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QUANDO GLI EMIGRANTI PARLAVANO IL "COCOLICHE"

02 marzo 2004

Gente e luoghi dell’espatrio lucano in Argentina

© 2013 - emigrante.jpg

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(ACR) - Il fenomeno migratorio verso l'Argentina è stato analizzato da Carmela Nardiello nella sua tesi di laurea, discussa presso l'Università degli Studi della Basilicata, che ha partecipato al concorso indetto dal Consiglio Regionale di Basilicata per promuovere ed incentivare le ricerche su argomenti ed aspetti peculiari della nostra regione. L'emigrazione oltreoceano costituisce certamente uno degli aspetti più caratterizzanti della storia recente della Basilicata ed è questo il motivo per il quale è diventato oggetto di studi dalle più diverse angolazioni. Le ricerche recenti su questo tema hanno tentato di delineare non solo gli aspetti motivazionali sottesi alla decisione di partire, ormai da più parti analizzati, ma anche di illustrare gli argomenti poco indagati dagli studiosi come quello linguistico o sociale riguardante l'inserimento di una cosi vasta massa di persone in un nuovo ambiente. In questo filone di indagini si inserisce appunto l'analisi compiuta dalla Nardiello nella sua tesi che. oltre a tracciare il quadro storico relativo alle cause e alle interpretazioni economiche di un fenomeno di così vasta portata spesso descritto però soltanto con connotazioni oleografiche, tenta anche di ricostruire attraverso un'analisi di testi prodotti da nostri connazionali residenti in Argentina e con un'intervista ad una emigrante il modo d'esprimersi di queste persone rilevando l'esistenza di un legame ancora forte con la propria terra: il ricordo del paese, degli affetti familiari, della propria Patria sono i vincoli che mettono in comune persone nate nello stesso ambiente sociale e culturale che però imboccarono strade differenti. All'indomani dell'Unità d'Italia molti, spinti dalla situazione di indigenza, cercano come soluzione la via dell'emigrazione verso l'America e l'Argentina in particolare. La decisione di partire pur essendo presa autonomamente si realizzava quando si erano ricevute rassicurazioni di aiuto da parenti o amici recatisi nel Nuovo Mondo mesi o anni prima. Chi decide di espatriare, specie all'inizio del secolo, periodo in cui ha inizio il flusso migratorio oltreoceano, lo fa senza conoscere esattamente cosa lo aspetti nella nuova destinazione. Le notizie che giungevano dipingevano l'America come un paese dove tutto era straordinario: non era difficile lasciarsi suggestionare da chi raccontava di quella terra dove c'era lavoro, c'era da mangiare e un futuro assicurato per tutti. Un primo tipo di spostamento chiamato delle "golondrinas" (rondini) riguardò principalmente l'espatrio temporaneo verso le regioni del Plata in America Latina: molti lasciavano l'Italia sul finire di ottobre o al principio di novembre, lavoravano in Argentina per circa tre mesi alla mietitura del grano e poi tornavano in patria soddisfatti del gruzzolo accumulato. Ben presto questo tipo di vita non fu più possibile, i costi aumentavano e non era più possibile sostenerli, bisognava porre rimedio: o la "Merica" o il paese, e furono pochi coloro che decisero di tornare rispetto a quelli che restarono. Lo spostamento assunse dimensioni bibliche, dal 1900 al 1914, periodo di cui si possiedono dati abbastanza verosimili, abbandonarono la loro regione più di duecentomila persone. Per la maggior parte si trattò di persone con scarsa cultura e con poca specializzazione: agricoltori, pastori, boscaioli, manovali che una volta giunti nel paese di destinazione non disdegnarono nessun tipo di occupazione che avesse consentito loro di vivere un'esistenza dignitosa. In pochi anni le terre del Mezzogiorno furono private della parte più produttiva della popolazione: l'esodo riguardò soprattutto la fascia d'età compresa tra i 25 e i 50 anni, persone che partirono in cerca di una vita migliore, diversa da quella dei propri paesi d'origine caratterizzata da ingiustizie, isolamento, analfabetismo. L'accoglienza ricevuta dai nostri corregionali nel paese di destinazione è l'altro aspetto considerato nella ricerca della Nardiello. Non tutto fu così facile ed a portata di mano, la nuova vita che gli emigranti si apprestavano ad iniziare non si rilevò però essere quella tanto desiderata, l'inizio di una rinnovata esistenza nel Nuovo Mondo fu molto difficile. La conoscenza della lingua determinò, secondo l'autrice, l'inserimento del nuovo arrivato nei differenti contesti sociali. L'uso del dialetto da parte della maggior parte degli emigrati non permetteva una facile integrazione anche soltanto con le persone provenienti da altre parti dell'Italia dove era diverso il modo di parlare. Farsi capire e comprendere l'idioma locale era il problema principale che gli emigranti si trovarono ad affrontare appena giunti nei paesi di destinazione, la commistione tra la lingua del paese dove si era appena arrivati e il dialetto parlato dalla stragrande maggioranza di loro portò alla creazione di quello strano pastiche linguistico chiamato "cocoliche". Nato come personaggio del teatro dell'arte argentino interpretato da un attore italiano, certo Cocolicchio, il "cocoliche" designava la figura dell'immigrato italiano incapace di fare propria la nuova lingua. Per estensione con lo stesso termine si indicò la lingua parlata dai nostri emigranti. L'Argentina fu il paese dell'America che accolse indubbiamente nella maniera migliore questa massa di persone grazie ad una politica immigratoria di vasta apertura considerata di capitale importanza per il progresso del paese. Il territorio argentino era poco popolato ed i governanti del tempo erano convinti che quelle grandi distese di terreni fertili messe a coltivazione avrebbero prodotto grandi quantità di beni. La formula era semplice e sembrava potesse durare per lungo tempo: il paese esportava carne, grano e lino mentre importava manodopera ed idee che avessero la capacità di permettere un accellerato sviluppo economico ed industriale. Lo scopo di popolare le zone rurali però fallì a causa di mancanza di infrastrutture e di incentivi, gli emigrati così preferirono impiegarsi in altri settori come quello industriale stabilendosi nei maggiori centri urbani. La ricerca di manodopera nelle città che si andavano ampliando non mancava, tanto che parecchi degli emigranti cominciarono a lavorare come manovali nell'edilizia fino a quando l'indipendenza economica non consentiva loro di cambiare mestiere andando ad occuparsi presso le amministrazioni locali come operai addetti alla costruzione di edifici pubblici o alla realizzazione di strade e ferrovie. Gli italiani comunque assimilarono prontamente i valori della nuova patria adottiva, si adattarono agevolmente alle nuove circostanze dando luogo a quell'integrazione sociale che è andata completandosi con l'ultima generazione. In qualunque città argentina la presenza italiana e dei lucani in particolare fu preponderante, le qualità riconosciute alle comunità immigrate dall'Italia come la laboriosità e l'intelligenza concorsero all'edificazione di un'intera nazione che ne subì l'influsso nei più differenti campi culturali, dalla lingua alla religione, dalla gastronomia alle credenze popolari. L'unico settore nel quale gli italiani tardarono ad inserirsi fu quello della pratica di governo, forse perché la ricerca di una vita dignitosa non corrispondeva agli oscuri giochi di potere della politica o forse perché tanti nascondevano dentro di sé un progetto di ritorno che continuò insistentemente fino alla morte. Oggi, secondo l'autrice, il processo di integrazione per i discendenti dei primi emigranti può dirsi realizzato, ma rimane comunque ancora forte il legame con la propria terra da parte di chi partito in cerca di un destino migliore non è più ritornato in patria. (V. S.)

Redazione Consiglio Informa

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