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(RegioneInforma) SANT'ELIA DI CARBONE E OTRANTO
13 ottobre 2004
(ACR) - Risulta difficile, nella attuale società ancora legata alla stampa, ma quotidianamente sempre più dipendente dai nuovi sistemi virtuali di comunicazione, capire l'importanza che in un'epoca pre-stampa avesse un sistema grafico: una determinata scrittura è il risultato di un insieme di fattori interagenti quali il luogo di produzione, l'ambiente e il livello culturale, l'estrazione sociale. In altre parole, dunque, all'appartenenza ad un gruppo professionale, politico o religioso era strettamente collegata l'esistenza di una tradizione grafica determinata. In particolare per l'Italia meridionale si possono selezionare alcune tradizioni grafiche ben precise, collocabili nel tempo e nello spazio; una di queste è quella che si diffuse ad Otranto in un periodo posteriore alla conquista normanna e anteriore alla fondazione del monastero di San Nicola di Casole (1098/1099). Si tratta di una scrittura caratterizzata dall'asse diritto e un aspetto rettangolare e schiacciato; nello specifico le lettere presentano forme appiattite, rigide, tra le quali spicca una forma di gamma molto corto, il lambda largo che scende di molto al di sotto del rigo di base e la lettera phi con anello centrale quasi triangolare; nella pagina spicca il frequente ricorrere di una forma che ricorda un rastrello capovolto senza manico, si tratta della legatura di sigma-upsilon e ni attraverso la quale si ha un'idea chiara di come le lettere si appiattiscono sul rigo di base. Proprio in questa grafia, tipica della terra d'Otranto, è interamente vergato uno dei manoscritti presenti negli scaffali della biblioteca del monastero di Carbone. Si tratta del Vaticano gr. 2026 di X- XI secolo che certamente era conservato a S. Elia di Carbone in quanto nel primo foglio si trova la firma di Marcello, come in tutti gli altri manoscritti del monastero. Il codice contiene una miscellanea di scritti patristici ed è un palinsesto; è interamente scritto con la grafia otrantina sopra descritta inoltre, come in tutti i manoscritti di area otrantina, presenta molte lettere riempite di inchiostro rosso e con lo stesso inchiostro rosso, diverso da quello con cui è vergato l'intero manoscritto, sono anche vergate numerose iniziali. In alcune pagine spiccano, poi, le spalmature gialle e alcune belle e caratteristiche cornici ornamentali, come nei fogli 8 e 9. Jacòb, maggiore esperto delle scritture di terra d'Otranto, chiarisce i limiti cronologici di tale stilema grafico otrantino che non può essere spostato oltre la prima metà del XII secolo, spiega che, però, non è possibile determinare con esattezza i limiti geografici di tale stile: proprio il Vat. gr. 2026, infatti, fa pensare che esso raggiunse anche la Lucania, ma non si può essere certi. In altre parole, si può dire con sicurezza che il manoscritto era presente nel monastero di Carbone, ma non vi sono prove convincenti per dedurre che a Carbone fosse stato anche vergato. Soltanto sulla base di quest'ultima ipotesi si potrebbe concludere che la scrittura schiacciata ottantina era uno degli stilemi grafici adoperati nello scriptorium lucano, d'altronde è più che naturale che tipologie grafiche contigue geograficamente entrassero in contatto. In ogni caso, sia che il codice sia stato vergato a Carbone, sia che sia stato prodotto altrove e poi portato in Lucania, il Vat. gr. 2026 costituisce una prova storica da cui dedurre l'esistenza di rapporti tra Carbone e uno dei centri culturali più importanti dell'Italia meridionale bizantina. Nei monasteri della Puglia c'era, infatti, un'ampia circolazione di libri ad uso del culto o a fini di edificazione, la fascia sociale in grado di praticare letture doveva essere quella alfabetizzata costituita dagli scrivani dei diplomi bizantini, insomma da laici e da uomini di chiesa. Il contatto tra Carbone e questo ambiente culturale rappresenta bell'esempio di come un sistema grafico, anche slegato dal suo messaggio, grazie alla sua natura oggettiva, statica e duratura ci mette in contatto con gli ambienti di produzione e vale come fonte storica; operazione difficilmente pensabile sulla base degli attuali labili e fugaci mezzi di trasmissione dello scritto in cui, per usare una frase di Pratesi "il fine non è più il messaggio, ma il profitto, e la testualità si è trasformata in una variabile dipendente ed influente". (R.C.)