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(RegioneInforma) IL GIOCO DELLA VITA E' UN CAMMINO VERSO LA PERFEZIONE
23 settembre 2004
(ACR) - Cos'è un mito? Un mito non è una storia qualunque. È una storia sacra e, pertanto, è una storia vera ed esemplare. Ripercorrere una di queste storie significa anche tentare una vera e propria immersione nell'immaginario collettivo ed avviare, in questo modo, una ricerca archeologica dei grandi temi culturali. Sisifo per esempio, eroe di una pena infinita, infinitamente ripetuta. Quello che resta di lui è essenzialmente la sua condanna: trascinare eternamente un macigno verso la cima di un monte per vederlo eternamente ricadere verso il basso, da dove l'eroe dovrà riprenderlo per ripetere l'inutile sforzo. Poco però si dice della sua colpa. La vicenda terrena di Sisifo, figlio di Eolo, è costellata di continue furberie, bricconerie, inganni e sotterfugi. Ma al di là di tutto, la storia di Sisifo è solo la storia di un eroe condannato ad una straordinaria fatica che non trova compimento. La sua storia, il suo nome è evocato ogni qualvolta gli uomini sentono i propri sforzi destinati inevitabilmente alla sconfitta. Ma chi di noi non ha una pietra da rotolare, un peso da portare? E può succedere che il peso diventi insopportabile e lo sforzo di trascinarlo ci appare spropositato rispetto alle nostre energie. Anzi, più sono fragili le forze a disposizione più il macigno da trasportare sulla cima della montagna diventa insostenibile e meno siamo disposti a tollerare che ogni volta rotoli di nuovo in basso, e di nuovo siamo costretti a riprenderlo e a ricominciare daccapo il nostro lavoro. Se ci si sofferma solo sui fallimenti la storia di Sisifo può essere disperata. Potrebbe valere la pena considerare quello che dicono i maestri zen: "La vita è cadere sette volte e rialzarsi otto". Affinché un mito diventi universale deve funzionare come un "scatola vuota". Deve cioè accogliere le infinite proiezioni che gli uomini possono immettere dentro questo fantomatico contenitore che, pur avendo una forma ed un contenuto suoi propri, è nella sua essenza disposto ad accogliere tutto ciò che è declinazione del suo tema. Il macigno di Sisifo è solo un nome. Ognuno può rinominarlo con ciò che crede. Il macigno è, in modo generico, la fatica di vivere, ma i suoi contenuti sono tangibili e concretissimi e prendono di volta in volta nomi diversi. Salute, lavoro, affetti, tensioni, impegni, progetti… eppure sono solo declinazioni di un unico nome: un macigno da far rotolare. Ecco il mito pensato come ad una "scatola vuota" da riempire con i nostri contenuti, capace di polarizzare la nostra attenzione perché storia vera della nostra vita. Ora si, possiamo nominare il nostro macigno. Gli uomini faticano alla ricerca di un senso per la propria esistenza. Si guardano attorno per cercare segni e appigli, ma spesso si smarriscono nella foresta. Lanciano reti per afferrare il mondo, costruiscono metafore per la sua leggibilità. Affinché il nostro racconto possa funzionare come una "scatola vuota" è necessario eliminare ogni segno specifico che lo inchioderebbe ad una determinata identità. Il segno deve conservare la propria specificità, deve essere essenziale e, nel contempo, deve tendere ad una universalità. Nessuno è Sisifo, ognuno è Sisifo. Si raggiunge una straordinaria efficacia proprio nella nudità del segno, la cui essenzialità permette di raggiungere il doppio obiettivo della particolarità e della universalità. Pensare alla fatica del vivere senza le energie necessarie allo scopo è pura follia. Dobbiamo essere pazienti disegnatori di mappe e attenti conoscitori delle nostre possibilità. Non ci è concesso di stare nel mezzo, fermi in una posizione di stallo, sospesi in una condizione irrisolvibile. Dobbiamo tentare sempre di trovare un equilibrio, fragile quanto si vuole, ma pur sempre un equilibrio. E la possibilità di trasformare il seppur pesante macigno di Sisifo in una biglia, o addirittura in una perla, allude ad una possibile trasformazione dello sforzo in gioco. Un gioco che aspira alla perfezione e nel contempo evoca la sua infinita illusorietà. Ma ogni giuoco che si rispetti presuppone l'accettazione temporanea, se non di un'illusione, almeno di un universo chiuso e convenzionale. Chi vuole giocare deve sapere fin dal principio qual è la posta in gioco, perché lo scopo non sia solo quello di ingannare il tempo. Ecco come Herman Hesse nel 1975 tracciava le linee del Giuoco universale, via maestra di ogni illuminazione e perfezione. "Esso era una squisita e simbolica forma di ricerca della perfezione, una sublime alchimia, un accostamento allo spirito in sé concorde, al di sopra di ogni visione e pluralità, dunque un accostamento a Dio. Come a suo tempo i pensatori credenti rappresentavano la via delle creature quale un cammino verso Dio e vedevano compiuta e terminata la varietà del mondo fenomenico soltanto nell'unità divina, così all'incirca le figure e le formule del Giuoco delle perle costruivano, suonavano e filosofavano in una lingua universale che traeva alimento da tutte le scienze e le arti, avviandosi, giocando e faticando, verso la perfezione, verso l'essere puro, verso la realtà pienamente compiuta". Forse è proprio questo il punto. Forse la saggezza della nostra storia è che la vita è, nello stesso tempo, macigno e biglia (o perla), immane pesantezza ed insostenibile leggerezza, duro lavoro e gioco ridente. Forse gli uomini sono proprio come gli dei, purché sappiano trasformare una rupe in una perla. (K.S.)