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(RegioneInforma) LA TERRA E' TERRA
17 febbraio 2005
(ACR) - Piccola regione immersa nel profondo meridione, dai confini aspri e montagnosi, dal gelido clima e dall'umile storia: Basilicata o Lucania, terra dalle mille sfaccettature e altrettante contraddizioni. Ancora risuonano le grida dei briganti, gli spari sui monti e indelebile rimane il sangue dei nostri contadini; ancora risuonano, con misto di rabbia e rancore, le parole di Levi che, per allora e per sempre, ha stabilito che Cristo si è fermato ad Eboli e da noi non è mai arrivato. Dunque, terra dimenticata da Cristo, eppure salvificamente ricordata negli investimenti industriali del buon Giovanni Agnelli; terra di castelli federiciani, monti, fiumi, laghi e mari "perle" nazionali, dell'amaro omonimo e delle tante acque minerali. Benvenuti nella fredda terra dei lupi e del prezioso petrolio! Basilicata: terra d'emigrazione, ieri come oggi, vede partire i suoi lucani che, pur distaccandosene, continuano ad amarla tanto. Se negli anni addietro erano disperati in cerca di lavoro, erano Rocco e i suoi fratelli, erano braccia robuste pronte a tutto, oggi sono giovani studenti di buona famiglia a salutarla, spesso con la speranza di tornare solo per le feste comandate, aspirando a studiare e perfezionarsi in un rinomato ateneo, trovare il lavoro dei propri sogni nelle grandi metropoli, farsi una vita da un'altra parte… La Basilicata, lungi dall'essere terra di conquista e d'approdo, entrata nel nuovo millennio, è rimasta fedele ai suoi trascorsi di tristi addii e sconsolati abbandoni. Oggi come allora, terra d'emigranti! Ma quanto è alto il prezzo che i giovani lucani che oggi abbandonano la propria terra, spesso con un pizzico d'incoscienza, devono pagare? Lontano dagli affetti più cari, dagli amici d'infanzia, dai luoghi cittadini forse troppo stretti e tante volte criticati, cambiano abitudini, modi di parlare e pure di vestirsi: perché la metropoli è pur sempre la metropoli e alla metropoli ci si adegua! Anche un semplice giro in metro diventa un viaggio fantastico che affascina, incuriosisce, appaga e fa sentire cresciuto per il solo fatto di immergersi in un'incredibile diversità ed eterogeneità di volti, lingue, modi di essere che inevitabilmente arricchiscono. Il giovane lucano gonfia il petto d'orgoglio e si sente cosmopolita; altro che montagne! Immerso nella folla sudata della metropolitana per caso urta il ragazzino biondo biondo in vacanza, beato lui, proveniente da chissà quale lontano paese nordico; poi, puntuale, sale il sudicio rom che strimpella una pianola elettrica e avverte un misto di compassione e disprezzo; poi osserva zingare dalle lunghe gonne, dai capelli incolti e dai pancioni in vista, che scivolano tra i passeggeri disseminando inquietudine; poi religiose di colore che arrivano in fila, non si scompongono ed escono in silenzio e ben ordinate; poi l'attenzione è richiamata dal bellissimo nero africano che di sicuro vende borse e cd taroccati lungo le strade; e sempre più spesso capita di sentire lingue dell'est, slavi o polacchi, che hanno sempre un velo di tristezza negli occhi cerulei; mentre cinesi e coreane in miniatura si vedono cinguettare allegre ed agghindarsi per il sabato sera…anche loro emigranti… Ho alle spalle migliaia di giri in metro e riflessioni analoghe, sempre concluse con il medesimo senso di scoramento: un giovane meridionale, che studia o con la pergamena di laurea già in tasca, non è forse tanto lontano dai numerosi emigranti, anche extracomunitari? L'emigrazione è emigrazione e la sofferenza che comporta non è misurata solo dai chilometri e dai fusi orari; il senso di fondo è sempre lo stesso: il senso della lontananza che ci si porta dentro il cuore tutti i giorni quando si è senza casa, né famiglia, né si ha una precisa collocazione nella società e nel mondo del lavoro. C'è un abisso tra la metropoli, coacervo di culture, lingue ed etnie, e le nostre piccole città di montagna e allo stesso tempo c'è una sottile differenza in particolare: la Lucania è e rimarrà per sempre solo dei Lucani! Non ci saranno invasioni di rom, né di slavi, né di coreani, non correremo il "rischio" di arricchirci di contaminazioni e interferenze tra modi di vita così lontani, né ci saranno migliaia di turisti a fare la fila per entrare nelle nostre chiesette, né per visitare i nostri musei e monumenti. Il cittadino lucano sarà sempre forte della sua precisa collocazione nella società dalle dimensioni contenute e dai tratti, semplicemente, italici e resterà sempre padrone in casa sua! Questo è orgoglio lucano! Basta solo che ci rimanga, lui, a casa sua! Questo il problema! Se la gente va via dalla nostra terra, ieri come oggi, è solo ed esclusivamente per un motivo: lavoro. Il meridione è da sempre condannato ad essere povero e disperato, non è perché così vuole la storia o la tradizione, né per semplici luoghi comuni, ma, è ormai pacifico, perché dall'unificazione d'Italia in poi qui non sono mai state create condizioni e presupposti economici e sociali per lo sviluppo. Andando indietro nei secoli, il bandolo della matassa ha come capo, e capro espiatorio allo stesso tempo, quella problematica questione meridionale che da allora ha colato sul nostro Sud una vernice che gli resterà addosso per sempre, dalle sfumature tipicamente meridionali che mai potremo cambiare. Se penso al Sud mi viene in mente un colore in particolare: il colore della paglia e del grano; quella tonalità di giallo spento delle foglie d'autunno, di foto sbiadite, delle strade sterrate e polverose di campagna o di pelle bruciata dal sole. Un colore malinconico e di desolata attesa. Una tonalità a metà tra il focoso rosso di certi tramonti e il bagliore tiepido dell'alba: l'attesa di un nuovo giorno! Così alla condizione dell'emigrante/studente meridionale, il senso della lontananza si mescola al senso dell'attesa. Dopo anni di rinunce e sacrifici è naturale vivere nell'attesa di vedere i risultati concreti e di cogliere i frutti sperati; è naturale aspettarsi di passare dall'altra sponda del fiume, dalla più o meno lunga gavetta a condizione di soddisfatto occupato; è innegabile e irrinunciabile, per chi ama la propria terra, nutrire in un angolo di cuore, l'attesa di ritornare un giorno a casa propria, in attesa, che qualcosa laggiù si muovi. (C.L.)