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(RegioneInforma) L'ANTICA ACHERUNTIA, ALL'OMBRA DEGLI DEI "FALSI E BUGIARDI"

20 gennaio 2005

© 2013 - acerenza_cattedrale.jpg

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(ACR) - Un panorama che maestoso domina l'intera valle sottostante, gli affilati vigneti e le calde distese di grano, un profilo disegnato dalla ieratica cattedrale, mura di consolidamento che ancor oggi la dipingono cittadina fortificata. E su ogni cosa l'aura di una storia antica, di popoli dominatori, di un imperatore controcorrente, di vescovi e abati costruttori, di signori potenti. Questa è Acerenza, adagiata nella valle del Bradano su una rupe alta oltre 800 metri all'incirca duemilacinquecento anni or sono da antiche tribù lucane che per difesa occupavano i luoghi più alti e inaccessibili della regione. Il venosino Orazio la immortalava nei suoi versi come il "celsae nidum Acherontiae" il nido alto dove si posano le aquile, quando i Romani, dopo averla conquistata nel 318 a.C. la votarono al culto di Ercole, da qui detto "Acheruntino". E proprio sulle vestigia di un tempio eretto in onore di questo che fu il più impavido e forzuto semidio della mitologia mediterranea sorse una chiesa paleocristiana e poi ancora, quella che diverrà la Cattedrale simbolo di Acerenza. Durante il dominio romano Acerenza fu Municipio, ma non godette certo dell'importanza della vicina Venusia, e non fu nemmeno baciata troppo dalla benevolenza degli imperatori di Roma. In seguito a vari editti, le terre acheruntine vennero in gran parte espropriate finendo nelle pingui mani capitoline, e lasciate incolte, e gli abitanti lasciati ad un misero destino di stenti. Ed è proprio in questo malcelato senso di abbandono e malcontento che s'innesta, nel III secolo d.C. la storia cristiana, fatta di martiri e di senso di fratellanza, di uguaglianza fra ricchi e poveri. Un'utopia pericolosa per Roma, la speranza di una vita migliore per chi sta male. Chiaro che , in mancanza di fonti storiche ufficiali, la notizia va incamerata con quelle dovute molle che la prudenza suggerisce, ma la leggenda si sa, intinge proprio nella penuria del certo le sue radici più forti . E così, la tradizione acheruntina tramanda che l'apostolo Pietro, mentre si prodigava a predicare per tutto l'Impero la parola di Cristo, si fermò anche ad Acerenza, imprimendo qui il crisma della nuova fede e incaricando l'edificazione della prima chiesa cristiana,e commissionando l'opera ad Unghisio, che sarebbe divenuto quindi, il primo vescovo della redenta Acerenza. Come tutte le comunità cristiane del tempo antecedente all'editto dell'imperatore Costantino, che ne riconobbe la legittimità, anche quella acheruntina allevò martiri della fede. Esemplare il caso di Laverio e Mariano, di cui parla anche Tommaso Pedio nel suo saggio su Acerenza. Pare infatti che Laverio, scoperto a predicare nell'ambito della comunità cristiana del luogo, fu inevitabilmente condannato dai romani "alle belve". Ma la notte precedente al suo martirio un angelo lo avrebbe liberato e gli avrebbe permesso la fuga. Laverio fuggì fino a Grumentum, dove però la stessa sorte lo attendeva. Nuovamente catturato dai Romani, che qui erano certamente più numerosi e accaniti con i nemici dell'impero, come i cristiani erano visti, oltre che degli Dei, per il povero Laviero questa volta non ci fu scampo. Intimato a rinnegare la sua fede, il cristiano si rifiutò, e fu la sua morte. Che avvenne nel 312 d.C. ossia soltanto un anno prima che Costantino, con il suo editto, liberalizzasse e concedesse al cristianesimo la libera professione di culto. Anche Mariano fu martire acheruntino, ma egli trovò la triste consacrazione del suo martirio in patria. Dal 1613 le sue spoglie riposano nella cattedrale di Acerenza per volontà dell'arcivescovo Spilla. E come parlare di fede ad Acerenza senza soffermarsi sulla sua famosa cattedrale, il complesso monumentale che riprende le linee cluniacensi e che a ragione viene definito "il monumento più romanico di tutta l'area del Mediterraneo". Paleocristiano, poi longobardo l'impianto originale, sormontato nell'XI secolo da un'architettura portata dalla Francia, precisamente da Cluny, dall'abate Arnaldo. Nell'austera maestosità del complesso architettonico, tanti gli spunti che è possibile scorgere per comprendere l'imprenscindibile legame della cittadina con la sua cattedrale, e per cogliere aspetti peculiari della sua movimentata vicenda storica e religiosa. Ad esempio, fra il portale d'ingresso e il rosone centrale un bassorilievo immortala un Basilisco, il mitico rettile che per i Greci e i Romani aveva il potere di uccidere con lo sguardo, e che rappresentava l'antico stemma di Acerenza, fin quando esso non fu sostituito con quello più mansueto della famiglia Ferrillo. Anche questo secondo stemma di Acerenza è effigiato sull'altro versante della facciata della Cattedrale. Fu il conte Alfonso Ferrillo che, insieme a sua moglie, la contessa di origine serba Maria Balsa, nel 1524 finanziò con l 'astronomica cifra per i tempi di 16000 ducati una completa ristrutturazione della Cattedrale. Del 1555 è la prima costruzione del campanile, come ricorda un'epigrafe in pietra, e basta varcare il portone d'ingresso della Cattedrale per tuffarsi in un'atmosfera rarefatta, quasi scollata dal moderno. Quella semplice nobiltà e quell'imponenza che caratterizza gli edifici romanici qui culmina in un senso del divino e del mistico davvero significativi. Absidi, cantoria, un deambulatorio intorno al coro, dipinti e paramenti sacri , lo splendido tuburio ottagonale, colonne antichissime rammentano al visitatore i molti stili compositi che si sono accavallati nel corso dei secoli, di pari passo con gli eventi storici che accadevano fuori dalle mura sacre. Una splendida cripta rinascimentale, voluta dalla contessa Maria Balsa per ospitare le sue esequie e quelle del marito, anche se poi pare che lì non siano mai state deposte e poi, in un angolo della navata centrale, un busto marmoreo che per molto tempo fu creduto effigiasse San Canio, a cui la Cattedrale è dedicata. GIULIANO L'APOSTATA, UOMO SOLO CON I SUOI DEI In realtà quest'erma raffigura un imperatore romano, pagano fino alla punta dei capelli in un tempo in cui era il Cristianesimo ad avere la meglio sull'Olimpo imperiale. Siamo nel IV secolo D.C, suo zio Costantino ha da poco promulgato l'editto di tolleranza, ma lui, Giuliano, divenuto imperatore a soli trent'anni , fra il 361 e il 363 decide che bisogna tornare al politeismo, e abolire con forza le concessioni e le conquiste maturate da oltre trecento anni dalla ormai foltissima comunità cristiana. Ovvio che il suo tentativo fallì, e che fu soprannominato con sprezzo e proprio dai Cristiani "Apostata" ossia colui che rinnega la fede. Eppure in questa figura imperiale, non si sa bene perché effigiato anche ad Acerenza( magari come monito per che avesse voluto ancora mettere in discussione il Cristianesimo), molti autori successivi hanno intravisto la figura coraggiosa di un uomo che esce fuori dal coro, che da solo combatte le sue battaglie, forte della sua cultura, dei suoi principi, tanto che il romanziere americano, che come il norvegese Ibsen parlò di Giuliano, ravvisò nella sua figura "un certo fascino romantico", magari per quell'alone di malinconico sguardo al a passato, per un predestinato destino di sconfitta, sopportato a testa alta e confortato fino alla fine. Un "cane sciolto" dell'antichità, seppure discutibile nell'aver voluto riproporre al mondo il Giove saettante, la iraconda Giunone e la loro immensa, fallacissima, olimpica allargata famiglia. (M.R.)

Redazione Consiglio Informa

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