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(RegioneInforma) TERREMOTO, 2 VOLUMI IN COLLABORAZIONE CON L'ARCHIVIO DI STATO
18 gennaio 2005
(ACR) - È cosa ormai risaputa. La Basilicata è da sempre una terra fortemente soggetta a fenomeni sismici. Lo testimonia il gran numero di terremoti verificatisi nelle epoche passate, molti dei quali con epicentro nell'area campana, che non hanno comunque evitato di arrecare cospicui danni dalle devastanti conseguenze. Si pensi ai fenomeni sismici del 19 agosto 1561, del 8 settembre 1694, del 14 agosto 1851, del 9 aprile 1853, del 16 dicembre 1857, del 23 luglio 1930, fino all'ultimo del 23 novembre 1980. Tra tutti questi, quello che desta particolare attenzione è senz'altro l'evento sismico del 1857 che interessò molti paesi della Basilicata e parte della Campania. L'attenzione particolare la si deve essenzialmente a due ragioni: prima di tutto quello del 1857 fu uno dei terremoti più distruttivi che abbia mai colpito l'Appennino Meridionale. Inoltre, cosa alquanto importante, è stato così ben documentato grazie all'attento lavoro dello studioso irlandese, Robert Mallet. Dopo una laurea in ingegneria, il Mallet cominciò ben presto ad appassionarsi di geologia. Si rivelò particolarmente attento allo studio dei terremoti che all'epoca rappresentavano un universo "vergine", quasi del tutto inesplorato. Fu lui a gettare la basi per quel tipo di ricerca. Correva l'anno 1858 quando Mallet si recò in visita nei paesi dell'Alta Val d'Agri e nel Vallo di Diano. Le principali zone che il 16 dicembre 1857 furono trafitte al cuore da un fenomeno sismico che lasciò dietro di sé qualcosa come 10mila morti e la quasi totalità delle abitazioni rase al suolo. Le zone colpite dal maggior numero di perdite coincidevano con gli attuali comuni di Montemurro, Grumento Nova, Viggiano, Tito, Marsico Nuovo e Polla. In tutto si contarono 3.313 case distrutte e 2.786 inagibili. Oltre all'inevitabile calo di popolazione che il terremoto produsse, si sommarono le perdite del patrimonio edilizio, delle infrastrutture agricole e di una gran quantità di bestiame. Il risultato che ne conseguì fu piuttosto disastroso, anche e soprattutto dal punto di vista economico. Se si considera che l'economia della zona si basava essenzialmente sull'agricoltura e la pastorizia allora è facile capire come un evento come quello, in un'area già fortemente compromessa sotto vari versanti, finisse col presentare un conto veramente salato all'intera popolazione. A tutto ciò si aggiunga anche il fatto che la Val d'Agri era una delle zone più isolate del Regno di Napoli a causa soprattutto dell'assenza di una rete viaria, principale motivo per cui i soccorsi furono scarsi e intempestivi. Per di più il periodo di decadenza politica ed economica che in quegli anni caratterizzava il Regno Borbonico e la successiva non curanza dei Savoia che di lì a poco sarebbero subentrati, spiegano quel totale senso di frustrante abbandono (insieme istituzionale e divino) percepito dalla gente di quei luoghi, che tuttavia mescolava a sentimenti di "triste disperazione" anche una "sottomessa e paziente resistenza". Elementi che, secondo il Mallet, rappresentavano i tratti caratteristici degli uomini e delle donne di quella terra. Quel suo viaggio nel profondo sud Italia, però, generò un meticoloso rapporto che egli scrisse per il Presidente della Royal Society di Londra, Lord Wrottesley. Il documento riveste oggi grandissimo interesse in quanto considerato opera prima mediante la quale, per la prima volta, si studiava l'evento sismico con una prospettiva un po' più vasta, una visuale a 360 gradi. Studiando e approfondendo quei preziosi appunti, l'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia di Bologna, in collaborazione con l'archivio di Stato di Potenza e le Comunità Montane del Vallo di Diano e del Tanagro, ha realizzato un'opera di due volumi. Il primo di questi riprende in modo integrale i Primi Principi di Sismologia Osservazionale che Mallet aveva cautamente appuntati nel suo rapporto; mentre il secondo mette a confronto, da un punto di vista ambientale, la situazione attuale di quelle zone con la situazione esistente nel periodo della catastrofe. Tuttavia, nonostante il Rapporto di Mallet tutt'oggi rivesta grandissima importanza per la razionalità e l'obiettività con cui venne condotta l'indagine, è pur vero che il successo di quella ricerca la si deve principalmente a un vasto repertorio fotografico che il francese Alphonse Bernoud, al suo seguito, scattò in quei posti. L'abbondante bagaglio di immagini, frutto di un mese di ricerche, conta 136 scatti che vanno ad arricchire con dovizia di particolari il già di per sè prezioso documento stilato dall'ingegnere irlandese. La conclusione cui giunse Mallet fu sorprendente per l'epoca in cui veniva asserita. E cioè che il sisma in sé non è da considerarsi come una catastrofe, una condanna o una "maledizione" inflitta agli uomini da un Dio severo. Il terremoto è secondo Mallet un evento necessario e inevitabile, come "l'azione di una parte di una macchina benefica come il tempo della semina e del raccolto", come lo stesso studioso commentò nel suo rapporto. Ciò che l'uomo può fare per evitare di soccombere dinanzi alla travolgente forza di siffatta natura è cautelarsi il più possibile mediante l'attenta costruzione di case ed edifici dalle strutture più solide, in grado di resistere nel tempo alla veemenza dei fenomeni sismici. Tale conclusione finì inequivocabilmente col consacrare il sismologo irlandese studioso moderno dalla sorprendente attualità. (k.s.)