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(RegioneInforma) IL VULTURE E IL MELFESE NELLE INCISIONI E NEI DISEGNI DI GUERRA, DUCLÈRE E LEAR

05 gennaio 2005

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(ACR) - Nella seconda metà del secolo XVIII l'abate napoletano Domenico Tata (1723-1794), ospite del principe di Torella e duca di Lavello, Giuseppe Caracciolo, ebbe modo di soggiornare nel Vulture Melfese a Lavello per circa un mese, con visite e peregrinazioni a Venosa e lungo l'Ofanto per poi trasferirsi a Barile nella residenza dei Caracciolo. Per tutta l'estate del 1777 perlustrò più volte la montagna del Vulture e i suoi dintorni, riconoscendone la natura vulcanica e classificandone la geologia delle rocce. L'abate pubblicò il risultato delle sue osservazioni sotto forma di "Lettera" a sir William Hamilton (1703-1803), diplomatico inglese presso il governo borbonico, autore di un'opera sui Campi Flegrei che contribuì a risvegliare l'interesse di un certo mondo scientifico e letterario per la storia dei fenomeni naturali. La "Lettera" di Tata sul monte Vulture forniva notizie chiare e precise sulla geologia di quei luoghi, al di là dell'errore riferito all'esistenza di due bocche vulcaniche parallele sulla cima del Vulture. La sua opera inaugurava la stagione di ricerche e studi sul Vulture che vide avvicendarsi in quell'area studiosi e ricercatori italiani e stranieri nel corso del XIX secolo. Due vedute del Vulture e dei laghi di Monticchio, disegnate a volo d'uccello, corredano la "Lettera" dell'abate, fornendo per la prima volta una visione di quel luogo: il Lago Grande e il Lago Piccolo contornati da una fitta e rigogliosa vegetazione e l'Abbazia di Monticchio dedicata a San Michele Arcangelo posta a ridosso dell'omonimo costone roccioso; i laghi che ne occupano l'antico cratere attorno a cui si addensano, separati su dossi collinari, cinque centri abitati, che ne coronano la montagna. Quelle vedute furono eseguite da Giuseppe Guerra, probabilmente lo stesso che, durante l'interregno francese, lavorò presso l'Ufficio Topografico di Napoli, posto sotto il controllo del Maresciallo del Palazzo, per incidere su rame i disegni di Leopoldo Laperuta, che corredano la Carta degli itinerari militari da Bologna al Regno di Napoli (1809) realizzata dal colonnello Pietro Colletta e quella itineraria delle stazioni militari dello stesso regno (1810), di cui fu autore il geografo e cartografo Antonio Rizzi Zannoni. In Basilicata, specificamente a Melfi, giunse nel dicembre 1834 Charles Daubeney, professore inglese di chimica e botanica, per un'escursione sul Monte Vulture dopo aver visitato il lago Ansanto, nei pressi di Frigento. Del suo viaggio restano due vedute della collina di Melfi ed una dei Laghi di Monticchio, che compaiono nella edizione del 1835 disegnate da Thedore Duclère e incise da J.W. Lowry. La veduta panoramica di Melfi e del castello fu disegnata dalla sommità dell'ultima collinetta prima di giungere nella cittadina normanna attraverso l'Ofanto. Da quel punto di osservazione infatti "si godeva una vista molto bella e singolare" e "all'estremità del paesaggio si vedeva il Monte Vulture". Così Daubeuny descrive Melfi: "costruita su un' altura isolata, con il suo pittoresco castello che sovrasta il ripido pendio. Un piccolo corso d'acqua percorre la valle, separandoci dalla roccia su cui è stata la città di Melfi, ma un ponte nel fondovalle collega la città alla strada". A quella visione panoramica il disegnatore Duclère aggiunse una ulteriore veduta della città e del castello normanno, con la specificazione degli strati di roccia della collina. La città "poggia su strati di tufo vulcanico che emergendo dal Monte Vulture scompaiono al di sotto della superficie a nord-ovest della rocca di Melfi. Questi sono coperti da uno spesso strato di lava che si presenta come una ripida scarpata sul lato nord-ovest, quasi come una struttura a forma di colonna imperfetta, che sembra essere derivata dal Monte Vulture anche se i vari mutamenti del paesaggio ne hanno eliminato il raccordo". È ben chiaro dunque come quei disegni ubbidiscano alle finalità prettamente scientifiche di quella escursione e come sul piano storico rappresentino un punto di riferimento importante che delinea la forma della città, le mura che la cingevano, l'espansione e le vie di accesso. Dopo aver trovato una comoda sistemazione presso la locanda del Sole, Daubeuny con un gentiluomo di Melfi, due gendarmi di scorta, le guide consuete e Duclère furono ai laghi di Monticchio, dopo aver attraversato l'omonima foresta. Nel descrivere i due laghi, tra loro comunicanti, che occupano la parte più bassa dell'antico cratere vulcanico, i resti della Chiesa dedicata a Sant'Ippolito e il convento dei Francescani, in origine abbazia benedettina dedicata a San Michele Arcangelo, il disegnatore inglese fece appena in tempo a tratteggiare una più verosimile veduta di quei luoghi e delle vette del Monte Vulture, prima che "uno scroscio abbondante di nevischio" costringesse la comitiva "ad abbandonare l'idea originaria di salire fino alla sommità della montagna" e ad affrettare il rientro a Melfi. A distanza di tredici anni dall'escursione di Daubeuny un altro inglese, il pittore e scrittore Edward Lear, raggiunse da Napoli il Vulture- Melfese, trattenendosi a Melfi in compagnia dell'inseparabile amico John Proby e disegnando una pittoresca veduta dalla valle sottostante il castello, attraversata da un ruscello sormontato da un ponte e adorna di maestosi castagni e sorgenti. Alle innumerevoli rocce circostanti il castello "adibite a stalle per le pecore", nella città murata si susseguono i conventi e le chiese disseminate nei sobborghi, le case affollate, le solenni guglie del centro abitato e "il castello degno dei migliori quadri del Poussin, con la bella torre laterale che domina l'intera scena". Dopo aver compiuto un'escursione in Puglia a Castel del Monte, Proby e Lear ritornarono, attraverso Montemilone, a Venosa che "sorge sull'orlo di un ampio e profondo vallone, con il castello e la cattedrale che guardano dall'alto l'intera area urbana". Al 25 settembre del 1847 si può datare il disegno di Lear della città oraziana "con le vecchie chiese e le case pittoresche, con il Vulture rossiccio sullo sfondo e con il castello esplorato dallo scrittore inglese da cima a fondo". Trascorso qualche giorno a Venosa, furono poi a Rapolla e attraverso Barile raggiunsero Rionero, da dove mossero alla volta dei laghi di Monticchio. Era il 28 settembre, vigilia della festa di San Michele Arcangelo e nell'abbazia di Monticchio giungevano gruppi di contadini che si accampavano sotto gli alti noci per partecipare alla festa patronale. Suggestionato da quel paesaggio che si rifletteva nell'acqua, dall'architettura dell'abbazia e dalla folla dei pellegrini, il disegnatore inglese raffigurò una scena che egli stesso definì così bella "come mai prima" aveva visto. (I.S.)

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