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LA SICUREZZA ALIMENTARE NELLE POLITICHE DELL'UNIONE EUROPEA

11 febbraio 2004

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(ACR) - Alla luce delle gravissime emergenze alimentari che hanno scosso il settore agricolo, il tema della sicurezza alimentare è divenuto, negli ultimi anni, oggetto di molteplici dibattiti. E' noto, difatti, solo per citare alcuni esempi, il forte impatto negativo che hanno avuto sui consumatori le vicende della "mucca pazza", dei polli alla diossina e le ripetute crisi di influenza aviaria. Tutto ciò ha avuto un duplice effetto. Da un lato, ha favorito una crescita spasmodica della domanda di sicurezza alimentare da parte dei fruitori finali dei prodotti agro-alimentari e la diffusione, tra essi, di una maggiore presa di coscienza, cosicché oggi il consumatore, a parte un giusto rapporto qualità prezzo, ritiene indispensabile acquistare un prodotto sicuro. Dall'altra ha garantito la definizione, a livello comunitario, di politiche e strumenti per rispondere alla domanda di sicurezza degli alimenti. Numerosi sono stati, infatti, i provvedimenti legislativi promulgati in proposito, alcuni semplicemente a carattere d'emergenza, per risolvere crisi contingenti, altri, invece, miranti a definire un quadro normativo più chiaro e a cautelare, a qualsiasi livello della filiera agro-alimentare, la salute del consumatore. Quello della sicurezza alimentare è, in ogni caso, un concetto complesso, al quale si possono dare diverse interpretazioni. Può rappresentare, per il produttore, un obbligo, un'opportunità o un dovere, ma diviene sicuramente un diritto se il problema si guarda dalla parte del consumatore. Certo è che esso interessa tutti gli step della filiera produttiva, coinvolgendo il produttore delle materie prime, quello del prodotto finito e via via tutti coloro che contribuiscono alla realizzazione del prodotto. Interessa anche il consumatore, nella misura in cui esso è ritenuto il responsabile della corretta conservazione dell'alimento. E' chiaro che un tema così complesso necessita di norme che si applichino trasversalmente a tutti i soggetti che operano nel ciclo della vita degli alimenti. Come è noto lo strumento attraverso cui l'Unione Europea, sin dalla sua nascita, ha disciplinato il settore alimentare è stato la Politica Agricola Comune. Tuttavia, in una prima fase, le Istituzioni comunitarie, hanno mirato, mediante l'adozione della PAC, a favorire l'incremento della produttività, senza però prevedere particolari disposizioni per la qualità e per la sicurezza dei prodotti. La politica comunitaria della sicurezza alimentare, nei primi decenni, dunque, è stata subordinata agli obiettivi della PAC, rimanendone ai margini. Gli interventi comunitari in materia di sicurezza alimentare sono stati rivolti, in questi anni, soprattutto a disciplinare gli aspetti sanitari degli scambi intracomunitari di animali e prodotti vegetali, continuando ad essere osservato il principio del paese di destinazione dei prodotti, in base al quale i prodotti alimentari commercializzati all'interno della Comunità Europea dovevano conformarsi alle normative vigenti nel paese comunitario importatore. Solo negli anni settanta è stato introdotto il principio del mutuo riconoscimento, in virtù del quale i prodotti alimentari ottenuti nel rispetto delle singole legislazioni nazionali potevano circolare senza alcuna restrizione in tutti gli altri paesi della Comunità. Ma le basi per lo sviluppo di un diritto europeo dell'alimentazione sono state gettate negli anni ottanta, allorché l'intervento normativo comunitario sui requisiti fondamentali di sicurezza nel settore agro-alimentare è stato subordinato alla protezione della salute pubblica, alla necessità di informare e di tutelare i consumatori, alla correttezza delle operazioni e alla necessità di provvedere ad un controllo pubblico. Con l'entrata in vigore del Mercato Unico Europeo, nei primi anni novanta, si è avuto un forte impulso allo sviluppo della normativa quadro in materia di tutela igienico-sanitaria dei prodotti alimentari. E' di questi anni la direttiva comunitaria che ha reso obbligatoria l'applicazione dell'HACCP (Analisi dei rischi e dei punti critici di controllo). Si tratta di un metodo di identificazione e sorveglianza dei punti chiave dei sistemi produttivi, idoneo a garantire un elevato standard igienico sanitario. In questo stesso periodo, a seguito dell'annuncio di un possibile collegamento tra la malattia animale BSE (Encefalopatia Spongiforme Bovina), ovvero "malattia della mucca pazza", e una nuova forma della malattia di Creutzfeldt Jacob che colpisce gli esseri umani, si è acuita la sfiducia dei consumatori. In risposta a tutto ciò la Commissione ha delineato, attraverso l'adozione del Libro Bianco sulla sicurezza alimentare un quadro giuridico volto a fornire un elevato livello di protezione della salute umana, della sicurezza e degli interessi dei consumatori. Nell'attuare tale riforma l'UE si è ispirata ad un approccio completo ed integrato, definito "dai campi alla tavola", che prendendo in considerazione tutti gli aspetti della catena di produzione alimentare, comprendendo anche i mangimi, come un unico processo, fissa quattro principi fondamentali : il principio di responsabilità per tutti gli operatori della filiera, il principio della rintracciabilità di filiera per sottoporre all'identificazione tutti i passaggi dalla produzione al consumo, il principio di precauzione nel caso in cui le informazioni scientifiche disponibili sul rischio siano insoddisfacenti, il principio di trasparenza che dovrebbe garantire la partecipazione delle parti interessati, compresi i consumatori. Novità molto importante è stata l'Istituzione dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare che ha visto, proprio alla fine dello scorso anno, assegnata come sede permanente la città emiliana di Parma. A tale autorità spettano le competenze in materia di valutazione e di comunicazione del rischio, nonché la gestione del sistema di allarme rapido. L'Autorità deve, inoltre, promuovere il collegamento, attraverso reti europee degli organismi operanti in materia di sicurezza alimentare negli stati membri. Dunque, negli ultimi quarant'anni si è assistito ad un proliferare di riferimenti normativi e di politiche rigorose finalizzate a garantire cibi sicuri. Ma ciò non è sufficiente, sicuramente tali interventi saranno tanto più efficaci quanto più si avrà la capacità di andare alla radice dei problemi dell'odierna produzione agro-alimentare di massa. Se si vorranno evitare le grandi emergenze, come quella della "mucca pazza", occorrerà fare una scelta che proceda nella direzione di un'agricoltura e di una produzione agro-alimentare sostenibile, rivolta a perseguire prodotti sicuri con bassi impatti ambientali. Sebbene il rischio zero in campo alimentare non esista, in tal modo sarà possibile ridurre notevolmente l'esposizione al rischio stesso per consumatori, produttori e ambiente. Le varie emergenze alimentari susseguitesi nel corso degli anni non sono, infatti, da ritenersi frutto del caso o incidenti di percorso, ma il risultato di un modo forzato di produrre alimenti, frutto di un produttivismo spinto finanziato dall'UE. Un sistema, quest'ultimo, che poteva avere una giustificazione agli albori della Comunità europea, quando si perseguiva l'autosufficienza alimentare, ma che da tempo ha mostrato tutti i suoi effetti nefasti. I consumatori europei hanno combattuto per anni questa politica, prima per gli alti costi economici, successivamente per gli effetti dannosi sulla salute e sull'ambiente, chiedendo riforme profonde. Produrre cibi sani non è un'utopia. Si potrà farlo intervenendo lungo tutta la filiera soprattutto nella fase agricola, attraverso una profonda modifica della politica agraria fino a questo momento sostenuta e destinando sempre maggiori risorse pubbliche a produzioni sicure e di qualità, a sistemi di allevamento rispettosi del benessere animale, ad aziende che adottino politiche di tutela dell'ambiente. (G.M.)

Redazione Consiglio Informa

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