ritrova in tre cause. Si continua a produrre beni poco innovativi e a scarso contenuto tecnologico. Costi e produttività sono più favorevoli nei paesi emergenti che si avviano lungo le nostre stesse specializzazioni. Il declino dell'industria è associato al lento tasso di crescita che si registra nel nostro Paese. Negli ultimi 7 anni, in Italia, la produzione industriale è aumentata del 4,9% contro il 16,5% della Francia e della Germania. Tutti gli altri paesi europei producono ad un tasso di incremento di almeno 4 volte superiore al nostro. Solo la Gran Bretagna registra un incremento della produzione industriale inferiore al nostro ma è in fortissima espansione il settore dei servizi che occupa un largo posto, per qualità e prezzo, nelle esportazioni sul mercato mondiale. La nostra debolezza traspare anche dalla bilancia dei pagamenti tecnologica e, soprattutto, dal basso rendimento misurato dall'indicatore "numero delle domande di brevetti per milione di abitanti". Negli USA il numero delle domande per milione di abitanti è di 144, in Germania di 258, in Svezia di 375, in Finlandia di 298, in Francia di 120, in Italia di 62. «Il futuro della nostra economia ? sostiene il presidente dell'Eurispes ? non si costruisce alimentando derive protezionistiche o le irrazionali paure dell'arrivo dei cinesi, ma potenziando la qualità e l'immagine della nostra produzione. Certo, la "Cina è vicina" e noi siamo ormai un mercato, soprattutto per certi prodotti a basso costo. Ma è anche vero che l'apertura di quel paese all'economia di mercato, con un numero sempre maggiore di "consumatori di qualità" offre alle nostre aziende una storica opportunità di crescita. Ma se le nostre risorse sono rappresentate dal territorio, dall'arte, dalla cultura, dobbiamo assumere la consapevolezza che l'Italia è una fonte inesauribile di materie prime». «Diventa pertanto sempre più necessario ? prosegue Fara ? qualificare l'offerta del prodotto italiano, attraverso la costituzione di sistemi economici territoriali e di consorzi di imprese e di marchi, in grado di elaborare pacchetti integrati di offerta territoriale (un mix di cultura, arte, ambiente, turismo e artigianato locale, produzione agro?alimentare), nella consapevolezza che può sussistere una relazione identitaria tra neolocalismo e ricchezza». Anche fattori come l'invecchiamento della popolazione e la perdita graduale del tradizionale sistema di garanzie sociali e lavorative, condizionano in negativo gli atteggiamenti psicologici dei soggetti economici riducendo la loro capacità di investimento e la loro propensione al rischio. «Una popolazione giovane è portata a pensare e costruire il futuro, una popolazione anziana è legata alla prospettiva immediata», prosegue Fara. Se continueremo a ragionare sul breve e sull'utile immediato, l'intera società sarà pervasa da un sentimento di incertezza e di smarrimento. L'idea stessa di futuro verrà messa in discussione. I responsabili della politica economica, dal canto loro, producono per lo più risposte di breve periodo, per cui tutte le preoccupazioni sembrano risolversi nei provvedimenti di corto respiro contenuti nella Finanziaria, rinunciando a interventi di carattere strutturale, abdicando, in poche parole, a quella che dovrebbe essere la ricerca di traiettorie evolutive e di processi cumulativi in grado di assicurare stabilità e crescita al sistema nel lungo periodo. In tal senso un ruolo strategico in tema di recupero della competitività del sistema Paese è ricoperto dagli investimenti nel campo della ricerca e della formazione (basti pensare che solo il 4,4% del Pil è destinato alla scuola, all'università e alla ricerca), dove è necessario un nuovo impulso, un'accelerazione, una strategia integrata di investimenti proiettata nel lungo periodo. UN PAESE A LEGALITA LIMITATA "I dati in nostro possesso ? afferma Gian Maria Fara ? segnalano la diffusione di un clima di illegalità e di corruzione della vita pubblica a tutti i livelli. La politica ha avuto nella ripresa della illegalità un ruolo determinante soprattutto quando ha pensato di delegittimare e di indebolire l'ordine giudiziario o quando ha mostrato come la legalità potesse essere piegata e adattata all'interesse personale o di parte o dello stesso Stato, come nel caso dei condoni che premiano la furbizia e l'illegalità e mortificano la correttezza e il rispetto delle leggi. Così come ha mancato ai suoi compiti trascurando il potenziamento degli uffici giudiziari, attraverso l'immissione di nuovi quadri, lo stanziamento delle necessarie risorse finanziarie, l'ammodernamento degli strumenti tecnologici, con il risultato finale che sono oltre cinque milioni i processi penali pendenti e oltre tre milioni quelli civili, con almeno dieci milioni di italiani che attendono giustizia ma non riescono ad ottenerla». "Tuttavia ? prosegue il Presidente dell'Eurispes ? occorre sottolineare come anche la stessa magistratura non sia esente da responsabilità, soprattutto quando alcune sue componenti attuano una difesa, spesso corporativa, di prerogative e, in qualche occasione, di privilegi che rendono difficile qualsiasi tentativo di riforma del sistema o quando assistiamo forme spinte di spettacolarizzazione della giustizia o al protagonismo eccessivo di alcuni magistrati nella conduzione delle indagini". La cronaca quotidiana sgrana il suo rosario di casi di corruzione e malversazione, i cittadini hanno la convinzione che l'illegalità sia ancora più diffusa che negli anni passati e, silenziosamente, le quattro mafie (mafia, camorra, `ndrangheta e sacra corona unita) producono un volume di affari che, secondo le stima dell'Eurispes ha ormai raggiunto una consistenza pari al 9,5% del prodotto interno lordo italiano: in valore assoluto quasi 100 miliardi di euro per il 2004. Il settore più remunerativo resta quello del traffico di droga che determinerebbe introiti per 59.022 milioni di euro. Negli ultimi anni si è assistito ad un vero e proprio salto di qualità in questa particolare attività illecita: le "cupole" puntano ad ottimizzare sforzi e rischi verso una maggiore e più oculata gestione dei flussi di sostanze stupefacenti internazionali. Tra i maggiori proventi si confermano quelli legati all'ambito degli appalti dei lavori pubblici e delle imprese (17.520 milioni di euro), estorsione ed usura (13.520), prostituzione (5.104) e traffico di armi (4.774). Continua, anche per il 2004, il primato della 'Ndrangheta principalmente per gli affari legati al traffico di droga (22.340 milioni di euro), seguita da Cosa nostra (18.224), Camorra (16.459) e Sacra corona unita (1.999). Sul fronte della impresa (appalti pubblici truccati e compartecipazione in imprese in genere) è Cosa nostra ad avere la leadership con un "fatturato" di 6.468 milioni di euro, seguita da Camorra (5.878), 'Ndrangheta (4.703) e Sacra Corona Unita (471). Anche l'estorsione e l'usura sono un fenomeno fortemente presente, ancorché sommerso. In questa attività illecita, è la Camorra a detenere il primo posto con un giro d'affari stimato, per il 2004, di 4.703 milioni di euro. Sulla prostituzione, l'organizzazione criminale calabrese riconquista il primato con un giro d'affari di 2.352 milioni di euro, seguita da Sacra corona unita (1.764), Camorra (587) e Cosa nostra (401). Anche per quanto riguarda il traffico delle armi, la 'Ndrangheta continua a posizionarsi in cima alla graduatoria: 2.352 milioni di euro, il giro d'affari stimato per il 2004; un'attività che sembra interessare principalmente la cupola calabrese visto che a parecchie lunghezze di distanza seguono Camorra con 824 milioni di euro ed ex aequo Cosa nostra e Sacra corona unita con circa 800 milioni di euro. Oggi il giudizio dei cittadini sul livello di corruzione della vita pubblica italiana è piuttosto negativo: il 46,5% degli italiani ritiene che, rispetto al 1992, la corruzione sia rimasta invariata e un cittadino su quattro (il 24,/%) pensa che il fenomeno sia aumentato da allora. CITTADINI E CORRUZIONE Su questo tema l'Eurispes attraverso un sondaggio ha inteso raccogliere le opinioni dei cittadini sulle aree o sistemi maggiormente interessati dalla corruzione. Sono i dirigenti, funzionari e impiegati della Pubblica amministrazione, centrale e locale, ad essere, secondo il giudizio del campione, i principali attori dei comportamenti illeciti, indicati come l'area professionale maggiormente coinvolta nel fenomeno della corruzione nel 13,8% dei casi. Al secondo posto di tale graduatoria negativa si colloca il Governo, indicato dal 12% degli intervistati, seguito dagli imprenditori (10,2%), dalla Magistratura (10%), dagli Amministratori locali (9,5%) e dalla Sanità pubblica (9%). Il Parlamento si colloca al settimo posto, indicato dal 5,2% dei cittadini come il settore in cui è maggiormente diffusa la corruzione. Le Banche e gli Istituti di credito raccolgono il 2,5% delle risposte, seguite dalle Forze dell'Ordine (2,2%), dai Sindacati (2%) e dai Funzionari dei Tribunali (1,9%). A giudizio dei cittadini, la corruzione coinvolge in misura minore l'Avvocatura (1,7%), il personale addetto alla riscossione tasse e tributi (1,5%), la Polizia urbana e municipale (1%). Il questionario dell'Eurispes ha infine inteso raccogliere le opinioni dei cittadini sull'esperienza di Mani pulite. I dati mostrano il grado di accordo dei cittadini su una serie di affermazioni riguardanti la corruzione e l'esperienza di Mani Pulite. La prima afferma che "Tangentopoli" non è mai finita e il sistema della corruzione continua ad operare a pieno regime. Si tratta, evidentemente, di una visione pessimistica, cui concorda, purtroppo, una parte nettamente maggioritaria del campione: il 70,4%. Nello specifico, ben il 32,5% degli intervistati si dichiara "molto d'accordo", il 37,9% "abbastanza d'accordo", mentre appena il 17% afferma di essere poco d'accordo con questa affermazione ed una percentuale ancora più contenuta (6,6%) esprime totale disaccordo. Un altro indicatore piuttosto significativo sulla diffusione dei comportamenti illegali è offerto dall'evasione fiscale: si stima infatti che in Italia nel 2003 sia stata pari a circa 132 miliardi di euro.In questo ambito la criminalità organizzata è direttamente interessata visto che la sua prosperità è legata a doppio filo alla presenza di attività sommerse, non tutte illeciti. GLI ITALIANI E LE ISTITUZIONI Per indagare il grado di fiducia dei cittadini nei confronti delle diverse Istituzioni, 1'Eurispes ha posto una serie di quesiti sul tema relativo alla fiducia dei cittadini nelle Istituzioni. L'Unione europea risulta l'Istituzione nella quale ripone fiducia la più alta percentuale di intervistati: il 58,5% afferma di fidarsi molto o abbastanza, il 36,1% poco o per niente. Il riferimento all'Europa e ad un'Istituzione esterna al nostro Paese, nei confronti della quale sono estremamente diffusi i sentimenti di scontento e sfiducia, determina con molta probabilità questo risultato. In Italia, infatti, si tende a guardare spesso all'Europa con la convinzione che in generale vi si possa trovare maggiore efficienza e minore corruzione. Non a caso proprio lo Stato registra un maggior grado di sfiducia (44,1%), poiché in esso si identificano in buona parte il Governo ed i politici, la cui immagine è frequentemente contestata, ma anche la burocrazia e l'inefficienza, l'incapacità di cambiare le cose ed apportare miglioramenti. A fronte di una fiducia ridotta nello Stato, la Presidenza della Repubblica raccoglie la fiducia della larghissima maggioranza del campione (80%). In riferimento al titolo di studio sono i laureati con 1'86,3% ad esprimere il maggior grado di fiducia nei confronti della Presidenza della Repubblica. Seppur con un consenso molto meno netto, la Magistratura ottiene la fiducia della maggioranza degli intervistati (52,4%). Nettamente diversa la situazione relativa al Governo ed al Parlamento: la maggioranza degli intervistati ha poca o nulla fiducia nei confronti di queste due Istituzioni. Solo il 36,5% del campione afferma di avere fiducia nel Parlamento, mentre il 56,9% sostiene di non averne; ancora più bassa la percentuale di chi confida nel Governo (33,6%), mentre ben il 63,5% si dichiara poco o per niente fiducioso. È stato poi indagato il livello di fiducia dei cittadini nei confronti di altri tipi di Istituzioni. La più alta percentuale di intervistati fiduciosi si riscontra nei confronti delle associazioni di volontariato (89,9%), considerate dalla larghissima maggioranza del campione di grande utilità sociale ed espressione dell'altruismo e dell'impegno senza interessi personali e senza fini di guadagno. Grande consenso ottengono anche le Forze dell'ordine: 1'84,2% dei cittadini nutre "abbastanza" e "massima" fiducia nei Carabinieri; l'81,2% nei confronti della Polizia di Stato e il 72,3% nei confronti della Guardia di Finanza. Sempre in tema di fiducia, gli intervistati hanno espresso "abbastanza" e "massima" fiducia nei confronti della Chiesa e delle altre Istituzioni religiose per il 68,3%; segue la Scuola con il 50,7%; i sindacati con il 32,1% ; le associazioni degli imprenditori con il 31,2%; la Pubblica Amministrazione con il 28,7% e ultimi i partiti con il 13,6%. Nel caso dei partiti, inoltre, la sfiducia è più profonda e si lega alla convinzione ormai diffusa che i loro componenti perseguano unicamente ed indistintamente gli interessi personali, dimentichi del bene dei cittadini, e che agiscano molto spesso in modo non onesto. Addirittura il 48,6% del campione, quasi la metà, dichiara di non avere nessuna fiducia nei partiti, il 37,8% ne ha poca, il 10,9% abbastanza, il 2,7% massima. A confermare tale tendenza ci sono anche i risultati dell'indagine Eurispes sugli adolescenti, che ribadiscono la disaffezione generalizzata verso le forme organizzate di partecipazione politica: l'86,7% degli adolescenti non ha mai versato un contributo per un partito, l'86,1% non ha mai svolto attività gratuita per un'organizzazione partitica. Ad essere in crisi,però, è la fiducia nelle strutture organizzate e non l'interesse verso la politica. E' possibile osservare, infatti, come la maggioranza degli intervistati affermi di informarsi e discutere sui fatti politici spesso o qualche volta: il 61,3% parla di politica con gli amici, il 59,5% ascolta un dibattito politico in tv, il 55,6% si informa di politica sui giornali. Meno frequente appare l'ascolto di un comizio, cui ha partecipato qualche volta il 30,2% degli intervistati e spesso il 6%. Non mancano, tuttavia, coloro che manifestano completo disinteresse verso la politica: circa il 40% del campione non si informa mai di politica sui giornali, il 37,5% non ha mai ascoltato un dibattito politico in tv mentre più di un ragazzo su tre afferma di non parlare mai di politica con i propri amici. Per quanto riguarda i sindacati, solo l'età degli intervistati risulta correlata in misura significativa con il grado di fiducia espresso: fra i giovanissimi (18-24 anni) è più alta che fra gli altri la percentuale di soggetti fiduciosi nei sindacati. Solo il 18,5% dei soggetti fra i 18 e i 24 anni afferma di non avere nessuna fiducia nei sindacati, contro il 30,7% di quelli tra i 25 ed i 44 anni, il 37,4% di quelli fra i 45 e i 54 anni, il 31,3% di quelli di 65 anni e oltre. I ragazzi più giovani sembrano quindi mantenere un rapporto di maggiore fiducia ed identificazione nei sindacati. DOPPIA ARTICOLAZIONE MORALE Sempre in riferimento al sondaggio sulla "fiducia dei cittadini nelle istituzioni", il sesso degli intervistati si rivela una variabile significativa in merito alla fiducia nella Chiesa e nelle altre Istituzioni religiose. Gli uomini sostengono infatti più spesso delle donne di nutrire poca o nessuna fiducia in esse; fra le donne, al contrario, è nettamente più alta che fra gli uomini la percentuale di chi nutre molta fiducia nelle Istituzioni religiose (42,4% contro 29,2%). Poiché le donne religiose e praticanti sono solitamente più numerose degli uomini, il risultato non appare sorprendente. La fiducia nella Chiesa è correlata anche all'età dei soggetti: risulta gradualmente più diffusa all'innalzarsi dell'età, in particolare hanno massima fiducia nelle Istituzioni religiose il 20,5% dei 18?24enni, il 28,2% dei 25?44enni, il 39,4% degli intervistati di età compresa fra i 45 e i 64 anni ed il 51,8% di quelli dai 65 anni in su. Una tendenza inversa si riscontra per il titolo di studio: ad un titolo più elevato corrisponde una percentuale più bassa di intervistati fiduciosi nella Chiesa e nelle altre Istituzioni religiose. Anche se il Papa ritiene "moralmente inaccettabili" le tecniche di riproduzione assistita, sembra che gli italiani, interpellati sull'argomento, siano di diverso avviso: il 48% degli intervistati non ritiene che la fecondazione artificiale in tutte le sue forme possibili, sia immorale. In merito all'aborto il 63,8% dichiara che la legge numero 194 del 1978 "sancisce il diritto a mettere al mondo i figli in modo cosciente e responsabile". L'amore tra omosessuali viene poi condiviso dal 49,2% degli italiani, che lo ritiene "una forma di amore come l'eterosessualità"; in particolare ad essere più tolleranti sono le donne per il 55,2%, ma lo sono anche gli uomini per oltre il 43%. Posizioni laiche anche in tema di eutanasia: risulta favorevole il 59,5% degli italiani. Cosa sta succedendo nell'Italia cattolica? «Analizzando le diverse problematiche ? spiega Fara ? che in un modo o nell'altro coinvolgono la sfera religiosa come l'eutanasia, l'aborto, il divorzio, la fecondazione assistita e l'omosessualità emerge una forte divaricazione tra valori dichiarati e valori praticati. Si ha la sensazione che i processi di secolarizzazione abbiano affermato una doppia articolazione della morale nel senso che ci si dichiara cattolici anche se poi nella vita quotidiana i comportamenti appaiono distanti dalle prescrizioni della gerarchia della Chiesa e della stessa dottrina cristiana. Torna così di attualità lo stesso messaggio papale che individua l'Italia come terra di nuova evangelizzazione». PER UN FEDERALISMO SOLIDALE L'Eurispes, per il secondo anno consecutivo, ha misurato il livello di attuazione del federalismo da parte degli Enti locali attraverso lo stimatore LIF Livello di Impegno Federale. Cinque gli indicatori considerati nell'analisi dei conti consuntivi delle Amministrazioni comunali, relativi al biennio 2000-2001: autonomia impositiva, autonomia finanziaria, dipendenza erariale, rigidità strutturale e incidenza delle spese del personale. Sono state utilizzate due misure: una statistica, volta a determinare il grado di autonomia raggiunto, l'altra dinamica, che concentra l'attenzione sulla maggiore o minore rapidità con la quale gli Enti comunali territoriali si appropriano delle nuove opportunità e quindi la velocità di crescita del federalismo. Al fine di determinare la classifica del livello di impegno federale dei Comuni è stato predisposto un sistema di attribuzione dei punteggi sulla base di alcuni indici che scaturiscono, come premesso, dall'elaborazione dei bilanci delle Amministrazioni comunali di ogni regione. Dall'analisi dei dati emerge che le Amministrazioni comunali del Trentino Alto Adige confermano il loro primato di Enti locali più autonomi d'Italia, ponendosi in cima alla classifica elaborata dall'Eurispes con 381,9 punti. A seguire i comuni del Veneto (375,3), dell'Emilia Romagna (373,1), della Liguria (373,0) e della Lombardia (371,1). Da rilevare, inoltre, che sono sei le regioni che, rispetto alla graduatoria relativa all'anno precedente, guadagnano posizioni: Emilia Romagna e Umbria in testa, le cui Amministrazioni comunali salgono di 3 posizioni nella classifica generale dell'autonomia posizionandosi rispettivamente al 3° (6° posto nel 2003) e al 7° posto (10° posizione nel 2003). Seguono gli Enti comunali del Veneto e del Piemonte che posizionandosi al 2° e al 6° posto avanzano di 2 scalini rispetto al periodo precedente. In coda alla classifica si collocano le Amministrazioni comunali di Campania (299,6), Calabria (286,1), Basilicata (279,1) e, infine, Sicilia (246,9) penalizzate principalmente da una dipendenza erariale che sfiora mediamente la soglia del 50%. Un dato sul quale occorre riflettere considerato che il regime di assistenza finanziaria sull'entrate correnti rappresenta appena il 12,4% per il Piemonte e il 13,9% per la Lombardia. Il Trentino Alto Adige, poi, ottiene il migliore piazzamento anche nella graduatoria generale LIF delle Amministrazioni comunali che offre, attraverso un'analisi del biennio 2000?2001, il livello di impegno realizzato dalle realtà comunali per il raggiungimento della piena autonomia. Seguono la Valle d'Aosta (428,8), la Sardegna (407,6) e l'Umbria (405,2). Significativo il piazzamento tra le prime 11 posizioni di ben quattro regioni meridionali: Basilicata (5° posto; 403,2 punti), Puglia (6° posto; 400,8 punti), Campania (9° posto; 394,1) e Calabria (11° posto; 393,3). Un risultato per il Mezzogiorno che, malgrado continui a far leva principalmente sui trasferimenti e sui contributi provenienti dallo Stato, testimonia un crescente interesse ed impegno dei Comuni a raggiungere più adeguati livelli di autonomia. Un percorso ad ostacoli la cui piena attuazione dovrà necessariamente passare attraverso un inasprimento della fiscalità locale, affinché gli Enti comunali possano "pareggiare" i bilanci per continuare a garantire e/o migliorare il livello dei servizi ai cittadini. Di certo l'aumento dell'imposizione tributaria si farà sentire maggiormente nelle realtà comunali in cui è presente un basso livello di benessere sociale ed economico. Ma tali manovre correttive costituiscono una tappa obbligata per tutte le Amministrazioni comunali nel loro cammino verso la piena autonomia. «I dati indicano? conclude il Presidente dell'Eurispes Gian Maria Fara? che il processo di riforma federalista è in atto, ma occorre stare attenti a non accelerare troppo i tempi di risposta delle Regioni e a non aumentare il divario economico e sociale tra le diverse aree territoriali del Paese. Non si renderà un buon servizio al Paese se in nome della devolution si continuerà a demonizzare il ruolo e la presenza regolatrice dello Stato, a predicare il ridimensionamento quali?quantitativo dell'intervento pubblico, a perseguire con furia ideologica lo smantellamento delle funzioni di assistenza e di previdenza in direzione di un modello di welfare selettivo e residuale, a perseguire l'applicazione di un sistema di federalismo spinto e non improntato alla gradualità e alla solidarietà tra le regioni».