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(RegioneInforma) PREVISTA A SENISE UNA TARTUFAIA CONTROLLATA SPERIMENTALE
29 luglio 2004
(ACR) - In Basilicata la tartuficoltura muove i primi passi. Coltivazione, raccolta e vendita dei tartufi sono regolati dalla legge regionale 35/95 che recepisce le direttive nazionali della legge quadro 752/85. La norma, che finora non ha avuto piena attuazione, prevede un finanziamento pari al 50 per cento dell'investimento effettuato da privati per creare "tartufaie controllate", ossia tartufaie da far sorgere in aree adiacenti a tartufaie naturali e da realizzare con operazioni di decespugliamento, eliminazione di erbe infestanti, irrigazione ed attente cure colturali post-impianto. E c'è chi comincia ad approfittarne. A Senise, infatti, sorgerà entro l'anno una tartufaia controllata sperimentale su progetto della Comunità Montana "Alto Sinni" con finanziamento di 450mila euro (fondi Ue del Pon e della Regione). Si prevede, dunque, una valorizzazione del tartufo locale anche grazie al contributo scientifico dell'Università della Basilicata. Oltre alla coltivazione in serre, si è pensato anche di avviare un processo di formazione e informazione tra i ristoratori del Pollino, oltre che di affiancare il lavoro di esperti della Società nazionale dei tartuficoltori i quali si occuperebbero dell'allevamento e dell'addestramento di cani da tartufo. I tartufi hanno da sempre interessato filosofi, scienziati e biologi. Da secoli il tartufo è stato al centro di dispute alle quali non si è sottratto neppure il filosofo greco Teofrasto, il quale supponeva che i tartufi fossero dei vegetali senza radici, originati durante le piogge autunnali accompagnate da tuoni. Plutarco pensava fossero prodotti dalla fusione di tre elementi quali l'acqua, la terra ed i fulmini. Cicerone venne attirato dall'origine misteriosa di tali organismi, tanto da considerarli figli della Terra. Lo stesso Plinio il Vecchio li considerava "callosità della terra e miracolo della Natura". Riservati da secoli alle tavole dei potenti, tradizionale omaggio ai nobili ed ai sovrani, ricercatissimi per la loro bontà e per la loro qualità afrodisiaca, i tartufi oggi arricchiscono, sotto molti punti di vista, la terra in cui si trovano. Un impianto tartufigeno, realizzato in linea con le necessità di sostenibilità delle attività umane, oltre a produrre reddito aggiuntivo per gli agricoltori, può migliorare l'aspetto e la salute dei boschi. L'impianto di una tartufaia può rappresentare, infatti, un particolare intervento di rimboschimento che prevede l'introduzione di piante rese più resistenti alla siccità nonché più rigogliose e produttive dalla simbiosi con i tartufi. In Basilicata andar per tartufi sta diventando un'attività redditizia, anche se risulta quasi impossibile al momento fare stime sul peso del settore nell'economia regionale in assenza di dati ufficiali. La carenza di informazioni limita purtroppo i margini di sviluppo nel settore e quindi anche la possibilità di maturare politiche di valorizzazione e di sostegno. Ciò nonostante, grazie agli uffici del dipartimento Ambiente è possibile stilare una mappa delle aree da tartufo. La tartuficoltura si concentra essenzialmente in dodici paesi della provincia di Potenza: Carbone, Calvera, Chiaromonte, Gallicchio, Fardella, Francavilla, Missanello, Roccanova, San Chirico Raparo, San Martino, Sant'Arcangelo e Teana. Qui è possibile trovare, oltre al pregiatissimo tartufo bianco, anche molte altre specialità di questo prezioso tubero. I prezzi variano e dipendono dal raccolto. Per un chilo di tartufo bianco il costo oscilla dai 500 ai 4000 euro. In Basilicata i tartufai autorizzati sono circa 300 e per lo più risiedono nel Sud della regione, l'area meno popolata ma la più ricca del prezioso tartufo bianco. Il tesserino per l'idoneità alla raccolta viene rilasciato per cinque anni, rinnovabili dalle Comunità montane ai soli residenti lucani. È però necessario superare una prova orale sulla modalità di raccolta del tartufo. La ricerca del tartufo va eseguita con l'ausilio di un cane addestrato e lo scavo con apposito attrezzo, il cosiddetto vanghetto o vanghella, limitato al punto ove il cane lo ha iniziato. Il tesserino ha valore sull'intero territorio nazionale e la tassa di concessione annuale è di 92 euro. Dal momento però che si tratta essenzialmente di un mercato sommerso e legato al passaparola tutti tengono all'anonimato. Ovviamente esistono anche episodi in cui quello che all'inizio era considerato un passatempo, una passione, uno sport si è trasformato in una vera e propria fonte di reddito familiare. È il caso di due coniugi di San Chirico, in Val d'Agri, cercatori di tartufi da quasi trent'anni. Hanno avviato quattro anni fa un'attività commerciale di prodotti tipici a base di tartufo, come il patè, la pasta e l'amaro al tartufo. All'ultima borsa di Alba, alla fine del 2003, la pregiata trifola bianca raccolta nelle terre di San Chirico è stata quotata oltre 4000 euro al chilo. In Basilicata invece è raro che le quotazioni superino i 1500 euro. Anche per questo motivo, forse, poco del prezioso tubero resta sulle tavole lucane. Di solito le primizie vengono vendute a degustatori della Puglia e della Campania o ai commercianti di Alba (Cuneo) e di Acqualagna (Pesaro). (K.S.)