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(RegioneInforma) INCONTRI D'AUTORE A RIONERO IN VULTURE
19 novembre 2004
(ACR) - Ode alla poesia lucana. Scoperta ed esaltazione delle "memorie" e delle "identità" di questa terra, raccontate in versi. Diffusione di un linguaggio espressivo di nicchia al grande pubblico. Sono queste le chiavi del successo degli "Incontri d'autore", i salotti di cultura organizzati dal Consiglio Regionale della Basilicata. Dopo aver incantato il pubblico del capoluogo lucano, l'evento "La memoria e l'identità" ha varcato i confini di Potenza per approdare a Rionero in Vulture. Sotto i riflettori tre poeti, figli della terra lucana: Antonella Laurita, Antonello Tolve, Vito Viglioglia. Tre modi diversi di raccontarsi e raccontare, utilizzando le rime come analisi e proiezione del sé più profondo, segreto, inconscio. "Voglio capire sperimentare smarrirmi ritrovarmi": sussurra la poetessa potentina Laurita nella sua raccolta "Suggestioni". La sua è una poesia "di scandaglio, che si realizza in frammenti (quasi tutti i testi si esauriscono in pochi versi) attorno ad un'immagine – scrive Daniele Giancane in postfazione - un'emozione profonda, un momento quasi estatico, il desiderio di fermare il tempo, di dilatare all'infinito la propria personalità". Nessuno urlo, nessuna perdita di controllo. Laurita canta i suoi sentimenti in silenzio: "Quella di Laurita è una poesia piena – afferma il critico Vincenzo Mori – un affidarsi completo alla vita, senza la paura di una introspezione ossessiva. C'è un continuo sussurrare, una coltivazione pura del silenzio in un atteggiamento contemplativo". Una poesia immediata, spontanea, profonda ("Anima inquieta, straccerò i veli del pudore"), cadenzata su di un linguaggio dolce e musicale: "Drappi di luna sfiorano setosi l'anima e soppeso il mio sentire". Alla poesia rapida, impressiva e tagliente della Laurita si affiancano i versi più duri e irrequieti di Antonello Tolve, ventisettenne di Rionero in Vulture: "Sul tuo volto c'è la malinconia di sempre, quella che tocco nei pensieri candeggiati dal tempo. E' una serpe, un falco che graffia l'aria per gioco, un elianto pestato in un prato". Tolve insegue il linguaggio, gioca con le metafore, fa vivere le pagine di vibrazioni intense, sfuggenti, non soggette a condizionamenti. "La vita scorre sulla pagina con sinuosi e virtuosi movimenti, per Tolve; ma il suo linguaggio è ostico, aspro – si legge nella postfazione ad "antelucane" (2004) di Marco Amendolara - sa di natura selvatica e di non adattamento, e per questo è forse l'ingrediente più fascinoso che rintracciamo in questa voce". Versi che penetrano e rimangono impressi. "L'elemento portante di questa raccolta – spiega il critico Alfonso Amendola – è il tentativo di superare la frammentazione tra arcaismo e modernità. La poesia tradizionale (di ispirazione leopardiana) si coniuga ad una certa spudoratezza sperimentale. Nei suoi versi c'è una profonda malinconia, che si trova a riflettere sull'oggi". «Le urla non bastano per descrivere la voglia di questa sera. Trasparenze. L'inganno è nei colori di carta che fondano pietressenze da riciclo. Scorrere sulle pallide possibilità. Mari verticali fingono di piangere. E' monotono. E' raccapricciante. E' bellezza che orgasma. E' sapore di esistere". Quella del rionerese Vito Viglioglia è una poesia viscerale, che si nutre del ritmo scandito dai sensi: "La rarefazione della scrittura «lucana», tesa a custodire l'ingenuità ardita del luogo d'origine e la bellezza elegiaca verso cui spinge – commenta Mariangela Caporale - lascia il posto alla parola incandescente, che disegna l'irrequieta geometria dei sensi. A me sembra che sia il corpo a raccogliere la scrittura vorticosa che Napoli ispira a Viglioglia, scandendone la metrica «biologica». In «Del Silenzio e del Fuoco» (2004), prima raccolta di poesie di Viglioglia, le due parole chiave si legano e confondono, richiamando "il silenzio del vulcano ormai spento e il fuoco del vulcano ancora attivo": "Penso alle viole morte che brillano d'Apollo. Vedo nuvole in calore che percuotono l'abisso. Odo viole travestite che danzano d'assurdo. Odoro spezie che di grano vestite urlano d'immenso. Sento che di montagne lontane, da dentro, fra scogliere e tempeste, si trucca d'avorio. S'ACQUIETA". La parola urla e gode: «Rumori della notte, nella musica c'è l'aria perenne di chi si sveglia con il grano tra gli occhi. Sapore della carne, dal movimento d'onda che sovrasta. Com'è fresca l'acqua senza solitudine di volo». Versi che graffiano, che "scheggiano" il cuore grazie a metafore immediate, ad analogie improvvise "che aprono il vuoto del concetto e rimane sospesa, come lenta eco che ricompone ogni lacerazione". (R. A.)