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(RegioneInforma) IL VULTURE E IL METAPONTINO NEI DISEGNI DELLA SECONDA METÀ DELL'800

03 febbraio 2005

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(ACR) - Nella seconda metà dell'Ottocento una serie di disegni e illustrazioni realizzati per opere divulgative riguardanti l'Italia e studi sulla Basilicata interessarono l'area del Vulture- Melfese e del Metapontino, pur essendo ormai in uso il mezzo fotografico. Il giornalista e romanziere francese Jules Gourdault nella sua opera divulgativa pubblicata a Parigi nel 1877, "L'Italie illustrée de 459 gravures sur bois", riporta le immagini dell'abbazia della Ss. Trinità di Venosa, dei laghi di Monticchio contornati dai boschi dell'omonima foresta e dalle abbazie di San Michele Arcangelo e di Sant' Ippolito, delle catacombe ebraiche di Venosa. I disegnatori che collaborarono all'opera di Gourdault furono di nuovo a Venosa e sul Vulture negli anni precedenti la pubblicazione del testo del poliedrico francese, attivo collaboratore della "Reveu des Deux Mondes" e della "Grande Encyclopédie". Per quanto riguarda il Monte Vulture, pur fra imprecisioni e notizie erronee, come quella della connessione tra il Vulture, il Lago Ansanto e il Vesuvio, restano le annotazioni sulla "lussureggiante vegetazione di folte foreste di querce e faggi", sui laghi crateriformi di Monticchio e sulla piacevole veduta del panorama sottostante gli anfratti rocciosi del Convento dei Cappuccini. Nel Vulture giunse anche il professore di storia naturale della Scuola Tecnica di Lecce, Cosimo De Giorgi, prolifico e valente ricercatore che fu in Basilicata nel 1876 con l'incarico, affidatogli dall'Ufficio Geologico del Real Corpo delle Miniere, di stilare "un rilevamento sommario" sulla costituzione geologica del territorio regionale compreso tra il corso del Bradano e dell'Agri e sui monti di Vietri e del Vulture. Le sue "Note geologiche sulla Basilicata", pubblicate a Lecce nel 1879, grazie anche all'aiuto economico della sezione del Club Alpino Italiano di Potenza (che nel febbraio del 1878 prenotò l'acquisto di trecento copie), riepilogano quanto già scritto da altri. Nell'opera di De Giorgi viene ribadita la necessità di una più puntuale conoscenza oro-idrologica e geologica del territorio regionale, anche in relazione al tessuto produttivo e alle infrastrutture. In tal senso vanno segnalati i disegni riferiti alle sezioni stratigrafiche dei bacini idrografici e la veduta del Monte Vulture, che corredano le sue Note. Fra i disegni della seconda metà dell'Ottocento riguardanti l'area del Melfese, va segnalata, inoltre, la veduta di Melfi con il Monte Vulture di E. Ollivier, che sembra riproporre la stessa visione del paesaggio disegnato da Theodore Duclére nel 1834. Il punto visivo appare quello della sommità dell'ultima collinetta prima di giungere a Melfi attraverso l'Ofanto. La città di Melfi si erge sullo sperone roccioso, contornata dai muri che ne difendono il castello e l'abitato con la Cattedrale e il Campanile normanno. Una strada, che giunge dal fondovalle superando il torrente attraverso il ponte conduce, dopo una serie di tornanti, alla porta cittadina. Da quell'altura sono state disegnate le ondulazioni del caratteristico paesaggio che delinea sullo sfondo le vette del Monte Vulture. La veduta di Ollivier correda le immagini storiche del Monte Vulture, di recente riproposte nelle "Cartelle d'Arte dei Libri d'Altro" curate da Pasquale Cilento, con testo introduttivo di Francesco Manfredi. Il conte Honorè de Luynes, discendente di una nobile famiglia italiana originaria di Firenze, fu a Metaponto due volte, nel 1825 e nel 1828, per condurre degli scavi su quell'antica città fondata nel 640 a.C. da coloni provenienti dall'Acacia, regione montuosa del Peloponneso. De Luynes ricostruì idealmente l'antico tempio dedicato ad Apollo Licio i cui resti, "fusti di colonne e capitelli dorici di grandi dimensioni, ma completamente irriconoscibili" si trovavano, sotto un vasto strato di limo, sulla strada che da Torre di Mare dirigeva verso Taranto. In superficie affioravano "in gran numero avanzi di modanature, di ovoli, di greche, di teste di leoni". Nella sua opera, "Metaponte", pubblicata a Parigi nel 1833, il conte francese inserì diverse figure di quel tempio, idealmente ricostruito e decorato con terracotte che aveva trovato fra i ruderi del tempio stesso. La sua ricerca diffuse la storia di quell'antica città della Magna Grecia e molti dei reperti da lui ritrovati sono ancora oggi custoditi nel Gabinetto delle Medaglie, a lui intestato, del Louvre di Parigi. In tal modo vennero accantonate molte idee false sull'architettura policroma greca. In "Metaponte" è inserita anche una veduta di Torre di Mare, disegnata da Jean Louis Debacq, che Michele Lacava fece riprodurre nel suo volume "Topografia e storia di Metaponto", edito a Napoli nel 1891. Nel discorrere del fabbricato di Torre di Mare, Lacava ricorda come quell'antica fortezza medioevale fosse stata costruita con i materiali di Metaponto, anche se ormai conservava "appena qualche vestigio di antiche mura". Torre di Mare, scriveva Lacava, poteva essere considerato "un gruppo di tre caseggiati un tempo uniti" e facenti "parte di un tutto insieme ed ora separati:la chiesetta di San Leone e la casa annessa; la taverna di Torre di Mare; la caserma dei Guardacoste ossia guardie daziali". La chiesetta di San Leone, divenuta parrocchia, e la casa annessa presentavano nell'angolo nord- est una torre mozza con tufi provenienti da Metaponto. La torre aveva "facce poliedriche decagonali" con "buchi tondi per balestrieri". Dall'analisi della torre, dalle mura a scarpa attorno alla chiesa e dagli avanzi di un'altra torre, Lacava suppose che un tempo la chiesa fosse compresa e unita alla fortezza, pur non precisandone l'epoca. Il fabbricato adibito a taverna non si distingueva da una normale masseria. Al piano terra vi era una grande stalla e al primo piano vi erano magazzini e stanze per abitazione. Sull'angolo esposto a nord- est si scorgeva la base di una torre mai costruita. Soltanto la caserma dei guardacoste conservava molto dell'antico muro di cinta e un avanzo di torre. Quella parte di fortezza era merlata, come ben si vede nel disegno pubblicato dal conte de Luynés, ma i merli, precisa Lacava, "erano caduti per edacità del tempo e quelli rimasti furono barbaramente fatti cadere". (I.S.)

Redazione Consiglio Informa

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