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(RegioneInforma) NARRAZIONE, TRASMISSIONE E DIFFUSIONE DEI 'FATT' E FATTARD' LUCANI

30 settembre 2004

© 2013 - copertina.gif

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(ACR) - Le storie di tradizione orale (favole, fiabe, racconti di guerra e di briganti, filastrocche, canti popolari, etc) hanno costituito in passato, e per molto tempo, uno degli elementi indispensabili per i momenti di aggregazione tra la gente. Non solo. Da tutto ciò che veniva raccontato emergeva il sostrato della realtà nella quale un certo tipo di narrazione si era diffusa e trasmessa. Difficile stabilire il periodo esatto in cui nacque la narrazione di tradizione orale. Le narrazioni che si tramandano di bocca in bocca esistono da sempre e ovunque. La cultura di tradizione orale in Basilicata non ha una storia o un percorso diverso da quella che si è sviluppata negli altri paesi del mondo. Nei piccoli paesi lucani è possibile ascoltare gli stessi racconti che si tramandano di madre in figlia anche nei villaggi dell'Africa o della Cina. L'aspetto che più sorprende di queste narrazioni, infatti, è proprio la misteriosa trasmissione dei repertori. Simili o identici in diverse e distanti parti del mondo. E se si considera che non esistevano testi scritti sulle narrazioni o i canti, la cosa non può non destare curiosità. La trasmissione, infatti, era completamente affidata ai ricordi, alla memoria e alla parola orale. La scrittura solo in tempi più moderni è stata utilizzata come strumento necessario per fissare in maniera inconfutabile ciò che veniva detto. Oggi esistono raccolte di narrazioni in tutto il mondo. Diverse sono le collezioni, anche sulle fiabe lucane, raccolte, registrate e poi trascritte. E numerose sono anche le manifestazioni che nel corso degli anni si sono organizzate sulla favolistica in generale. L'anno scorso, presso la Bibilioteca Nazionale di Potenza, per esempio, è stata organizzata "Storie mute e storie sussurrate". Una vera e propria esposizione di storie inedite lucane raccolte su campo dal prof Angelo Lucano Larotonda ordinario di Antropologia Culturale presso l'Università degli Studi della Basilicata. All'iniziativa hanno collaborato anche i bambini della scuola materna ed elementare "Domiziano Viola" di Potenza. Ai giovani studenti, infatti è spettato il compito di illustrare con disegni e diapositive due storie del repertorio raccolto dal prof Larotonda: "Il cavallo verde" e "Il drago della Val d'Agri". In questo caso, come in molti altri, le parole pronunciate vengono immortalate dalla scrittura o dalle rappresentazioni visive. Ma leggere non è la stessa cosa che ascoltare. All'oralità si deve infatti gran parte del fascino che avvolge tutta la narrazione di tradizione orale. Chi racconta può facilmente dimenticare i passaggi della storia che da piccolo ha ascoltato dai nonni o dagli anziani del paese. Il narratore riempie questi vuoti con la fantasia e capita che, ritrovandosi a narrare uno stesso racconto in occasioni differenti, sia "costretto" ad aggiungere un particolare o cambiarne un altro. Non è difficile immaginare che sia dovuto proprio a questo il gran numero di versioni differenti di uno stesso racconto, fiaba o favola che sia. Questo spiega anche come sia possibile trovare gli stessi racconti, differenti solo per alcuni particolari, nei posti più impensati del mondo, da nord a sud e da est ad ovest. I racconti viaggiano sul filo dell' oralità e si tramandano di padre in figlio, dai vecchi ai giovani. Chi narra può sottrarre a suo piacimento quegli elementi del racconto non indispensabili e aggiungerne altri che lo caratterizzano e lo avvicinano al contesto in cui viene narrato o a cui si riferisce. E per questo che spesso nei racconti si trovano i nomi di persone realmente vissuti in un posto, ed è facile riconoscere in alcune ambientazioni, le case, le strade del proprio paese. A Venosa, uno dei maggiori centri lucani della zona nord della Basilicata, l'abitudine di raccontare storie era ben radicata e ancora oggi è possibile che il vecchio rito del racconto e dell'ascolto si ripeta. La signora Maria Lavinia Spinoso, una arzilla venosina ultranovantenne, volentieri trasmette a giovani e adulti, tutto il repertorio orale di cui è a conoscenza. E ascoltandola ci si rende subito conto che chi narra deve avere doti particolari. Oltre a possedere una ferrea memoria, la signora Marietta, come è conosciuta da tutti in città, ha buone capacità mimetiche e gestuali con le quali riesce a sottolineare i passaggi salienti e i momenti più importanti del racconto e con le quali riesce a far vivere le atmosfere, a far ascoltare le voci di re e regine, a far percepire gli odori e a far assaporare i gusti. E mentre racconta il suo innumerevole repertorio, Marietta fa riferimento inevitabilmente alla sua infanzia e a come è entrata in contatto con la tradizione orale. Quando ancora non esisteva la televisione e quando c'erano più occasioni per ritrovarsi tra la gente, a Venosa come probabilmente in tutti i paesi della Basilicata, c'era l'abitudine di stare a chiacchierare davanti l'uscio di casa, nei cortili, sotto il cielo stellato e tra le "refl" (correnti di aria fresca) che ossigenavano le afose estati venosine. All'arrivo dell'inverno, invece, quando il freddo impediva di rimanere all'aperto, spesso, per stare in compagnia, la gente era solita ritrovarsi nelle case del vicinato per raccontare e ascoltare le storie e i racconti. I famosi "fattaridd" pieni di personaggi inventati o reali animavano i momenti di svago di chi non aveva altro modo per poter rallegrare la giornata. Ma il racconto era anche l'occasione per i contadini, stanchi del lavoro nei campi, di concedersi qualche minuto di riposo. Altre volte le storie servivano ai grandi per insegnare ai piccoli. La fiaba allora veniva utilizzata con una funzione didattica più dalle donne che dagli uomini, perché alle prime era demandato il compito di educare i figli. Le situazioni e gli ambienti oggetto della narrazione, se a volte erano totalmente attinti dal mondo fantastico, altre volte, pur essendo l'immaginazione e l'invenzione il loro elemento principale, avevano più di un richiamo alla realtà. E così, in mancanza di alternative, si formavano attorno ai focolari nelle lunghe serate invernali o nelle calde estati venosine, gruppi di adulti e bambini che ascoltavano in silenzio i racconti dei più anziani, i narratori, che di solito fungevano da "biblioteca collettiva" per l'intera comunità, ripescando nella memoria i ricordi dei racconti ascoltati da piccoli. Nel repertorio venosino occupa un ruolo centrale, la fiaba z 'Mnurchje che è narrata anche in più versioni. Tra le più popolari nel mondo, questa fiaba, vanta versioni illustri a partire da quella dei fratelli Grimm e di Afanas' ev, fino ad arrivare a quella di Basile nel Pantamerone. La fiaba, rientra del ciclo di Cenerentola e si snoda attorno ad uno dei temi più diffusi nell' ambito della tradizione favolistica: il conflitto tra sorellastra (brutta e cattiva) e sorella (bella e buona) che va, poi, ad intrecciarsi con il tema della sposa sostituita, passaggio indispensabile che segna la giusta ricompensa della bontà e della gentilezza sulla cattiveria e sulla prepotenza. Quando la signora Marietta la narra include degli elementi tipicamente locali. Parlando del luogo in cui abita il protagonista della fiaba dice che quel posto, dove le due sorelle della fiaba vanno a buttare l'immondizia, è proprio quel vallone del Reale che si trova a ridosso del Gravatone, uno dei quartieri storici di Venosa. Lo stesso personaggio della fiaba che incute tanta tenerezza nella sorella buona e ribrezzo in quella cattiva è una persona che, la maggior parte dei venosini, ha individuato in un uomo, forse un barbone che si aggirava, sporco e malandato nei luoghi in cui si andava a buttare l'immondizia del paese. L'uomo che, probabilmente, cercava qualcosa da mangiare o qualche vestito da riutilizzare, ha incarnato appieno, almeno nell'immaginario popolare, il ruolo del protagonista della fiaba di z 'Mnurchje. (A.R.)

Redazione Consiglio Informa

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