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(RegioneInforma) MONS. PERBENEDETTI AL CONVENTO DI S. MARIA DELLA SCALA
24 gennaio 2005
(ACR) - Proseguendo nel racconto delle origini del monastero di Santa Maria della Scala di Venosa ci si ferma, nei documenti della platea, alla visita del vescovo Andrea Perbenedetti, avvenuta il 15 e il 16 maggio 1612 e alla quale vengono allegati gli atti della visita con l'elenco delle monache presenti in quella data e i documenti relativi a doti, beni immobili e famiglie di pochissime monache. «Andrea Perbenedetto della città di Camerino fu fatto vescovo di Venosa nell'anno 1611 del mese di Marzo da Paulo V Sommo Pontefice. Venne a Venosa et entrò in quella a dì 10 maggio dell'istesso anno. […] Fu homo severo e crudele contra li delinquenti. Morì il 12 novembre 1634 dopo 23 anni di governo del vescovado». Egli tra l'altro fu «autore di un Sinodo, per la chiesa di Venosa, e dell'opera intitolata: Spirituale discorso sulle due strade della vita umana». Vi è allegato, dicevamo, l'elenco delle «Zitelle che si educono nel Monastero», ovvero le ragazze che entravano in convento non con l'intento di prendere il velo, ma di formare la loro educazione, assieme all'elenco dei territori del monastero e la descrizione della chiesa. Agli atti della visita vi è inoltre inserito un documento del 4 luglio 1612, redatto dal vescovo stesso, che descrive lo stato della chiesa del monastero. Durante tale visita monsignor Perbenedetti prescrive regole più particolareggiate per le monache secondo le nuove normative dettate dalle legislazioni di Concilii provinciali e di Sinodi diocesani che avevano elaborato una serie di norme per la realizzazione di una inviolabile clausura monastica: mura e grate di ferro nuove, divisione del coro all'interno delle chiese, sistemazione del parlatorio e supervisione di una monaca "ascoltatrice", sistemazione delle "ruote" ecc. Anche il tempo all'interno del monastero, in generale, doveva scorrere secondo regole prestabilite ben precise, la maggior parte di esso doveva essere dedicato alla preghiera individuale e collettiva, al culto divino e alla pratica sacramentale, soprattutto quella eucaristica, agli esercizi spirituali sotto la guida di direttori, confessori, chierici regolari o cappuccini. Perbenedetti entra nei dettagli: le monache di Santa Maria della Scala devono pranzare in comune più volte alla settimana, devono rimettere la cancellata al parlatorio, che evidentemente era stata rimossa. Oltre a risistemare la ruota devono badare loro stesse alla pulizia e alla sistemazione delle loro celle, nonché avvertire direttamente il vescovo se qualcuna abbia l'ardire di trasgredire le regole. Per le ribelli la punizione è il carcere, che è una cella del convento stesso adibita a tale funzione punitiva. Tra le "colpe" più gravi vi è quella di lavorare, ovvero cucire e ricamare, mentre si recitano le orazioni. Questo perché il ricavato di quel lavoro è fonte di una rendita che le monache possono utilizzare per scopi personali. Assolutamente proibito, poi, portare abiti di tessuti preziosi, come la seta, e tantomeno colorati. Insomma, veniva bandita qualsiasi frivolezza sia nell'abbigliamento che nelle letture e in tutte quelle attività non inerenti l'esercizio spirituale. L'azione riformatrice della Chiesa cattolica è data «attraverso l'imposizione di una tendenziale uniformità delle regole e di forme di controllo verticistico sulle comunità femminili». La questione fu affrontata nella XXV sessione del Concilio con il Decretum de regularibus et monialibus, che impose alle monache la clausura rigorosa, sia ai monasteri che fin dalla loro fondazione erano stati "aperti", sia in quelli che avevano successivamente abbandonato la norma. Il Concilio di Trento segnalò dunque il ripristino rigido e serrato della clausura, ma esso fu attuato in seguito con modi e tempi differenti, sia dalla capitale alla provincia sia nella severità dell'osservanza delle regole di monastero in monastero. Inoltre divenne necessaria l'edificazione di strutture differenti e volte al totale isolamento del convento dal resto del mondo civile. Toccherà a un venosino, il cardinale Gian Battista De Luca ammorbidire le severe riforme del Concilio, quando codificherà, nel suo Il religioso pratico dell'uno e dell'altro sesso del 1679, una prassi ormai regolare, sconsigliando di usare mezzi rigorosi e violenti per la clausura perché: «trattandosi di donne già in perpetuo imprigionate, non sono praticabili quei modi di terrore e di gastigo». (C.G.)