(RegioneInforma) IL MISTERO SVELATO DELLA CRIPTA DI SANTA MARGHERITA A MELFI
05 gennaio 2005
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(ACR) - Un anfratto a metà strada fra la cittadina di Melfi e Rapolla , ad un livello ipogeo di circa due metri rispetto alla trafficata strada che percorre l'intera area del Vulture, rivela un piccolo ma incommensurabile tesoro d'arte: la chiesa rupestre di S.Margherita.
Regno incontrastato fino a non molti anni fa di muffe e licheni, spore fungine e micorganismi di varia natura, abitanti indomiti dei luoghi poco areati e sotterranei, la piccola chiesa custodiva in realtà un vero campionario di affreschi medievali dal raro pregio e dalle enigmatiche raffigurazioni.
Descritta solo nel 1930 da Ettore Galli come <> l'edificio, realizzato utilizzando l'antro naturale scavato nel tufo, come tradizione monastica di matrice orientale richiedeva, era in effetti alla mercè di vari fattori che ne determinavano da tempo un inesorabile degrado. L'acqua infatti che proviene dalle numerose sorgenti in zona e dalle piogge crea, complice una scarsa ossigenazione dell'ambiente, una vera cappa d'umidità, che presenta un tasso vicino al 100 per cento, mentre la luce che da sempre filtrava dalla cancellata in ferro che delimita l'accesso nella chiesa completava il processo di deperimento delle superfici dipinte delle pareti.
Come in preda ad un frenetico "Horror vacui"gli artisti che hanno affrescato la chiesa-grotta di S.Margherita hanno dato ampio spazio alle raffigurazioni di molti dei santi più venerati nella zona, con attenzione speciale, ovviamente a S.Margherita e al suo supplizio.
Più volte ripulita da quel 1930 e in diverse tornate ripresa nei suoi dipinti, la chiesa si presenta oggi come un autentico gioiello, splendido exemplum dell'arte tardo bizantina e medievale che nella zona del Vulture, come in molte altre della Basilicata si è prodotta in splendide pitture rupestri ( basti pensare alle chiese di Matera).
Certamente discutibili i ritocchi effettuati su alcuni dipinti, che nel tentativo di ritrovarne l'antico smalto e cromatura hanno finito per depauperarne la bellezza viva e magnetica di alcuni sguardi, di alcune pieghe di abiti e visi, ma la chiesa di S.Margherita offre a chi vi entra un colpo d'occhio che da solo vale la visita.
Il sistema d'aerazione con climatizzazione temporizzata impiantata su committenza della Soprintendenza per i Beni artistici e Storici permette di sostare in grotta senza risentire troppo dell'inevitabile cappa di muffa e umidità, che comunque persiste in parte, data la natura dell'ambiente.
Subito, nella chiesa a croce latina, una sfilata sacra in piena regola accoglie il visitatore, che si trova circondato dall'immagine di Santa Margherita, acconciata secondo i dettami di una moda in voga allora solo presso le dame d'oltralpe e riccamente abbigliata con una veste dalle sembianze gotiche , poi i quattro evangelisti racchiusi in cerchi disegnati, le Sante Luci a e Caterina d'Alessandria, san Lorenzo martirizzato sulla graticola, San Miche, da queste parti molto venerato, come testimonia la suggestiva abbazia a lui dedicata che si specchia nel vicino lago maggiore di Monticchio.
E poi, nella cripta, un dipinto che ha fatto arrovellare studioso di mezz'Europa. Un titolo, <>, o in altri contesti, <> che subito fa pensare alla tipica concezione medievale di ricordare con immagini funeste e orride l'incombere della morte sulla caducità della vita terrena. E qui infatti, perfettamente interpretato ecco atterrire un affresco, anch'esso restaurato, che non è solo un vero gioiello d'arte medievale, ma costituisce la soluzione ad un mistero durato secoli.
L'affresco infatti mostra da una parte tre scheletri, davvero <> si potrebbe osare, e dall'altra tre vivi, di cui certamente uno è donna, alta rispetto agli atri due uomini, bionda come i suoi compagni di dipinto, e come loro vestita con foggi accurata e meticolosamente ritratta.
E se chiaro si manifesta il monito che da una parte gli scheletri lanciano sulla futilità della bellezza e della ricchezza ai tre aristocratici personaggi cui sembrano apparire all'improvviso e che per in realtà paiono meravigliati ( gli occhi sgranati che dovevano <> nell'affresco originale hanno perso carisma con il restauro per la verità) ma non più di tanto atterriti , avvolta nel mistero pareva l'identità dei tre vivi.
Finchè dopo studi attenti e ragionati, anche in virtù del fatto che la chiesa si trova in piena zona del Vulture, dove ancora vivida e forte aleggia la personalità e l'opera di Federico II, si è giunti alla conclusione, non poco contrastata, che quella immortalata dall'ignoto pittore sia nientemeno che la famiglia dell'imperatore svevo, quella che si era costituita con il matrimonio di Federico II con Jolanda ( o Isabella) d'Inghilterra, ultima consorte legittima prima di Biancalancia, da cui l'imperatore avrà l'amato figlio Manfredi , e che egli non sposerà se non in punto di morte.
Quello della cripta di Santa Margherita potrebbe addirittura essere l'unico vero sottratto del re svevo, che anche nel dipinto non tradisce il suo amore sconfinato per i falconi, ritratti appollaiati sulle dita di tutti e tre i reali . Lei, Jolanda , dalla chioma bionda e dagli occhi cerulei, regale e piegata, per non svelare la sua altezza nordica, rispetto alla statura tutt'altro che imponente del consorte, e poi il sovrano, con la sua inconfondibile barba fulva, la tunica orientaleggiante e infine il loro unico figlio Corradino, anch'egli biondo. Ognuno di loro reca la classica borsa che utilizzavano i falconieri durante le esercitazioni, abbellita con fiori di otto petali , tanto per suggellare ancora una volta la cabala che Federico seguiva e per la quale attribuiva a questo numero il ruolo di mediatore della terra e dell'infinito. (M.R.)
Redazione Consiglio Informa