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(RegioneInforma) IL CACIOCAVALLO SILANO D.O.P. E LE PROSPETTIVE DI SVILUPPO IN BASILICATA
30 dicembre 2004
(ACR) - Esistono varie ipotesi intorno all'origine del nome del Caciocavallo. Secondo alcuni, il nome nasce dal fatto che in passato si caseificasse il latte di giumenta, ma l'ipotesi non è plausibile, perché tale latte perde gran parte del suo valore nutrizionale con la trasformazione. Per alcuni storici deriva dal fatto che, il latte, allora trasportato a dorso di cavallo in otri di pelle, alla fine del viaggio, per i ripetuti sbattimenti, si trasformasse in una massa solida e compatta. Secondo altre fonti invece, tale denominazione nacque al tempo del Regno di Napoli, quando si usava raffigurare sopra al formaggio un marchio rappresentante un cavallo. La più accreditata vuole che il nome derivi dal fatto che le forme venivano legate assieme a coppie e fatte stagionare a cavallo di un bastone orizzontale, così il calore originato dal focolare ne stimolava la stagionatura. Il Caciocavallo Silano (il nome Silano deriva dal legame del prodotto con l'altopiano della Sila) è, senza alcun dubbio, fra i più antichi e tipici formaggi a pasta filata del Mezzogiorno d'Italia. Della sua produzione ne parlava già Ippocrate nel 500 a.C., scrivendo dell'arte usata dai Greci nel preparare il "Cacio". In seguito altri autori latini, fra cui Colummella e Plinio, hanno trattato di formaggi nelle proprie opere. In particolare, Plinio esalta le qualità del "Butirro", antenato del Caciocavallo, definito dallo stesso "cibo delicatissimo". Il primo riconoscimento per il Caciocavallo Silano è datato 10 maggio 1993, è nazionale ed è una Denominazione di Origine (D.O.). Per tutelarne la produzione è nato, nel Dicembre 1993, per iniziativa di alcuni produttori, il Consorzio di Tutela Formaggio "Caciocavallo Silano" con sede a Cosenza. Con l'approvazione del Regolamento 2081/92 in merito alle Denominazioni di Origine Protette (DOP) e alle Indicazioni Geografiche Protette (IGP), i prodotti agro-alimentari che già vantavano un riconoscimento nazionale, furono registrati dalla UE quali marchi collettivi con procedura accelerata. È questo anche il caso del Silano che è così divenuto il 1° luglio 1996 "Caciocavallo Silano D.O.P." (Regolamento CE 1236/96). L'organismo indipendente prescelto per effettuare i controlli e rilasciare la certificazione del prodotto è l'Is.Me.Cert. (Istituto mediterraneo per la certificazione dei prodotti e dei processi del settore agroalimentare). E' importante evidenziare che detto organismo, pur avendo un profilo giuridico di tipo privatistico, è stato promosso da enti pubblici, ha un carattere interregionale ed attualmente è formato dai seguenti soci: Consorzio per la Ricerca Applicata in Agricoltura, Unione delle Camere di Commercio della Campania, Ente Regionale di Sviluppo Agricolo per la Campania, ALSIA, Regione Calabria, Provincia di Salerno, Unione dei Consumatori e UNI. Secondo l'Osservatorio sul mercato dei prodotti lattiero-caseari (annuario latte, 2000), il numero di aziende da latte in Basilicata è di 2.121, il 2,6% di quelle italiane. La quantità di latte commercializzata, stimata dalla istituzione preposta alla gestione delle quote latte, al 2000 è stata 91.800 tonnellate lo 0,9% del dato nazionale. Il rapporto produzione/quota è cresciuto nel tempo, passando da 85,5% nel periodo 1998/99, a 89,1% nel periodo 1999/2000, fino ad arrivare a 90,6% nel periodo 2000/01. La quasi totalità del latte bovino prodotto è ceduto ad imprese di trasformazione o di trattamento termico per il consumo come latte alimentare, tramite raccoglitori privati o cooperative di raccolta. Il prodotto commercializzato come latte alimentare, per conto della Cirio, della Parmalat e della Granarolo soprattutto, costituisce quasi un terzo del totale (28,8%), mentre un altro quarto circa, pur possedendo i requisiti per essere commercializzato come tale, non segue lo stesso percorso. La restante parte è destinato alla trasformazione. Il mercato di sbocco dei prodotti caseari è perlopiù locale. Più specificatamente, i due terzi del latte è destinato alla caseificazione ed è trasformato e commercializzato in ambito regionale, mentre la restante quota arriva alle regioni limitrofe, Puglia e Campania. La produzione del latte in Basilicata presenta ancora diversi aspetti strutturali deboli, soprattutto a livello primario, ma anche negli altri segmenti della filiera. Il 98% delle aziende lucane presenta produzioni inferiori ai 2.000 quintali l'anno, valore soglia considerato come limite produttivo minimo per poter essere competitivi sul mercato (Regione Basilicata – INEA, "Contesto e scenari di sviluppo agricolo e rurale della Basilicata"). La dispersione sul territorio delle aziende, la localizzazione degli allevamenti in aree talvolta lontane dai centri di trasformazione o comunque mal collegate, determinano un'elevata frammentazione dell'offerta. Il sistema di raccolta del latte, infatti, in queste aree è estremamente disperso. I produttori sono perciò portati ad affidare il proprio latte a raccoglitori che operano in proprio e che lo rivendono ai caseifici. L'effetto che si produce è di doppia natura: da un lato vi è un forte contenimento della domanda, dall'altro un aumento dei costi lungo la filiera che si ripercuotono negativamente sul prezzo da pagare al produttore. I punti di fragilità della filiera toccano, seppur con minore impatto rispetto al settore primario, anche la fase di trasformazione e commercializzazione. La possibilità di produrre e vendere in maniera svincolata dal livello di qualità ottenuta, rappresenta certamente un punto di debolezza del settore. I caseifici gestiti con sistemi di qualità, che producono e commercializzano prodotti con marchi collettivi, non utilizzano per tali produzioni latte ottenuto con specifici disciplinari di produzione. La filiera latte, come si potrà osservare meglio più avanti, presenta diversi punti deboli, molti dei quali sono riconducibili al settore primario. La limitata propensione verso l'associazionismo dei produttori fa sì che non vi sia un'adeguata integrazione degli stessi nella filiera, con una evidente penalizzazione. Dall'indagine condotta nelle aziende zootecniche (Tabella 5.1), a conferma di quanto sostenuto, emerge che il 50% delle aziende intervistante non conosce la destinazione del proprio latte, né i prodotti che da questo si ottengono. Solo il 10% circa delle aziende ha la sicurezza che il proprio latte viene destinato al consumo fresco, in quanto viene ritirato come latte alta qualità, a prezzi più remunerativi. La restante parte sa con certezza che il proprio latte viene trasformato, talvolta senza conoscerne i prodotti ottenuti. Un allevatore durante l'intervista ha sostenuto che "la filiera-latte si trovasse di fronte ad uno strano monopolio, in cui il prezzo del latte non è stabilito da chi vende, ma da chi acquista". Il disciplinare di produzione Il disciplinare di produzione del Caciocavallo Silano, i cui principali contenuti sono riepilogati nella tabella 5.1, tratta sostanzialmente tre punti: l'origine del latte e l'area di produzione, la natura del prodotto e il processo di trasformazione e le caratterisitche del prodotto finito. Le tante carenze del primo disciplinare registrato hanno indotto il Consorzio di tutela a chiedere alcune modifiche ed integrazioni. La fase nazionale della procedura si è già svolta, ed è terminata con l'approvazione della proposta. In dettaglio le modifhce apportate riguardano tre aspetti importanti del disciplinare: Ø la zona geografica di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del formaggio; Ø il metodo di ottenimento; Ø l'etichettatura e la marchiatura del prodotto finito. Per quanto attiene al primo punto, l'area di produzione è stata allargata ad alcune zone della provincia di Crotone, Vibo Valenzia e Cosenza, per la Calabria, alcune di Benevento per la Campania, Manfredonia e San Paolo di Civitate, per la provincia di Foggia e zona del Gargano, Bernalda, Matera, Pisticci, Policoro, Pomarico, Rotondella e Scanzano Ionico per la Basilicata. La modifica apportata non riduce il legame geografico che vi è fra il prodotto e il territorio, che ha rappresentato uno degli elementi su cui ha trovato fondamento il riconoscimento comunitario. Le novità apportate al metodo di ottenimento, riguardano alcune caratteristiche del latte e l'introduzione del limite temporale alla caseificazione. Oltre a dover essere esclusivamente di vacca, come previsto già nel precedente disciplinare, attualmente il latte deve essere intero. Esso può essere termizzato fino a 58°C per 30" e deve provenire da non più di quattro munte consecutive dei due giorni precedenti a quello della trasformazione. È consentito l'utilizzo di siero innesto naturale preparato nella stessa struttura di trasformazione del latte. Il periodo di stagionatura deve essere minimo di 30 giorni e non di 15 come previsto nel precedente disciplinare. Si possono inoltre praticare trattamenti alle forme: superficiali, esterni, trasparenti, privi di coloranti e rispettando il colore della crosta. Al fine di garantire una maggiore trasparenza e di migliorare la tracciabilità del prodotto, il Caciocavallo Silano D.O.P. deve riportare impresso termicamente, su ogni forma, con figurazione lineare o puntiforme, il contrassegno di cui all'allegato A del disciplinare e l'indicazione di un numero di identificazione attribuito dal Consorzio di tutela, ad ogni produttore inserito nel Sistema di Controllo. Tale contrassegno (nel colore Pantone 348 CVC), insieme agli estremi del Regolamento comunitario con cui è stata registrata la denominazione stessa (1236/96) e al numero di identificazione attribuito al singolo produttore, dovrà essere stampigliato sulle etichette apposte ad ogni singola forma. I principali contenuti del disciplinare di produzione "Caciocavallo Silano D.O.P. a) Area di produzione La zona di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del Caciocavallo Silano D.O.P., configurata a macchia di leopardo, si colloca in prevalenza lungo la dorsale appenninica meridionale, riunendo specifici ambiti territoriali situati nelle regioni: Calabria, Basilicata, Campania, Puglia e Molise. b) Natura del prodotto Formaggio semiduro a pasta filata, ottenuto esclusivamente utilizzando latte di vacca intero. c) Processo di trasfor-mazione La trasformazione del Caciocavallo Silano D.O.P. può essere convenzionalmente suddivisa in cinque fasi: Ø Coagulazione: si verifica ad una temperatura di 36-38°C, mediante l'utilizzo di caglio in pasta di vitello. Raggiunta la consistenza voluta, si procede alla fase della rottura della cagliata, con grumi di dimensioni simili ad una nocciola; Ø Maturazione: la cagliata matura sotto siero per un periodo che va da 4 a 10 ore, variabili a seconda dell'acidità del latte, della temperatura e della quantità di formaggio prodotta. La maturazione è completa quando la pasta può essere filata; Ø Filatura e preparazione della forma: si prepara con un cordone che viene plasmato e modellato a mano fino ad ottenereuna parte interna senza vuoti ed una parte esterna liscia; Ø Salatura: dopo il raffreddamento in acqua fredda le forme vengono immerse in salamoia, non meno di 6 ore; Ø Stagionatura: le forme vengono legate a cappio e sospese con delle pertiche per l'areazione. La fase dura almeno 30 giorni. d) Caratteristiche del prodotto finito Ø Peso 1-2,5 Kg;Ø Forma ovale o tronco conica, con o senza testina, nel rispetto delle consuetudini locali;Ø Aspetto esteriore: crosta sottile e lisciadi colore paglierino,più intenso con la stagionatura;Ø Composizione del grasso sulla sostanza secca non inferiore a 38%;Ø Sapore: aromatico, fusibile in bocca; delicato e dolce se giovane, fino a diventare piccante con una stagionatura avanzata. Fonte: Disciplinare di produzione del Caciocavallo Silano registrato Il Consorzio di Tutela e le azioni di promozione commerciale Il Consorzio di Tutela Formaggio "Caciocavallo Silano" nasce a Cosenza nel 1993, allo scopo di tutelare la produzione e il commercio di Caciocavallo Silano D.O.P. e l'uso del marchio. Il Consorzio non ha ancora adeguato l'assetto della compagine sociale in base agli indirizzi del DM emanato dal MIPAF in data 12/4/2000, in applicazione della legge 526/99, art.14, comma 17, che definisce i requisiti di equilibrata rappresentanza (cfr. paragrafo 3.3, "I Consorzi di Tutela"). Il Consiglio Direttivo del Consorzio garantisce una rappresentanza territorialmente equilibrata. Alla data del 25/10/2002, i soci del Consorzio sono quarantasette, sette dei quali sono ancora in corso di certificazione. La base associativa vede una prevalenza notevole dei caseificatori (39) rispetto agli allevatori (8). Gli scopi statutari del Consorzio sono: Ø l'attivazione di iniziative tendenti al perfezionamento delle tecniche di produzione e al miglioramento qualitativo del formaggio, Ø l'attività di vigilanza sulla produzione, sul commercio e sull'uso della denominazione, Ø la realizzazione di attività promozionali. Le attività promozionali finora realizzate comprendono la partecipazione alle manifestazioni fieristiche del settore agroalimentare a livello nazionale, lo svolgimento di attività informative e promozionali televisive (telepromozioni e spot), la partecipazione a serate a tema e l'organizzazione di eventi locali. La diffusione del Marchio: situazione e prospettive Successivamente alla registrazione del marchio, sono passati 3 anni prima che i caseifici aderissero al sistema di controllo e ottenessero la certificazione del prodotto finale. Nell'annata 2000 è stata controllata e certificata una produzione di 240,2 tonnellate; nell'anno successivo, a conferma della crescente attenzione da parte degli operatori economici, la certificazione ha riguardato 1.818 tonnellate (cfr. Tabella 5.3). Mettendo a confronto i dati dell'anno 2000 con quelli del 2001, si può notare che vi è stato un incremento sia dei produttori, in modo particolare di quelli idonei su quelli controllati, che del prodotto controllato e certificato. Come si evince dai dati riportati nella tabella 5.3 i produttori controllati sono aumentati del 25%, la produzione controllata del 50%. La crescita maggiore del prodotto certificato si è avuta nel 2001: quasi otto volte rispetto all'anno precedente. La distribuzione territoriale della produzione del Caciocavallo Silano D.O.P. è molto difforme (Tab. 5.4). Infatti nel 2001 la sola Basilicata ha prodotto la metà della produzione totale, segue la Puglia con più di un quarto, la Campania con meno del 10%, la Calabria e il Molise con valori prossimi al 5%. Questo dato è particolarmente importante se si pensa che la Basilicata, insieme al Molise, è la regione con il numero più basso di caseifici certificati per questa produzione. Va inoltre tenuto presente che i dati esaminati fanno riferimento al 31/12/2001, anno in cui in Basilicata i caseifici certificati erano solo tre, diventati quattro nel 2002, più altri tre in fase di certificazione. In altri termini, tre caseifici della Basilicata producono oltre la metà dell'intera produzione interregionale, mentre la Calabria, regione da cui si origina il nome "Silano", produce appena il 6,5% del totale. Partendo da tale constatazione, alcuni caseifici della Basilicata si sono proposti di avviare la procedura per il riconoscimento di uno specifico Marchio Collettivo riguardante il caciocavallo prodotto in Basilicata. L'iniziativa, mentre rappresenta una testimonianza positiva dell'interesse e della vivacità che i trasformatori esprimono in merito alla certificazione di prodotto, merita di essere attentamente valutata per evitare eventuali passi falsi in un campo in cui il successo commerciale richiede un'adeguata massa critica dell'offerta. In altre parole, prima di approdare a soluzioni che possano portare ad una frammentazione dell'attuale marchio Formaggio "Caciocavallo Silano" D.O.P., vanno valutate tutte le possibilità per differenziare detto marchio in modo da cogliere le specificità territoriali. Indirizzi operativi per promuovere lo sviluppo del marchio Ø Il miglioramento del disciplinare di produzione Nonostante le modifiche apportate con l'ultima richiesta avanzata dal Consorzio di tutela il 30 Ottobre 2001 (cfr paragrafo 5.2), l'attuale disciplinare di produzione si presenta ancora a maglia troppo larga. Esso, infatti, è più preciso e puntuale per alcune fasi della filiera, soprattutto quelle che riguardano la trasformazione e, dopo le ultime modifiche, la rintracciabilità del prodotto, ma non tocca nemmeno marginalmente la fase di produzione della materia prima. La diversificazione della materia prima è senz'altro uno dei punti più critici del disciplinare. Con il disciplinare in vigore, nell'area di produzione, già di per sé molto differenziata dal punto di vista ambientale, sono di fatto ammesse tutte le tecniche di alimentazione e di allevamento. Scaturisce da ciò una forte differenziazione qualitativa della materia prima, a cui corrisponde un prodotto finale che non viene facilmente identificato dal consumatore. Al fine della più ampia ed efficace valorizzazione del prodotto, appare giustificato apportare altre modifiche al disciplinare di produzione. In particolare le modifiche principali dovrebbero riguardare: a) Caratterizzazione e diversificazione dei prodotti in relazione alle caratteristiche della materia prima (es. podolico) e al periodo di stagionatura. b) Disciplinare di Produzione che preveda un'apposita sezione riguardante l'alimentazione, in modo da ottenere un prodotto finale con caratteristiche organolettiche standard, a prescindere dalla regione di provenienza; c) Definizione di uno standard di riferimento per dare un'identità più definita al prodotto finale e renderlo più riconoscibile al consumatore; d) Realizzazione di una linea distinta di lavorazione del Caciocavallo Silano D.O.P. dagli altri prodotti lavorati nella struttura di trasformazione; Ø Il coinvolgimento dei produttori della materia prima La valorizzazione delle produzioni lucane in questo settore, si potrà ottenere solo se gli allevatori all'interno del Consorzio di Tutela avranno una rappresentatività concreta e se vi sarà un miglioramento dell'integrazione fra tutti i soggetti che intervengono nella filiera (produzione zootecnica e trasformazione industriale). L'utilizzo di opportuni e razionali disciplinari di produzione potrà consentire una migliore caratterizzazione del prodotto finale ed il più diretto coinvolgimento dei produttori della materia prima nell'azione di miglioramento qualitativo e differenziazione dei prodotti stessi. Per questa via sarà anche possibile trasferire agli allevatori una parte significativa dell'incremento di prezzo che si riuscirà a conseguire. Nell'attuale situazione, l'allevatore non è stimolato, né incentivato ad integrarsi nella filiera della qualità. Anche se la qualità del prodotto lattiero-caseario è fortemente vincolata alla materia prima di origine, attualmente la caratterizzazione del prodotto finale non nasce e si sviluppa in tutte le fasi della filiera, ma si ottiene solo nella fase di trasformazione e commercializzazione. In altre parole, la qualità del prodotto finito, che dipende in larga parte dalle caratteristiche organolettiche del latte, non viene valorizzata nel settore primario da cui si origina, ma nella fase finale della filiera. Ne deriva che il valore aggiunto che si origina, va a vantaggio solo del segmento di trasformazione e commercializzazione e non si trasferisce in nessuna misura ai produttori della materia prima. (Costantino Di Carlo)