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(RegioneInforma) LA PRODUZIONE PITTORICA DI GIACOMO DI CHIRICO

04 marzo 2005

© 2013 - matrimonio_basilicata.jpg

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(ACR) - Quando il Municipio di Venosa gli concesse, nell'ottobre 1865, una borsa di studio elargita con un assegno mensile per due anni, per frequentare l'Accademia di Belle Arti di Napoli, Giacomo Di Chirico aveva già ventuno anni. Per vivere aveva esercitato prima il mestiere di barbiere, ma contemporaneamente aveva appreso dal fratello Nicola, scultore, i primi rudimenti di disegno realizzando diversi ritratti. Le sue notevoli capacità pittoriche gli procurarono così quella borsa di studio biennale che gli consentì il soggiorno a Napoli dove, oltre agli studi accademici, ebbe modo di frequentare anche lo studio del pittore Tommaso De Vivo, noto soprattutto per le sue opere d'arte a carattere storico e religioso. In quel periodo, inoltre, Di Chirico seguì assiduamente anche le lezioni di Francesco de Sanctis. L'artista venosino uscì dall'Accademia con la fama di "colorista armoniosissimo" e di "ritrattista efficace", come scrive Ferdinando Santoro, nell'articolo a lui dedicato sul primo numero del 1926 della rivista "La Basilicata nel mondo". Trasferitosi a Roma nel 1868, Di Chirico vi rimase per tre anni, ritornando poi a Napoli, dove aprì uno studio. Durante il soggiorno romano continuò a partecipare, comunque, alla vita culturale partenopea esponendo nel 1869, per conto della Società Promotrice, la grande tela "Mario Pagano, mentre l'esecrabile Giudice Speciale, dopo avergli letto la sentenza di morte, lo insulta con parole e sorriso di scherno", opera attualmente conservata presso il comune di Brienza. Su questo filone di genere l'artista di Venosa realizzò anche un "Orazio Flacco", donato al Comune di Venosa e trafugato anni addietro, di cui un'altra copia autografa, fortunatamente, si conserva presso la Pinacoteca della Provincia di Potenza. "L'opera della rivelazione e dell'affermazione di Giacomo di Chirico", come la definì il caporedattore della rivista "La Basilicata nel mondo", è costituita dalla tela raffigurante "Buoso da Duera traditore di Manfredi di Svevia" e ritrae "un uomo, un nome che ha una storia simile a una leggenda e non appartiene né alla vita, né al tempo ma che per questo, appunto, può essere la vita e il tempo". L'opera, sintesi magistrale di un soggetto dantesco, raffigura il corpo del tiranno traditore dei cremonesi, riverso sui gradini innevati del portone di un convento francescano. Sulla soglia ci sono cinque frati: uno, in ginocchio, solleva il mantello che ricopre il volto del tiranno; un altro con espressione stupita innalza le mani in segno di preghiera, mentre un altro frate, alle sue spalle, indica con stupore il corpo dell'uomo morto. Dietro di loro un ulteriore frate solleva la mano verso l'interno, come per dare disposizioni agli altri confratelli, uno dei quali si aggrappa con la mano sull'anta socchiusa del portone, sbirciando stupito la scena. Quell'opera rese celebre l'artista venosino. Presentata all'Accademia di Brera nel 1874, fu acquistata poi dallo Stato. La tela del "Buoso", ora di proprietà della Pinacoteca Provinciale di Potenza, appare "connotata da una pittura con caratteri veristi e al contempo venata da notazioni tardo romantiche", come sottolinea Salvatore Abita, in una preziosa nota critico - biografica su Di Chirico presente nel catalogo, curato dallo stesso, della mostra sui "Pittori lucani dell '800 e dei primi del '900", svoltasi a Potenza. Tra le opere notevoli di Giacomo Di Chirico, Ferdinando Santoro evidenziava anche quella de "Lo studente" da lui definito "un compiuto poema della felicità domestica di piccola umile gente". La scena raffigura uno studente che mostra agli anziani genitori la pergamena della sua laurea. Il padre, ricurvo per la vecchiaia, "non sa leggere quella scritta pomposa, ma crede in essa come una virtù taumaturgica, e ne piange di tenerezza e di orgoglio". Così anche la madre, che "non ha occhi che per il figlio suo" e sembra rivivere "nel rimirare il figliolo", mentre nella casetta "splende e crepita la grande fiammata" del focolare connla la neve che giunge "fin quasi dentro la porta, sotto la soglia" di casa. Ma un'altra scena di quell'interno familiare attira l'attenzione e rinvia ad altro. Dei bambini si aggrappano alla valigia aperta del laureato, sollevandosi "sulle punte dei piedini". Scrutano e si immergono nello spettacolo "dei libri rossi, delle bottiglie, dei cosmetici dalle dubbie fragranze, delle scarpe lustre coi bottoncini d'oro e sembra che le loro anime innocenti intuiscano l'esistenza di uno sconfinato mondo di realtà, di meraviglia, di miseria, di splendore, di mistero". Un'opera questa, esposta nel 1875 con altri dipinti: "Il sindaco del villaggio", i "Nomadi" e il "Viatico". Quest'ultima, ambientata in un piccolo villaggio, ripropone il tema della vita e degli intrighi d'amore. Nel dipinto appare un sacerdote che sta per andare a somministrare ad un morituro il sacramento dell'estrema unzione tra una folla di contadini, di fedeli e tra " il chiasso dei bambini che non sanno della morte se non come si sa di una favola strana". L'acquisto di un'altra opera di Di Chirico, "Matrimonio in Basilicata", da parte di un celebre mercante d'arte parigino, prima ancora che fosse esposta dalla Promotrice nel 1877, testimonia come la produzione del giovane pittore rappresentasse ormai la novità del momento. Tale tela, scelta dal mercante d'arte e premiata nelle esposizioni di Torino e Genova, si era guadagnata anche l'attenzione della critica. Riconoscimenti alla produzione del pittore giunsero, inoltre, dal comune di Venosa e dalla Provincia di Basilicata e, nel 1877, Giacomo Di Chirico venne insignito della croce di Cavaliere della Corona d'Italia e inserito fra i professori onorari del Reale Istituto di Belle Arti di Napoli. Dopo la partecipazione alla mostra di Milano del 1881 con la tela "La nutrice", l'artista trascorse lunghi mesi di ricovero nel manicomio Flaurent di Capodichino a Napoli, dove venne a mancare il 17 dicembre 1883 all'età di 39 anni, dopo una vita spesa intensamente e "non priva di sofferenze". Alle opere postume presentate nel 1884 all'Esposizione di Torino, se ne possono aggiungere numerose altre, tra cui i ritratti del giureconsulta "Miranda", del "Doge veneziano", di "Orazio", di "F. Frusci", della "Sibilla Cumana", pubblicati sul numero già citato della rivista "La Basilicata nel Mondo". A questa produzione si riferiscono anche i ritratti di Camillo D'Errico e della moglie, e il dipinto "Effetto di neve", visibili a Matera presso il Museo d'Arte Medievale e Moderna, mentre altre opere, "Ritratto di vecchio" e "Figura femminile", sono documentate presso collezioni private. (I. S.)

Redazione Consiglio Informa

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