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(RegioneInforma) IL TERREMOTO DEL 1851 NELLE RAFFIGURAZIONI DI PALIZZI, FLAUTI E PALMA
18 gennaio 2005
(ACR) - L'intensità del terremoto che il 14 agosto 1851 scosse il Vulture, fu pari al decimo grado della scala Mercalli e risulta fra le scosse più violente che investirono la Basilicata. Il sisma colpì la zona settentrionale della regione con epicentro tra Melfi e Rionero, causando danni ingenti soprattutto a Melfi, Rapolla, Barile ma anche a Rionero, Atella, Venosa, Lavello, Monteverde, Ascoli Satriano, Candela. È stato calcolato che i comuni più colpiti subirono un danno di circa due milioni di ducati, ma enorme fu la perdita di vite umane e di feriti a seguito di quella terribile scossa. Nel distretto di Melfi si registrarono seicentoventotto morti e trecentonovantasei feriti: nella città federiciana vi furono quattrocentoquarantaquattro morti e cento feriti, a Barile centocinque morti e centonovantasei feriti, a Rionero sessantatre morti e novantotto feriti, a Venosa undici morti, a Candela tre morti, a Lavello un morto, a Ripacandida un morto, ad Atella due feriti. Ai primi soccorsi ai feriti e alla popolazione prestati, con i medici locali, dai chirurghi giunti dalla Casa degli Incurabili di Napoli e all'opera delle figlie della Congregazione vincenziana, si aggiunse l'invio, sui luoghi del disastro, di esponenti e studiosi del Reale Istituto di Incoraggiamento e della Accademia Reale delle Scienze, per meglio indagare i fenomeni naturali collegati a quell'evento sismico in un'area di antica origine. Anche il re delle Due Sicilie Ferdinando II volle visitare i centri colpiti "per rendersi conto di persona del vero stato delle cose". A distanza di un mese dal terremoto, giunto a Melfi nel pomeriggio del 15 settembre, "volle girar la città su' ruderi de' caduti edifizi e, traverso delle strade puntellate, e volle osservare tutto, prender conto di tutto", annota Giacomo M. Paci nella Relazione de' tremuoti di Basilicata nel 1851, svolta per conto del Reale Istituto di Incoraggiamento. Alla visita del re si collega anche l'opera pittorica di Nicola Palizzi, il trentunenne pittore di Vasto che firma, data e titola la sua opera, Melfi distrutta dal terremoto del 14 agosto 1851, ora conservata nel Palazzo Reale di Caserta. Quel pittore di paesaggi, già impegnato ad eseguire studi dal vero, dovette recarsi a Melfi per proprio conto in modo da avere la possibilità di rappresentare su tela quella città distrutta dal sisma. Fu in quel contesto infatti che il Palazzi rappresentò la visita del re, accompagnato dal duca di Calabria, dal conte di Trapani, dal ministro segretario di stato dei Lavori Pubblici, dal direttore del ministero dell'Interno e da atri esponenti e dal Corte Reale, tra una folla di popolo. In primo piano sono raffigurate le rovine di una parte della città, costeggiata da una strada sterrata a ridosso della cinta muraria, mentre sullo sfondo si intravede il castello. Il re a cavallo sembra dare, al Segretario di Stato, quelle disposizioni che puntuali giunsero dopo la partenza: invio di commissioni tecniche per la ricostruzione, nomina di una commissione centrale e distrettuale di soccorso e di una commissione in ogni comune per la verifica dello stato dei lavori e dei soccorsi, istituzione di una commissione per le chiese danneggiate per gli affari ecclesiastici e per la pubblica istruzione, istituzione di consigli edilizi e di altre commissioni in ogni comune danneggiato. Per conto dell'Accademia Reale delle Scienze giunsero nel Vulture anche due dei principali studiosi dei fenomeni naturali collegati alle aree vulcaniche e ai terremoti: Luigi Palmieri, già docente di logica e metafisica presso l'Università di Napoli, che frequentava l'Osservatorio Vesuviano, e Arcangelo Scacchi, il quale aveva condotto ricerche mineralogiche, paleologiche e geologiche e realizzato scoperte nel campo della cristallografia. I due scienziati giunsero a Melfi nella seconda metà di settembre, soggiornando poi a Rionero, nella stessa baracca in cui era stato alloggiato il re. Con loro era l'architetto Achille Flauti che eseguì dei disegni dal vero riguardanti le più importanti rovine causate dall'evento sismico. La prima fornisce la Veduta di Melfi dopo il tremuoto del dì 14 agosto 1851 presa dal lato meridionale, cioè della "parte più cospicua della città di Melfi, compresa fra il castello e il campanile della cattedrale". Disegnata dal vero il 19 settembre prima che fossero abbattute "le squarciate crollanti mura delle sue case", fu incisa da Filippo Imperato. Un' ulteriore veduta documenta la rovina della Chiesa Cattedrale di Rapolla, incisa da Ferdinando Cutaneo e raccomanda "alla memoria dei posteri le infelici vittime" del terremoto. Altri furono i disegni eseguiti sul posto dall'architetto nel 1851: Lago Grande di Monticchio ed interno del cratere del Vulture, veduti dal Pizzuto di Melfi, inciso da Giovanni de Caro; Veduta del lato orientale del Monte Vulture dalla strada che mena a Ripacandida presso Rionero, inciso da Raffaele Radente. Un ulteriore disegno riguardante la Disposizione degli strumenti, utilizzati per rilevare le ulteriori scosse sismiche, fu eseguito dall'architetto Flauti nel 1852, così come la Carta geologica del Monte Vulture, entrambi incisi da Giovanni Imperato. Alle raffigurazioni dell'architetto Flauti si aggiungono, a documentazione delle vedute riguardanti l'area colpita dal terremoto del 1851, i disegni di Francesco Palma, litografati dal pittore di corte Francesco Fergola, abile acquerellista che li incise presso la Litografia del Poliorama. L'ingegnere militare Palma eseguì dal vero la Veduta del Lago orientale del Vulture presa dalla contrada detta il Calvario fuori Rionero, la Veduta de' due laghi nell'interno del cratere del Vulture, la Veduta generale della città di Melfi presa dalla strada che conduce al Convento dei Cappuccini, la Veduta della Chiesa di Sant'Agostino in Melfi, e la Veduta del Campanile della Cattedrale di Melfi. Le tre immagini di Melfi documentano che nessun edificio, pubblico o privato, restò indenne dai danni provocati dal sisma e molti edifici di culto, tra cui la Chiesa di Sant'Agostino, furono distrutti sin dalle fondamenta. A Melfi si camminava "alla meglio" fra le macerie alte "quanto lo erano le finestre delle più elevate case". Le vedute riguardanti Barile e Rapolla aggiungono ulteriori elementi alla comprensione di quanto accadde in quei centri, con strade e piazze ingombre di detriti e rovine e la popolazione, che cerca di recuperare quanto possibile dalle proprie case distrutte. A Barile compaiono già le prime baracche, rifugio provvisorio per quegli abitanti, così come nella campagna di Rionero, in contrada Calvario, posta sul lato orientale del Monte Vulture. (I.S.)