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(RegioneInforma) I COPISTI DEL MONASTERO DI SANT'ELIA

27 settembre 2004

© 2013 - monastero_1.jpg

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(ACR) - Nella "Vita" di San Nilo di Rossano, vissuto all'incirca tra il 910 e il 1004, l'agiografo ricorda che, ogni giorno, dall'alba fino alla terza ora San Nilo copiava testi sacri; la scrittura e, dunque, la copia dei testi era una delle attività principali del monaco bizantino e questa testimonianza della "Vita" di S. Nilo non è, certo, l'unica. A volte alcuni dei monaci copisti, affinché il loro duro lavoro di trascrizione dei testi non rimanesse nell'anonimato, indicavano sul manoscritto il loro nome a lavoro ultimato, cioè scrivevano quella che oggi, in termini tecnici, viene definita una sottoscrizione o colofone. Le sottoscrizioni sono un unico, prezioso mezzo per identificare l'origine di un libro antico: il copista, generalmente, sull'ultimo foglio indicava il suo nome, lo stato sociale, spesso vi aggiungeva differenti epiteti come "umile, povero ecc.", la data del termine della trascrizione, a volte il luogo e, nei casi più simpatici, faceva anche un riferimento alla fatica con cui era stato svolto il lavoro; queste sottoscrizioni si distinguono dal testo principale grazie a vari accorgimenti d'impaginazione e di scrittura. Purtroppo, però, non tutti i codici sono sottoscritti, anzi maggiore è il numero di quelli privi di sottoscrizione e, anche tra quelli che appartennero alla biblioteca del monastero di S. Elia, sono oggi conservati soltanto due manoscritti forniti di una sottoscrizione; conosciamo, quindi, i nomi di solo due monaci copisti di Carbone. Sul tredicesimo foglio del codice conservato oggi a Grottaferrata D. b. X si legge che esso fu scritto per mano di "Eutimio ieromonaco nipote di Clemente" e si trova una data precisa, mercoledì 5 Novembre 1131. In questa sottoscrizione non è nominato il monastero di S. Elia, ma Clemente, sulla base di alcuni documenti di Carbone, è stato identificato come uno degli egumeni del monastero, e, soprattutto, sono stati trovati due documenti importanti per la localizzazione del libro. Un documento, datato al 1134 in cui un certo Bisanzio Cavallaro chiede di essere sepolto nella chiesa di S. Elia lasciando in compenso i suoi beni al monastero, è stato vergato "per mano di Eutimio ieromonaco"; vi è poi un altro documento del Febbraio dello stesso anno che risulta vergato "per mano di Eutimio nipote dell'egumeno Clemente". L'analisi paleografica conferma che la scrittura dei due documenti è la stessa del codice sottoscritto di Grottaferrata, dunque è possibile concludere che tale Eutimio era uno dei copisti di professione, a Carbone, nella prima metà del XII sec. La sua scrittura, che poi è anche quella con cui è stato vergato anche un altro codice oggi a Grottaferrata (D. b. V), è una minuscola libraria abbastanza calligrafica non ascrivibile a nessun particolare tipo grafico; presenta isolate forme evolute per quanto concerne i tratteggi di alcune lettere e legature e poche lettere di forma maiuscola. Le lettere sono quasi tutte iscrivibili in un quadrato e le aste ascendenti e discendenti non sono tanto elevate da rompere eccessivamente il bilinearismo; nel complesso, insomma, si avverte lo sforzo nel fornire un'impressione d'insieme uniforme in una pagina ariosa di non più di venti righe di scrittura intervallate da un'ampia interlinea. Decisamente meno calligrafica e un pò più rozza nell'esecuzione è, invece, la scrittura del Vat. gr. 2029, l'altro codice sottoscritto vergato nel monastero di Carbone nel 1090. Si tratta di un libro pergamenaceo di 213 fogli, attualmente mutilo all'inizio, contente la Catechesi di Teodoro Studita; al foglio 190 si trova un catalogo degli Abati di Carbone. Anche in questo manoscritto è conservata una sottoscrizione vergata dal copista "Luca monaco e povero prete". Nella lista degli egumeni del monastero, dopo il 1160, figura un Luca e potrebbe trattarsi, dunque, della stessa persona. La pagina di questo libro ha un aspetto provinciale: due colonne di scrittura alquanto fitta e serrata, con un'interlinea strettissima; rompono questo aspetto molto compatto soltanto le grosse iniziali che a volte rientrano nel testo e sono allungate e riempite di colori tra cui spiccano il giallo e il violetto. I titoli sono vergati con una maiuscola distintiva arcaizzante di non ampio formato, molto rozza nell'esecuzione, sempre molto serrata e la staticità della pagina trova un piccolo sfogo, accanto ai titoli, soltanto in piccoli elementi decorativi riempiti o di rosso vivo e verde o di giallo e violetto. Il testo è in una minuscola molto arcaizzante caratterizzata dalle lettere diritte, angolose, quadrate e rettangolari che, nelle esecuzioni peggiori, sembrano schiacciarsi l'una sull'altra; l'impressione d'insieme è di disorganicità nei tratteggi spesso spigolosi e caricati, a volte, da apici costituiti da piccoli trattini ornamentali che si innalzano verso destra. La presenza di molte forme maiuscole e alcune legature più evolute aiutano a collocare alla fine del secolo XI tale grafia che ha, invece, a prima vista un aspetto molto arcaico. L'impressione che si ricava dalla pagina scritta dal monaco Luca è la stessa che si ha sfogliando le pagine del Vat. gr. 1982, altro codice di Carbone di fine X secolo, non sottoscritto: l'impaginazione è fitta; la scrittura è alquanto tozza e soffocata, inclinata ed appesa al rigo. Un'unica mano ha vergato l'intero manoscritto, ma tale scrittura si presenta ora più inclinata ora più diritta sul rigo nel tentativo forse di ricercare, a volte, una maggiore calligraficità; i fogli 192-224 presentano, invece, un'impaginazione più compatta, con una grafia più minuta e più ricca di abbreviazioni, ma si tratta sempre della medesima mano. Diversa è, invece, la pagina ariosa del Vat. gr. 2005 che fu copiato tra il 1197 e il 1211, ma, in analogia ai codici precedenti, la grafia è decisamente provinciale, spesso maldestra e nel suo aspetto abbastanza rozzo ricorda molto quella di Luca: grafia molto rozza, lettere di modulo molto grande tra cui spiccano le forme particolari di beta, il sigma spesso maiuscolo lunato che include la lettera successiva. Tra le lettere in ectesis ritroviamo l'alpha a boucle, l'omega con doppio cerchio; raramente si trova anche qualche spalmatura gialla, ma predomina il colore rosso vermiglio nel riempire le iniziali in ectesis e le cornici ornamentali. Allo stesso modo il Vat. gr. 1963, con le sue piccole dimensioni, sembra essere un volume realizzato per letture private: la scrittura non sembra rispondere a grandi intenti di calligraficità, non è stata realizzata accuratamente; è appesa al rigo con molte legature corsiveggianti come quella dell'epsilon preceduta da teta o da delta; frequente è l'uso di pi, lamba, kappa di forma maiuscola, particolare il lambda che si allarga molto sul rigo e non scende mai di molto al di sotto di esso. Di questi ultimi tre codici come di tutti gli altri libri che appartennero alla biblioteca del monastero di S. Elia si può dire con certezza che sono stati vergati in Italia meridionale grazie alle loro caratteristiche grafiche, all'ornamentazione e ai loro aspetti codicologici, tuttavia nulla prova che essi siano stati scritti a Carbone. Le due sottoscrizioni sono, dunque, l'unica prova che il monastero di S. Elia ebbe un suo scriptorium, cioè un suo centro di elaborazione e trascrizione di libri; non si può dire con certezza che esso fosse attivo sin dalla fondazione del cenobio, ma è sicuro che, almeno tra la fine del secolo XI e l'inizio del XII, il periodo di maggiore fioritura del monastero sul piano economico e politico concise con un' intesa attività nel campo della produzione libraria. (R. C.)

Redazione Consiglio Informa

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