(RegioneInforma) "NUNC EST BIBENDUM", MEGLIO ANCORA SE AGLIANICO!
05 gennaio 2005
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(ACR) - Il primo probabilmente fu quel godereccio di Dioniso, e poi non si smise più di cogliere nel vino l'essenza della felicità nell'ebbrezza che esso produce. Ovvio che ci si ubriacava, e pure molto, ma dopo la "sacra sbronza" si tornava l'indomani lucidi alla vita pubblica, più distesi, le tensioni si sopportavano meglio. Non esisteva certo al Lega Alcolisti Anonimi nell'antica Grecia, ma in fondo chissà, non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno. Gli eccessi sono figli dell'uomo moderno. Poi venne il poeta latino Quinto Orazio Flacco, il nostro venosino Orazio, che nella sua terra d'origine rimase poco, ma corse presto lungo la via Appia, passando per la via Herculea, il suo mitico monito" Carpe diem", con cui invitava il suo amico Mecenate a stemperare i suoi mali in una tazza d'argilla riempita di vino nostrano. Quel "merum"che evocava la sua terra natale, "Mea fabulosae Volture in Apulo altricis extra limen Apuliae…" e dispensava il calore e l'allegria che nelle giornate d'inverno poco si concedono agli uomini. Magari senza tutta la classica dietrologia che si lascia intravedere all'ombra di ogni bicchiere versato chissà, forse l'amore per la rubra bevanda, il senso di appartenenza ad un rituale millenario ogni volta che si beve l'Aglianico, e la mitologia che noi lucani amiamo costruire intorno alle antiche derivazioni del culto enologico non avrebbero lo stesso fiero guizzo e l'identica voglia di esaltarne le virtù.
Parliamo di Aglianico e già la fonetica si tuffa nelle ricerche etimologiche che si stazionano accanto alla radice dell'Ellade, per cui orgogliosi qui si brandiscono le avite genesi greche, che duemila anni or sono portarono un manipolo di colti e raffinati ellenici a impiantare in quella destinata a divenire Magna Grecia, la loro civiltà e la loro salvifica pianta ad acino. Un vino, l'Ellenicum quindi, che poi nel corso dei secoli ha subito modifiche, tagli e annacquamenti ( ben nota è l'usanza dei Romani, che tagliavano il loro vino con l'acqua e poi lo riponevano in anfore che avessero contenuto vino della Grecia, perché ne assorbisse gli aromi), ma che è giunto intatto fino a noi per virtù panacee, tradizione e edonistica coccola per il palato e per lo spirito.
Oggi come allora, il panorama che suggella l'unicità dell'Aglianico è quello della Basilicata nord-occidentale che, come diceva Orazio, confina con la Puglia ed è sorvegliato da un vulcano spento.
Distese ammantate del colore dei boschi, imbrunite dai toni scuri di una terra fertile e variegate dalle molteplici tonalità dell'oro del grano e, su tutto, imponente, un tempo potente, ora rassicurante, l'egida del Vulture. Un vulcano antichissimo, estinto da secoli e secoli, che dopo morte e distruzione ora è ancora lì, a marcare un territorio dove le sue colate laviche, la sua furia impetuosa di allora, si sono trasformate nella più grande ricchezza. Una ricchezza che viene da un'incredibile fertilità, da un clima ottimale e da un'operosa attività umana.
Culla dell'Aglianico quindi un paesaggio cui la prestigiosa bevanda aggiunge, ma non qualifica attributi che solo la vista può ben intendere. Distese di faggi, pini , abeti, querce, manti di variegati colori dal verde al marrone, e poi colline coltivate, sorgenti di acque minerali, preziosi ricami operati da fiumi e torrenti, castelli e cattedrali che svettano dai borghi, sembrano la collocazione naturale dell'Aglianico, delle sue vigne, dislocate a macchia di leopardo in ordinatissimi filari. Biancospino, sanguinella, acero campestre, rosa canina sorgono spontanee intorno ai vigneti, per delimitarne i perimetri e indicarne la presenza. Cardellini, verzellini, averle, codirossi e pigliamosche volano e cinguettano sulle vigne, e quando è tempo di vendemmia allegri cori di merli e tordi bottacci banchettano di acini caduti o rimasti sulla pianta. Un quadro idilliaco, un paradiso della natura e per il cuore, che brulica vita e si lascia scandire e bonariamente governare dalla natura. Questa è la patria dell'Aglianico, un agroecosistema perfetto, in cui l'uomo partecipa senza imporre, interviene senza divellere, e da millenni si adopera per creare, in unisono con la natura, il vero nettare degli Dei.
E' certamente migliorata anche la forza imprenditoriale intorno all'Aglianico, vi sono nuove energie mentali, e pertanto si è acutizzato l'interesse nazionale, anzi mondiale, verso questo prodotto. Per molti anni l'Aglianico è stato utilizzato come vino da taglio per aziende prestigiose, occupate nell'imbottigliamento di marchi come il Chianti, il Barolo, il Valpolicella. Finché non abbiamo assistito ad una riscoperta dei grandi vitigni del Sud, che davano vini di corpo, di sostanza. Così l'Aglianico ha funzionato da elemento di riscatto dei vini meridionali. Il gotha dei cultori del vino ne ha dovuto riconoscere le preziose qualità, l'indiscussa peculiarità di gusto ,e si è iniziato ad identificare l'Aglianico come" il Barolo del Sud">>. Fin quando oggi Robert Parker, avvocato certamente più abile in vigna che in un'aula di tribunale, assurto a profeta dei grandi vini di tutto il mondo, dopo aver aperto un dominio a cui accedono amanti ed esperti del settore ( www.wineadvocate.com se vi interessa) ha sentenziato che è <>. Robert Parker ha sollevato inoltre una questione delicata, ma quanto mai attuale, che coinvolge tutti l'intero settore commerciale del vino in bottiglia: un buon vino deve essere identificato per la sua ottima qualità, ma deve poter essere assaggiato da tutti. Per Parker in definitiva una bottiglia di ottimo vino non dovrebbe superare un prezzo di 40 €, ragionando in moneta europea. Questo perché prima dell'entrata in vigore dell'Euro c'era stata una eclatante sopravvalutazione del valore economico del vino, con una disparità notevole del prezzo di offerta con quello che era il prezzo che la domanda era in grado di sostenere. Il vino è arrivato a rappresentare un bene di lusso insomma. E' stata necessaria pertanto una maggiore oculatezza nel fissare i prezzi delle bottiglie, da adeguare all'andamento globale del mercato, oggi in forte recessione.
L'Aglianico è un prodotto di nicchia, non ci sono ancora grandissimi numeri intorno al nostro vino. Per la maggior parte sono aziende medio-piccole a produrne la maggior quantità , e non è molto facile per loro sostenere una grande distribuzione, mancando di fatto un adeguato numero di bottiglie prodotte. Questo determina una sorta di circolo vizioso, perché mancando grandi numeri, si preferisce distribuire l'Aglianico in enoteche e nella ristorazione di alta qualità. E ciò comporta un rialzo dei prezzi, giustificato soprattutto in caso di annate poco felici, come la precedente. Dovendo sempre garantire una continuità nella qualità, le aziende più piccole, o comunque economicamente meno forti, devono fronteggiare le perdite spesso maggiorando i costi in bottiglia.
Per regolamentare in forma sempre più capillare e sistematica la produzione di Aglianico e regolamentarne numeri e procedure, è stato istituito dal 2001 il cosiddetto Catasto Vitivinicolo regionale, attraverso il quale vengono catalogate le aziende produttrici e le uve conferite, la Regione svolge controlli sull'effettivo allineamento alla normativa comunitaria e ha promosso e finanziato negli ultimi tre anni il reimpianto di nuovi vigneti , che è servito a ringiovanirli per migliorarne la resa. Sempre la Regione ha provveduto a rassegnare nuove quote, ben consapevole che oggi il vino, soprattutto in Basilicata, veicola il territorio.
Nel momento in cui l'Aglianico si è visto riconoscere il prestigioso marchio D.O.C., nel 1971, esso è stato dotato di Disciplinare, che regolamenta in maniera sistematica e inderogabile i parametri entro cui i produttori e lo stesso prodotto devono sempre rimanere: quantità da produrre, strumenti, estensioni dei vigneti. Una normativa complessa, quella a cui il settore vitivinicolo è sottoposto, in parte modificata nel 1987,ma in alcuni punti ancora avulsa da quelle che sono le reali esigenze oggi di chi vive e movimenta l'intera filiera dell'Aglianico.
In base a quanto prevede il Disciplinare, può denominarsi <> quel vino, e solo quello, ottenuto da uve di vitigno Aglianico, coltivato in zone ben definite, elencate all'art.3 e afferenti ai territori che gravitano nell'orbita del Vulture , e con condizioni pedoclimatiche che conferiscano alle uve prima e al vino poi le specifiche caratteristiche di qualità. Vigneti ubicati in territori collinari di origine vulcanica, ad un'altitudine compresa fra i 200 e i 700 metri, ( ma gli agronomi garantiscono che è fino ai 500 metri di altitudine che si ottiene l'optimum). Non è assolutamente possibile intervenire con <> sui vigneti, e tale ammonimento, pur legittimato ai fini di un'assoluta spontaneità della qualità del prodotto, non è sempre proponibili proprio per gli stessi motivi. Il Disciplinare ad esempio non prevede irrigazione dei vigneti, ma ciò non è sempre evitabile, per garantire alle piante di vite un giusto apporto idrico.
Sempre secondo quanto prevede il Disciplinare, la resa massima delle uve da vino non deve superare il 70 %, e per ettaro non si può realizzare un quantitativo di uve superiore ai 100 q.li.
Quando poi le uve raccolte entrano in cantina, esse devono subire processi di vinificazione e invecchiamento ben precisi, nella misura minore possibile interferite da pratiche enologiche.
Una gradazione alcolica complessiva minima naturale di 11,5 gradi, un'acidità totale minima del 5 per mille, un estratto secco netto minimo di 22 per mille, un odore vinoso con profumo delicato destinato ad affinarsi con il tempo, , un colore rosso rubino più o meno intenso, o un granato vivace con riflessi arancione dopo il processo di invecchiamento, un sapore asciutto, giustamente tannico, armonico, fresco e man mano sempre più vellutato, e amabile in proporzione al suo contenuto zuccherino (che non deve mai oltrepassare il limite di 10 grammi per litro). Questa il passaporto con cui un bicchiere di Aglianico del Vulture mostra ai nostri occhi, al nostro olfatto, e poi alle nostre papille gustative, il suo mix perfetto di odore, colore e sapore. Mix che man mano che prosegue il processo d'invecchiamento, si modifica. A partire dal 1° Novembre dell'anno di produzione delle uve, e per almeno un anno, il vino deve riposare in cantina prima di poter essere immesso al consumo. Per un invecchiamento vero e proprio poi, sempre il Disciplinare ne indica tempi e modi. Almeno tre anni, di cui due in botti di legno (ma chiamamoli "barriques", come ormai è consuetudine anche in territorio cisalpino), radica o rovere tostato, che rilascerà al vino in esse custodito il suo peculiare retrogusto aromatico e colore, e almeno cinque anni, di cui due sempre nelle suddette botti di legno, per un Aglianico che arricchirà le nostre cantine con la dicitura di <>.
Naturalmente anche il buon vino, come ogni bene di lusso, o comunque di forte gradiente, paga il fio della contraffazione, sempre vigile e pronta a entrare in scena, anzi pardon, in cantina, e spacciare un prodotto normale per uno di eccellente genealogia. Ma se scoperti, gli "eno pirati" dovranno fare i conti con l'art.28 del Dpr 12 Luglio 1963, n.930. e, cosa non da poco, con gli innumerevoli amanti, intenditori e bevitori di una bevanda che non ha eguali. (M.R.)
Redazione Consiglio Informa