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(RegioneInforma) "I LEO DI CHIAROMONTE"

14 gennaio 2005

© 2013 - chiaromonte.jpg

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(ACR) - Il testo " I Leo di Chiaromonte" scritto da Eduardo Leo, raccoglie le opere, i testi e altra documentazione, fornendo un albero genealogico, ritratti e foto, oltre a un insieme di opere e testi editi e inediti, soprattutto del sindaco di Chiaromonte, Francesco Leo, eletto nel primo periodo post-unitario. Questa opera, quindi, riveste grande valenza ancor oggi nel tessuto sociale del paese e dell'intero circondario, poiché le famiglie emigranti sono ancora parte viva del corpo della comunità chiaromontese. Il documento più antico che attesta la presenza dei Leo a Chiaromonte riguarda gli atti del notaio Leo risalenti al 1080 durante il periodo normanno. Una tradizione notarile antichissima quella della famiglia Leo, confermata dall'attività, a Chiaromonte, di altri tre notai tra la fine del sec. XVII e la seconda metà del sec. XIX. I Leo dedicarono a Chiaromonte, nell'arco di cento anni, un impegno continuo politico e amministrativo. Infatti, quattro esponenti di questa famiglia ricoprirono la carica di sindaco tra il primo decennio dell'Ottocento ed i primi decenni del Novecento, ottenendo alcuni anche l'elezione alla carica di consigliere provinciale nel mandamento di Chiaromonte. Eduardo Leo, dal canto suo, ottenne la carica di Presidente della Deputazione Provinciale e di Sindaco di Lagonegro nel 1914. Non a caso la maggior parte dei documenti della famiglia Leo è di tipo legale, ad esempio, lauree a carattere giuridico, che la famiglia conserva arrotolate e racchiuse in una teca di legno e vetro, posta su di un tavolo al centro dello studio del palazzo Leo. Tra quelle leggibili, purtuttavia, le più antiche sono le lauree in medicina di Nicola Leo, che risale al 1300 e di Giulio Cesare Francesco Giuseppe Leo del 1531. Ma il più vecchio documento è quello di un notaio Leo della "Città di Chiaromonte" risalente al 1080. Tra le molte ipotesi possibili, riguardanti le origini della famiglia Leo, quelle che sembrano più attendibili e affascinanti sono principalmente due: la prima sostiene che il cognome Leo sia di origine normanna e, quindi, arrivato con loro nell'Italia meridionale, mentre la seconda ipotesi afferma che derivi dal legatus (legato) nell'Antica Roma, rappresentante ufficiale di magistrati, ma anche del Senato o del Governatore di una provincia. Pur nelle enormi difficoltà della certezza, scrive l'autore, "questa seconda ipotesi è quella che più mi affascina anche perché nel dialetto chiaromontese il casato dei Leo è sempre stato nominato come "I LEG" quasi fosse una forma contratta di legatus". Nel fornire gli elementi disponibili su "I Leo di Chiaromonte" l'autore esplicita il proprio intento di aver voluto richiamare alla memoria non soltanto l'operato dei suoi avi ma, soprattutto, gli ideali che ne animarono la vita. "Ho pensato spesso" scrive ancora l'autore "di scrivere un qualcosa che potesse rimanere ai miei figli come testimonianza del loro passato, affinché non dimenticassero le radici lucane delle quali sono fiero, anche se sono nato e cresciuto a Salerno". Splendido è il palazzo di famiglia situato al centro dell'abitato storico della città di Chiaromonte che si affaccia per intero sulla via Francesco Leo. E' composto da un blocco a tre piani unito alla stecca principale da un giardino pensile di rara bellezza. Il palazzo nella parte anteriore ha il grande studio con due ampie finestre contrapposte che affacciano, una sulla via Francesco Leo sopra il grande portone, e l'altra nella corte interna da dove si accede ai piani superiori attraverso una scala di stile vanvitelliano. Nello studio si trovano le antiche librerie, ricche di vecchi testi di letteratura di botanica, di scienze geografiche, di filosofia, di medicina, oltre a testi di greco, latino e francese e una grande quantità di testi giuridico-legali. Al centro dello studio vi è il tavolo, ricoperto da un broccato rosa antico sul quale è adagiata la teca di legno e vetro che custodisce il grande patrimonio storico-culturale della famiglia Leo e, possiamo dire, della stessa città di Chiaromonte: le lauree di famiglia. Al centro del Palazzo vi è il portone principale che consente l'ingresso alla corte interna con un ampio portale in pietra sormontato dallo stemma dei Leo scolpito in un blocco di pietra. Da lì si accede all'area cortilizia attraverso un portale a volta, sotto cui è affrescato lo stemma di famiglia che è costituito da uno scudo diviso obliquamente in due campi da un arcobaleno; sotto lo scudo, in una pergamena che si snoda da sinistra verso destra si legge: "EMAL LEO SIBI ET SUIS" e, sotto, la data 1836. Scritta e data che non si riferiscono né a chi ha costruito il palazzo, né all'epoca a cui risale la costruzione, che per posizione e struttura è databile certamente a qualche secolo prima e, dunque, all'ultimo proprietario che ha apportato significative modifiche al palazzo. E' a Franceso Leo che si deve il lustro storico-culturale del casato, insieme anche a Deodato Leo e a Emanuele Leo che ha introdotto elementi estetici innovativi, sia ristrutturando il palazzo, sia arricchendo la sala e lo studio con mobili, libri, quadri di scuola napoletana e calabrese, ritratti dei vari membri dalla famiglia, quadri di soggetti sacri d'ottima fattura. Figura storica del paese, quella di Francesco Leo, al quale è tuttora dedicata la strada più lunga e importante del centro storico di Chiaromonte e una piazza al centro di San Severino Lucano. Francesco Leo, nato a Chiaromonte il 26 marzo del 1811 da Don Emanuele Leo, dottore legista e illustre magistrato e da Donna Regina Grandinetti proprietaria, e laureatosi in giurisprudenza nel 1834, esercitò la professione forense senza rinunciare ai suoi ideali politici che lo portarono ad assumere la carica di sindaco di Chiaromonte dal 1860 (dopo l'unità d'Italia) al 1861 e dal 1868 al 1870 e, nel frattempo, dal 1863 al 1864, fu eletto nel mandamento di Chiaromonte come Consigliere Provinciale. Uomo di mente versatile, aperta a tutte le manifestazioni dell'arte, si dedicò anche alla botanica, studiando e coltivando piante e fiori rari, fece lavori di pittura e di scultura. Dell'arte aveva un concetto così alto, così grande da non essere mai contento della sua opera, evitando, pertanto, di dare ad essa pubblicità, infatti quasi tutta la sua produzione letteraria rimane tuttora inedita. Tra i suoi pochi lavori pubblicati ve n'è uno intitolato "La Vergine del Vangelo" scritto nel 1885, una raccolta di quattordici sonetti sulla Vergine, contemplata nel puro ambiente evangelico. Arrestato nel 1850 fu processato dalla Gran Corte Speciale di Potenza e condannato a 7 anni di ferri. Scontò la sua pena tra Potenza, Napoli e Procida. Nel carcere di Procida scrisse un lungo componimento "Ai concaptivi lucani nel Bagno di Procida". Rimesso in libertà, dopo aver scontata la condanna a sette anni di ferri, non riprese la sua attività professionale, ma si diede completamente agli studi preferiti e alle gioie dell'arte. Nel 1848 Francesco Leo preso da un fremito d'amor patrio scrive nel marzo dei versi superbamente sonanti " In occasione delle onoranze funebri rese ai caduti nelle cinque gloriose giornate di Milano". Nel 1873 scrisse alcuni sonetti dal titolo "Sul miracolo della manna operato da S. Gaetano Thiène, patrono di Caldera". Nel giugno del 1888 scrisse un'epistola in versi a Fortunato Forcignanò, giovane poeta calabrese. Trascorse gli ultimi anni della sua vita nella pace della villa Leo di Savino, che porta ancora scolpite sull'ingresso le parole da lui volute "AMICIS / ET / NE / PAUCIS / PATEAT / ETIAM / FICTIS/" le quali, in buon volgare, vanno così intese "(Questa porta) sia aperta agli amici, e affinché non siano pochi, anche ai finti amici". Si spense nel suo paese natio il primo ottobre 1894 a 83 anni, spesi tutti nell'amare la patria, la famiglia, le lettere. (A.C.)

Redazione Consiglio Informa

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