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(ACR) DA ISABELLA MORRA A FRANCESCO D'ASSISI

09 giugno 2004

"Per Conto del Padre" è il secondo romanzo storico di Domenico Mancusi

© 2013 - libro_mancusi.jpg

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(ACR) - Una storia di famiglia, di amicizia e di amore. Un romanzo dalle coordinate storiche intatte, ma intrigante per trama, linguaggio ed epilogo. "Per conto del padre" è l'ultimo libro di Domenico Mancusi, pubblicato da Pianetalibro Edizioni di Franco Sabia. La stesura finale, ha richiesto quattro anni di studi, letture e ricerche. E' la seconda opera letteraria dell'autore potentino che, nel 1999, aveva esordito con "Sotto un cielo piccolo", un romanzo cinquecentesco, sulla sfortunata vicenda della poetessa di Favale Isabella Morra. Dopo il successo ottenuto come finalista dei premi Calvino, Assisi, Procida, Firenze e Basilicata e l'adozione – sempre del primo romanzo - come testo di narrativa nelle scuole, Mancusi è ora impegnato a far conoscere la nuova opera. Presentata prima al museo provinciale di Potenza e poi al circolo La Scaletta di Matera, nei giorni scorsi ha incuriosito il pubblico di Pignola. Per iniziativa della Pro-loco "il Portale", in piazza Vittorio Emanuele, ne hanno discusso, insieme all'autore, Nico Curci e Margherita Romaniello. Il racconto, ambientato nel Medioevo, parla degli anni decisivi in cui Francesco d'Assisi rinuncia alle ricchezze e abbraccia la via della fede in completa povertà. Il romanzo, più che la questione religiosa, affronta il dissidio padre-figlio, la delusione subita da Pietro di Bernardone e monna Pica, (genitori del Poverello), che per il loro prediletto avevano preparato ben altro futuro. Pietro, ricco mercante, avido e ambizioso, vede sfumare il suo progetto di acquisizione del titolo nobiliare, perché il figlio degenere si rifiuta di diventare cavaliere e sposare la baronessina Martinarosa dalla Robbia. La vicenda, nell'invenzione di Mancusi, è narrata da Pelagio Costanzo, coetaneo di Francesco e amico di tante avventure. Ma la stessa sorte di Pelagio, scrivano e miniatore tra i più bravi di Assisi, gaudente seduttore di donne anche maritate, subisce una svolta. Accusato di negromanzia e sortilegi demoniaci, Pelagio cade in disgrazia e viene punito con l'amputazione della mano destra. Pietro di Bernardone non si rassegna. Assolda Pelagio e fa spiare Francesco perché non gli procuri altri disonori. Mentendo, l'amico sfrontato finge di condividere la vocazione dei frati. Dopo tre mesi di stenti, ritorna al palazzo di messer Pietro, ma non riesce a raccontargli ciò che ha visto, perché perde la parola. E proprio quando accetta di "vergare" il resoconto "per conto del padre" di Francesco, si compie l'epilogo di una nuova storia d'amore che assicura al romanzo un imprevisto lieto fine. Pietro di Bernardone rimarrà consegnato alla storia come un perdente, irriducibile, ambizioso e calcolatore "mercatante", degno dei tempi e di una comunità ipocrita e superstiziosa. Quanto ai due amici, la sofferta esperienza umana di Pelagio rende ancora più esaltante la redenzione e la santità di Francesco. A Domenico Mancusi il merito di aver illustrato, attraverso gli occhi e le parole di Pelagio, uno spaccato ambientale e sociale pieno di suggestioni, riferimenti, ambiguità, tradizioni lontani molti secoli, ma resi più vicini e comprensibili da un linguaggio scorrevole e avvincente, convincente anche nel ricorso agli arcaismi che ne accrescono il gusto e la credibilità. "La responsabilità di chi scrive è enorme – ci ha dichiarato Mancusi. Soprattutto se poi, anche se in forma romanzata, si tocca la vita e le gesta di un santo riconosciuto e venerato in tutto il mondo. La vicenda storica va rispettata e salvaguardata, senza rinunciare alla possibilità di interessare e catturare il lettore". La rinuncia alla ricchezza, il ripudio dell'esempio paterno, la radicalità di una scelta spirituale totale potrebbero alludere a qualche morale da far valere anche oggi? "Pietro di Bernardone, mercante avido e spregiudicato, alla spasmodica ricerca di un titolo nobiliare da far valere nella società del tempo a qualsiasi costo, e sua moglie, dama di Provenza, delusa e addolorata dal comportamento del figlio, - precisa lo scrittore - non erano certo la sacra famiglia del "nuovo Gesù", predicatore di povertà e osservante alla lettera del Vangelo. La Chiesa opulenta di Innocenzo III acconsentì, suo malgrado, alla nascita dell'ordine francescano e delle sue ferree regole. Ma questi sono i fatti, raccontati con onestà e senza speculazione. Non credo spetta a chi scrive indicare la morale. Lo scrittore ha il compito di scrivere una bella storia. Ho provato, come un attore, a immedesimarmi in ognuno dei personaggi che ho creato. E ho tentato di farlo attingendo a tutto il mio bagaglio di conoscenze, sentimenti e spiritualità. Se al lettore arriverà l'eco di questa mia "anima", sarò contento come un'artista soddisfatto della sua opera". (P.R.)

Redazione Consiglio Informa

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