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(RegioneInforma) IL CARNEVALE NEI PAESI LUCANI

17 gennaio 2005

© 2013 - nemoli.jpg

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(ACR) - Incrociano testi sacri e cultura primordiale, religione e riti pagani, superstizioni e speranze. Sono le tradizioni carnevalesche che si festeggiano nei paesi della Basilicata. Usanze che uniscono l'identità ed il cuore, che costituiscono un patrimonio della memoria di notevole valore da promuovere e tutelare. Riti legati alle feste dei santi ed all'entrata del Carnevale, forti di una dimensione magica ed intensa che assumono incredibili valenze in particolare nei piccoli comuni dove il tempo è scandito proprio da questi ritmi. Da metà gennaio a febbraio, infatti, sono diversi i rituali che si susseguono nelle varie aree e che celebrano il Carnevale. Uno degli esempi più interessanti è Pignola, nel Potentino, dove l'inizio dei festeggiamenti carnevaleschi coincide con la ricorrenza di Sant'Antonio Abate e la corsa dei muli (animali oggi in via di estinzione che in alcuni casi sono stati sostituiti con i cavalli). A Pignola, dopo la benedizione degli animali, cavalieri mascherati si lanciano in una corsa che prevede tre giri intorno ad un falò e alle chiese che hanno cappelle dedicate al santo, per poi fermarsi davanti la Chiesa di Sant'Antonio Abate. Una tradizione antica quella dei «palii di giraciucci», nata per onorare quel Santo - che secondo i racconti scese all'inferno e vi fuggì grazie all'aiuto di un porcellino - in passato condivisa anche da altre popolazioni della regione: dalla Val d'Agri all'Alto Bradano, al Materano. «A Sant'Antune mascare e sune» ovvero a Sant'Antonio maschere, suoni e falò. E' il trittico che l'universo popolare lega al santo e che affonda le sue radici in rituali arcaici, in quelle celebrazioni del mondo agro-pastorale. L'embelma classico di queste manifestazioni, comunque, sono i falò. Fuochi che si accendono nei vari paesi come simbolo benaugurale. Utile per purificare le campagne, tenere lontani gli spiriti maligni, pulire l'impuro ed aiutare la terra a risvegliarsi. Tanto che è consuetudine concimare il suolo con la cenere dei fuochi per favorire la germinazione. Altro simbolo carnevalesco sono le maschere e i suoni, pratiche nate per esorcizzare il nuovo e per richiamare il tempo che passa. Colonna sonora di tutto questo sono i campanacci. Dalla Val d'Agri al Materano, imitando gli animali nella transumanza gruppi mascherati suonano e cantano. Un frastuono considerato importante per allontare le negatività e risvegliare il cosmo. Nell'area sud, comunque, il rito di Carnevale più importante ha come scenario Nemoli. Nelle settimane precedenti il Carnevale, gruppi di giovani fanno la raccolta di farina, salsiccia, pancetta e peperoni piccanti sfarinati che, poi, il pomeriggio del martedì grasso, dopo la sfilata di maschere e carri allegorici, viene distribuito dando vita alla festa della Polenta. Un momento di aggregrazione, celebrato anche con litri di vino, che si conclude con una grande abbuffata. A distribuire il cibo maschere locali dette «Frazzuogne» che girano al suono di organetti e cupi-cupi, accogliendo festanti le persone che vengono anche dai paesi limitrofi. Altro rito di notevole valore è quello di Trecchina dove, la domenica precedente il martedì grasso, si celebra il «cantacronze». Girando per le strade del paesino del Lagonegrese, un menestrello vestito da pecora ed accompagnato dal ritmo del cupi-cupi, commenta in maniera burlesca i fatti della vita amministrativa e sociale accaduti durante l'anno. Così come avviene a Pignola con la «Parata dei Rioni» dove vengono improvvisati canti di denuncia. E sempre nel segno dell'allegoria è un'altro rituale che da tempo si ripete a Teana: è il processo al Carnevale. Una manifestazione particolarissima, finita in diversi trattati di antropologia, che ha radici antichissime e che rappresenta una delle usanze più interessanti dell'area sud.Denominata «L'Orso» la manifestazione rappresenta un animale che esce dai fitti boschi del Pollino per fare il processo al Carnevale (rappresentato come un buontempone) e verificare come si è comportato durante tutto l'anno. Una volta terminato il processo, l'Orso lo rapisce e lo porta nel bosco per finirlo, sventrandolo e facendo uscire dalla sua pancia ogni ben di Dio. Il tutto sempre accompagnato dal suono degli organetti e del cupi-cupi. Un'usanza allegorica, dunque, con forti basi religiose utilizzata per richiamare la gente all'astinenza ed alla misura. Altra usanza carnevalesca di notevole valore si svolge a San Paolo Albanese, paese dove le radici arberesche si mescolano con influenze italiche. Come nel caso del «Testamentum aselli», canto diffuso di età medioevale. Tra quei vicoli, sino a poco tempo fa, l'ultimo giorno di Carnevale sfilava un uomo mascherato da asino che pronunciava le sue ultime volontà prima della condanna a morte. (A.I.)

Redazione Consiglio Informa

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