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(RegioneInforma) ' VITO BALLAVA CON LE STREGHE ' DI MIMMO SAMMARTINO

06 dicembre 2004

© 2013 - sellerio_sammartino.jpg

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(ACR) - Che cosa fa di un testo un grande libro? Il piacere dei lettori di fruirne. Ed è questo senso di tranquilla piacevolezza che si "assapora" nel leggere "Vito ballava con le streghe" di Mimmo Sammartino, giornalista di professione e autore di testi teatrali per passione. Il libro, breve in quanto a numero di pagine (ne conta in tutto sessanta), racchiude in sé una profondità e una intensità che ben si adattano alla lunghezza del testo. Si potrebbe quasi dire che la giusta misura dello scritto porti con sé il marchio di chi quella storia ha serbato a lungo nel proprio cuore. Quasi un gesto d'amore, covato e alimentato per "esplodere" nello spazio di un respiro. Così di colpo quell'idea da sempre presente, in un atto quasi di ribellione, sembra aver preso forma all'improvviso. È tuttavia la scelta mirata e misurata delle parole, mai troppe né troppo poche, a tradire uno stile ricercato e pacato, incredibilmente legittimato da una sobria semplicità e nitidezza di immagini. Questo è anche il motivo che rende l'opera facile da ricostruire nella mente di chi legge, quasi una sorta di intima rappresentazione che il lettore mette in scena per proprio conto. "Vito ballava con le streghe" è una storia che nasce dalla memoria popolare impregnata di mille "storie memorabili" "colme di incanti", peraltro arricchita dagli aneddoti della nonna dell'autore (Caterina) che della cultura del popolo fu puntigliosa interprete, e i cui racconti rappresentarono la prima fonte di ispirazione di Sammartino. Un modo per mantenere in vita un poco di quella memoria, dunque, destinata altrimenti a soccombere con l'avvicendarsi di generazioni troppo spesso ignare delle proprie radici lontane. E allora l'immagine di Vito che ballava, e lo faceva con le streghe, rappresenta il clou di quell'incantesimo d'amore fatto a sua insaputa e per il quale è Vito stesso l'ambito premio. Incantesimi, magie e filtri d'amore che rappresentano quegli escamotage, forse i soli, che permettevano alle donne di un tempo abituate a vivere in un mondo a misura "d'uomo" di prendere l'iniziativa per agire autonomamente. Il libro verrà presentato a Castelmezzano (in provincia di Potenza) uno dei trentasette borghi più belli d'Italia, oltre che paese natale dell'autore, ma anche ricettacolo di fonti di prima mano di cui tanto l'opera si alimenta. "Vito ballava con le streghe" è dunque la storia delle passioni e dei dolori del contadino Vito, figlio della terra, "legato" a una donna che neanche conosce e che lo ha scelto come proprio sposo in nome di un "complotto magico". Una formula d'amore di cui anche l'antropologo Ernesto De Martino riferisce nel libro "Sud e magia" allorquando descrive l'affascinante universo della Lucania di mezzo secolo fa. Perennemente in bilico tra sogno e realtà, la danza di Vito ha all'inizio i caratteri del sogno, ma via via che il testo si svela, finisce con l'assumere sempre più i contorni di una febbrile realtà. Così, quando Vito è in preda al sonno, sua moglie scivola via per cavalcare la notte buia su possenti cani bianchi, ma sempre dopo essersi cosparsa di un olio magico e dopo aver pronunciato la formula delle "masciare" : " Nzott'acqua e nzotta vind' / sop' a noc' du benevind' " ("sott'acqua e sotto vento sulla noce di Benevento"). Questo il rituale delle streghe, questo il mondo a cui la moglie di Vito appartiene e che risulta essere estraneo e lontano al giovane contadino. L'unica cosa a cui entrambi partecipano è il loro destino. Paradossalmente però anch'egli sperimenterà l'esperienza del volo che caratterizza l'attività delle masciare, ma solo dopo aver scoperto la verità sulla sua donna. E a conferma di questo senso di non appartenenza alla moglie, anche quel momento sarà da lui vissuto con un'altra persona. A ben guardare il volo di Vito, quel "volo fra gli astri [che] gli pareva una danza", rievoca chiaramente un'immagine di liberazione dai soffocanti confini terreni, una rinuncia a quegli angusti spazi del mondo in grado di riservare alla gente come lui solo dolore, stenti e fatica dura. Il volo come visione onirica o stupenda realtà, dunque, che regala solo pochi istanti di digressione "dalla fatica e dalle malinconie della terra", da quel crudo destino che è già scritto per tutti. Sì perché solo in volo con la strega compagna di viaggio di sua moglie, Vito capisce che "il mondo è grande e piccolo. Tutto dipende da che punto sei capace di guardarlo". Quasi a dire che ogni cosa è relativa, la vita stessa lo è, perfino il dolore più acuto o la gioia più immensa. Tutto dipende da come la si affronta. Il testo non mira ad imporre una visione "giusta" e "vera" dell'argomento di cui tratta da contrapporre ad un'altra falsa e sbagliata. Semplicemente ritrae un modo di "guardare alla vita" e al mondo tutto cogliendone semmai le più intime sfumature. Quelle che si profilano nei rapporti umani e si innescano in relazione alle cose del mondo. E in questo senso il linguaggio lirico sembra adattarsi alla perfezione proprio nella misura in cui pare contrapporsi all'estrema semplicità e popolarità della storia in sé. Una storia con radici lontane in grado tuttavia di rievocare vicende note, conosciute, vicine; in grado di restituirci immagini familiari che appartengono alla nostra terra, quella fatta dai nostri avi. Linguaggio lirico, dunque, ma vocato ad esprimere sentimenti terreni e a ritrarre esperienze popolari che, nonostante si arricchiscano di elementi magici e visionari, sono pur sempre destinati a rappresentare uno spaccato di vita vissuta. Un linguaggio "alto" straordinariamente in grado di leggere i segni di esistenze ordinarie calate nella realtà povera e precaria di un profondo sud, quale quello della Lucania di un tempo, con le sue credenze, le sue afflizioni e i suoi misteri. (k.s.)

Redazione Consiglio Informa

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