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(RegioneInforma) I LUCANI, POPOLO DI OBESI
23 settembre 2004
(ACR) - Quando si parla dei lucani, si pensa ad un popolo generoso, ospitale e…. "mangione". Il piacere della tavola è una prerogativa della nostra regione, ma lasciarsi andare a sughi, sughetti, intingoli e manicaretti ricchi di sapori, inevitabilmente comporta un rischio: quello di ingrassare. Ne risulta che il 45 per cento della popolazione lucana è in sovrappeso (circa 10 chili in più sul peso forma) e il 15 per cento appartiene alla categoria degli obesi (20 chili in più). Lo conferma un rapporto sull'obesità in Italia, frutto di una ricerca condotta dall'Istituto Auxologico italiano, che ha anche analizzato il rapporto tra gli anziani sopra i 65 di età e il cibo. Ne è scaturito che in Basilicata si mangia molto bene, e questo è risaputo, ma ciò si traduce in una carenza di attenzione nei confronti della linea e dunque della salute. Nei paesi occidentali l'obesità costituisce la seconda causa di morte prevedibile, dopo il fumo. Non a caso essa rappresenta un fattore di rischio per una serie di patologie croniche e degenerative, responsabili nel complesso di circa il 75 per cento dei decessi. Nel mondo industrializzato circa la metà della popolazione è in eccesso di peso. Ciò è essenzialmente dovuto a diversi fattori come il processo di urbanizzazione di massa (la vita di città rende difficile l'esercizio fisico), la diffusione di strumenti e mezzi che rendono la vita più comoda e sedentaria (automobile, computer ecc.), non ultima l'abitudine a mangiare fuori casa, spesso dettata da esigenze lavorative. Anche nel resto d'Italia, in linea con ciò che succede in Basilicata, la situazione non è delle migliori. Su 10,8 milioni di italiani sopra i 65 anni di età, 4,6 milioni sono sovrappeso e 1,4 sono obesi. In tutto si contano circa 6 milioni di anziani con problemi di chili in eccesso. Ma se gli anziani con chili di troppo sono soprattutto al Sud, e la Basilicata è degna testimone di questa tendenza, quelli con peso nella norma si concentrano al Nord, specialmente nel Nord-Ovest. La ricerca condotta dall'Istituto Auxologico affronta dunque un tema nuovo, quello dell'obesità in relazione ai processi di invecchiamento. L'obesità è responsabile del 57 per cento dei casi di diabete, del 33 per cento dei casi di calcolosi biliare, del 19 per cento dei casi di malattie cardiovascolari. Inoltre costituisce un accertato fattore di rischio per una serie di problemi respiratori, per l'artrosi, per alcune forme di tumori. L'eccessiva alimentazione è infatti causa del 30 per cento dei tumori maschili e del 40 per cento di quelli femminili. È ormai accertata una correlazione positiva tra queste patologie e il consumo di grassi. In definitiva, i numeri forniti dall'Unità di Documentazione e Informazione Nutrizionale (Inran) rivelano, nel periodo che va dal 1994 al 2002, una crescita del 15-20 per cento di persone con chili di troppo, includendo in questi numeri tanto persone di età adulta quanto quelle della terza età. Tra gli anziani, meno della metà si trova in condizioni di normalità di peso, solo il 38 per cento degli uomini e il 44 per cento delle donne. Nei paesi occidentali, in special modo, si è verificato un lento abbandono della tradizionale dieta ricca di fibre e carboidrati a favore di una dieta ad elevato tenore di grassi, che ha come caratteristica peculiare quella di stimolare meno il senso di sazietà rispetto a carboidrati e proteine e di rendere i cibi più appetibili. Il fenomeno si è talmente tanto diffuso che è riuscito persino a coinvolgere paesi in via di sviluppo, paesi da sempre colpiti dalla carenza di cibo come l'India, il Brasile, la Cina ecc. Qualcosa sta dunque cambiando un po' in tutto il mondo. Proprio in questi paesi l'arrivo dei primi distributori automatici di snack e bevande e dei primi fast food vengono vissuti come indicatori di benessere e di ricchezza. D'altro canto, anche in Italia la dieta mediterranea sta cedendo in parte il posto ai modelli alimentari stranieri : pasti veloci al bar, pranzi e cene troppo pesanti, abitudine a frequentare fast food. A livello nazionale, peraltro in linea con i dati registrati negli altri paesi europei, si contano circa 4 milioni di persone adulte obese, e 16 milioni in sovrappeso, con un incremento di circa il 25 per cento rispetto al 1994. Altro dato significativo è che la quota degli obesi cresce con l'aumentare dell'età: solo l'1,6 per cento fra i giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni, il 12,4 per cento di adulti che vanno dai 45 ai 54 anni, fino al picco del 14,4 per cento nella fascia che va dai 55 ai 64 anni e il 14,2 per cento tra i 65 e i 74 anni. Per le donne l'età più a rischio è tra i 65 e i 74, mentre per gli uomini va dai 55 ai 64. Le abitudini alimentari cambiano di pari passo con gli stili di vita: uomini e donne che lavorano hanno sempre meno tempo da dedicare alla cucina e tendono a pranzare fuori casa, mentre i bambini mangiano sempre più spesso nelle mense scolastiche. Conseguenza di ciò è, ovviamente, un maggior uso di cibi pronti, snack e insaccati a discapito degli alimenti freschi. Mentre risulta del tutto insufficiente il consumo di frutta e verdura, consumo peraltro penalizzato anche dal rialzo dei prezzi di questi ultimi anni. In considerazione dei dati allarmanti sull'aumento dell'obesità, nel 2003 il Ministro della Salute Sirchia ha indicato fra i primi obiettivi del Ministero una risoluta lotta a questa patologia, da attuare principalmente attraverso un cambiamento delle abitudini alimentari della popolazione. Uno dei provvedimenti più discussi è il decreto "taglia-porzioni", che in pratica prevede un corretto regime alimentare sulla base della quantità dei cibi e delle bevande da servire. Le indicazioni saranno valide per ospedali, scuole e istituzioni, mentre per il commercio la scelta delle porzioni resterà volontaria e i locali pubblici (ristoranti, mense e bar) potranno decidere se adeguarsi o meno. Questo progetto rientra nel tentativo di promuovere una corretta educazione alimentare, puntando anche ad informare sui rischi per la salute. Ma la lotta all'obesità e alla cattiva alimentazione appare ancora in fase embrionale e destinata a scontrarsi con le abitudini radicate nella gente nonché con gli interessi dei produttori alimentari. D'altra parte, non mancano neanche segnali contrastanti se si pensa che accanto ai frequenti messaggi di una maggiore attenzione alla qualità dei cibi vi sono anche quelli che invitano all'abbondanza e al piacere della tavola. (K.S.)