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(RegioneInforma) POVERTÀ, ESSENZIALITÀ E PROVINCIALITÀ DELLE PERGAMENE DEL MONASTERO DI S. ELIA

29 luglio 2004

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(ACR) - Nella Vita di S. Elia il giovane, vissuto in area calabro - sicula tra i secoli IX e X, è raccontato un curioso episodio: S. Elia, quando vide che il suo discepolo Daniele possedeva un salterio di pregio, gli ordinò di gettarlo nel fiume; questi gli ubbidì e, tornato poco dopo presso il fiume, dopo aver recuperato il libro rimase sbalordito nell'accorgersi che il volume non era stato per nulla danneggiato dall'acqua. Lo scopo dell'agiografo non era certo quello di presentare S. Elia come un nemico dei libri; l'aneddoto costituisce un esempio (oltre che della virtù dell'ubbidienza) della capacità di rinunciare ad un bene materiale; il disprezzo dei beni terreni, infatti, era una componente fondamentale della vita povera dei monaci. Il salterio che leggeva Daniele doveva essere un prodotto di pregio, in tal senso forse un'eccezione rispetto ad altri libri custoditi nelle biblioteche dei monasteri italo-greci: alla povertà della vita monastica fatta di pasti frugali a base di ortaggi crudi, frutta, erbe raccolte nei boschi e legumi inumiditi senz'olio, si affianca una produzione libraria, per la maggior parte, non di lusso. Molti dei volumi appartenuti alla biblioteca del monastero di S. Elia hanno dimensioni abbastanza ridotte, come il Vat. gr. 1982 (X sec.) ed i Vatt. gr. 1980 e 1981 (oggi divisi, ma che originariamente costituivano un unico volume del X sec.), nessuno codice ha grande formato; tutti quanti sono costituiti da fogli di una pergamena di mediocre qualità, poco levigata, a volte molto scura. Indice della poca cura nella lavorazione della pergamena è, poi, lo spessore dei fogli: si può avere quasi difficoltà nello sfogliare i quaternioni centrali del Vat. gr. 2005 (XII sec.) che hanno pagine molto spesse e rigide; al tatto, poi, la pergamena è ruvida, di colore giallastro tendente al grigio e piena di difetti: macchie, irregolarità dei fogli, buchi, radici dei peli spesso visibili, segno evidente che la pergamena non ha subito una buona operazione di levigazione. La rigatura dei fogli, effettuata a punta secca, e raramente anche con la matita, rivela in alcuni casi trascuratezza: nel Vat. gr. 1963 (XI sec.) le righe di scrittura non sono tutte parallele ma alcune si presentano oblique, in salita rispetto al punto iniziale da cui sono tracciate. Il Vat. gr. 2026 è poi un palinsesto, cioè il manoscritto è stato confezionato con fogli appartenuti ad un altro volume più antico. Si tratta di un procedimento ispirato al reimpiego normale delle tavolette di cera: la pergamena di un volume precedente era lavata, raschiata e quindi levigata per ricevere un nuovo testo. Tale procedimento nasce, ovviamente, dalla rarità e dal costo della materia scrittoria; in tutta l'Italia meridionale la percentuale dei palinsesti è davvero elevata, mentre, ad esempio, a Costantinopoli i palinsesti si fanno più frequenti con il declino economico a cominciare dal XIII secolo. Il segnale più evidente della mancanza di interesse verso un prodotto di lusso si riscontra attraverso l'analisi dell'ornamentazione dei manoscritti del monastero: ovviamente in essi non si trovano miniature, ma soltanto elementi decorativi finalizzati ad arricchire o evidenziare determinate parti del testo. Si tratta in sostanza di ciò che, in termini tecnici, viene definita ornamentazione non figurativa; essa è importante nello studio di un manufatto librario perché è uno degli elementi per la localizzazione del codice in quanto effettuata durante la trascrizione del testo, a differenza delle miniature che erano spesso realizzate in ambienti diversi da quelli in cui era stato trascritto il testo. Nei manoscritti della biblioteca di Carbone troviamo, infatti, molti elementi comuni a tutta la produzione libraria italo–greca: particolari forme di lettere maiuscole, colori, motivi ornamentali che riempiono fasce o cornici all'inizio o alla fine dei testi; l'esecuzione della decorazione è ingenua, in alcuni casi addirittura maldestra. Tra le lettere maiuscole poste all'inizio del rigo di scrittura nella prima riga della pagina o in quelle all'interno di essa, possiamo annoverare le forme più disparate. Quelle più semplici sono contornate, spesso riempite (tra le due linee che disegnano il contorno della lettera) dallo stesso inchiostro del testo come nel Vat. gr. 2022 (X sec.), oppure dal giallo, come nel Vat. gr. 1980 (X sec.); a volte le lettere sono piccole, tarchiate e riempite di colore, un esempio ricorrente è quello dell'omega costituito da due cerchi che si incrociano, realizzati nelle estremità da un doppio tratto spesso riempito di inchiostro (esempi nel Vat. gr. 1963). In tutti i manoscritti del nostro monastero si distingue una particolare forma della lettera epsilon costituita dall'elemento verticale formato da un doppio tratto in genere riempito di colore e i due tratti orizzontali superiore e inferiore che terminano con due triangolini alle estremità. L 'alpha presenta una grande varietà di forme, tutte molte diffuse nei manoscritti provinciali: ci si imbatte nella forma simile ad un piccone (Vat. gr. 2022, f. 28), oppure la lettera è a boucle, realizzata con un asta verticale a doppio tratto e un occhiello attaccato generalmente a doppio tratto di dimensioni ridotte; ancora nel Vat. gr. 2029 (XI sec.) si trova l'alpha a forma di forca: i due tratti obliqui della lettera non si incontrano formando così un triangolo, ma sono uniti da un tratto orizzontale superiore prolungato di molto verso sinistra e terminante con un trattino rivolto verso il basso. Il kappa, il tau contornati, o semplici, presentano spesso un tratto obliquo accessorio che si prolunga alla sinistra della lettera, gli esempi più ricorrenti sono nel Vat. gr. 2024, manoscritto in cui si ritrova un'altra forma tipica dell'Italia meridionale: un omicron di forma maiuscola realizzata non con la tradizionale forma di cerchio, ma con due ellissi poste l'una a fianco all'altra che fanno assumere alla lettera le sembianze di una goccia capovolta, cioè con la punta verso il basso. Elementi peculiari della decorazione italo-greca e molto ricorrenti nei codici di Carbone sono le iniziali zoomorfe in cui il corpo della lettera è sostituito dalla forma di un animale: nel Vat. gr. 2022 (foglio 35), ad esempio, il disegno di un pesce sostituisce uno iota incipiente di riga, oppure il tema zoomorfo si manifesta in un uccello che si attorciglia intorno al tronco della lettera formando così un alpha (Vat. gr. 2029, f. 38). Particolarmente carine a vedersi sono, poi, le iniziali antropomorfe: l'esempio più ricorrente è la sostituzione dell'omicron con un volto umano (Vat. gr. 2029, f. 186); davvero particolare e simpatica una forma di omega nel f. 49 del Vat. gr. 1982: il tratto verticale centrale è costituito da un volto in cui si ritrovano i grandi occhi stilizzati simili ad occhiali (elemento comune dei manoscritti greci italo-greci) mentre i due tratti laterali sono realizzati con un unico tratteggio e rappresentano le braccia della figura umana. Le differenti parti di testo sono separate da fasce ornamentali molto semplici, costituite da virgolette terminati con elementi floreali (Vat. gr. 1963, f. 154), oppure da fasce ad intreccio. A volte il titolo del testo è segnalato dalla presenza, nel margine destro del foglio, del disegno di un uccello, si tratta di un vezzo decorativo comune solo ai manoscritti italo-greci; esempi interessanti si possono osservare sui fogli del Vat. gr. 2022 (X sec.), del Vat. gr. 2029 (XI sec.) e del Vat. gr 2026 (XII sec.), disegnati con lo stesso inchiostro del testo o con colori differenti. Si trovano, d'altra parte, motivi tipicamente costantinopolitani realizzati però con colori provinciali, ad esempio nel Vat. gr. 1980 (X sec.), al foglio 5 ,vi è una cornice ornamentale riempita con un motivo a fiori e foglie tipico dei manoscritti delle aree centrali dell'impero: un fiore costituito da cinque foglie o petali che racchiudono una fogliolina centrale più piccola. Questa decorazione si trova frequentemente nei codici costantinopolitani a partire dalla seconda metà del X secolo eseguita, su fondo d'oro, con i colori verde e blu e con lumeggiature di bianco o oro; nel nostro codice provinciale, invece, sono adoperate soltanto forti tonalità di verde opaco e violetto. Proprio i colori opachi, mai brillanti, contraddistinguono i manoscritti provinciali; i più ricorrenti nei manoscritti della biblioteca di Carbone sono il giallo, marrone, rosso e violetto, per lo più si tratta di colori scadenti, vivi e contrastanti. Ottimi esempi di tale ornamentazione policroma sono nei Vatt. gr. 2024 (X sec.) e Vat. gr. 2029 (XI sec.). In molti codici di Carbone troviamo, poi, titoli o altre porzioni di testo da segnalare, spalmate di giallo; si tratta di una tecnica che produce nella pagina un effetto non diverso dai moderni evidenziatori e che è molto ben attestata in manoscritti di ambiente italo –greco, pur essendo diffusa anche altrove (Vat. gr. 2026, Vat. 2022). Nel Vat. gr. 2005, l'eucologio di Carbone copiato tra il 1197 e il 1211, alcune lettere sono, invece, spalmate di rosso e con lo stesso rosso, spesso ed opaco, sono anche vergate le iniziali o intere parole; il codice presenta un'ornamentazione monocroma, con pochi motivi ornamentali di tipo tradizionale realizzati, però, in modo maldestro. In sintesi, un libro provinciale, dalla manifattura economica, essenziale nei suoi elementi accessori e dunque, possiamo immaginare, decisamente diverso dal salterio di lusso di cui fu costretto a privarsi il discepolo di S. Elia. (R.C.)

Redazione Consiglio Informa

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