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(RegioneInforma) I LUCANI DELLA BASILICATA DEL 1600
09 marzo 2005
(ACR) - L'iconografia della vita lucana ci offre immagini di donne in ricchi abiti o di uomini in completi di panno nero creando l'illusione che in effetti nel tardo '600, fino al primo dopo guerra, la vita contadina offrisse condizioni di vita dignitose. L'aspetto più singolare che colpisce l'ignaro spettatore e che le donne o gli uomini rappresentati nei quadri sono persone al limite dell'obesità, vacui simboli del buon mangiare contadino. Ma poi andando a leggere i resoconti dei vari feudatari o dei pochi letterati del '600 le condizioni di vita ci appaiono diverse. L'aspetto più crudo si evince dai libri contabili dei Doria o dei Caraccioli, i più grandi proprietari terrieri fino all'avvento del latifondo. Tra gli squarci di asettici numeri si intravedono spiragli di vita cupi e orridi. Uomini che muoiono perché divorati dai lupi mentre proteggono l'unica gallina che possiedono. Uomini che combattono con altri uomini (briganti) per difendere greggi o possedimenti dei feudatari presso cui lavorano. Donne costrette a sacrificare la propria vita pur di permettere ai propri figli di avere un pomodoro da mangiare. Condizioni igieniche disastrose, in cui la malaria, la scabbia come una falce uccidevano anziani e bambini, e la morte veniva quasi accettata con la consapevolezza che la perdita del più debole avrebbe permesso di avere più cibo per coloro che potevano lavorare. Ad essi si contrapponeva la casta dei nobili i quali dimoravano tutti a Napoli o Roma mentre mantenevano il possesso, per eredità, di queste terre. Costoro non si preoccupavano neanche di visitarle limitando a delegare la gestione a qualche loro fiduciario locale. Quando qualche notabile decideva di visitare i propri possedimenti, alla vista di tale povertà o dell'aridità delle terre, decideva di fuggire cercando di ricavare solo i dazi. Nel migliore dei casi, oppure, si fermavano, come l'ultimo discendente della famiglia Caracciolo, cercando di risollevare le sorti di una terra afflitta da troppi mali. Il panorama dipinto dai pittori lucani è sempre verde e rigoglioso quasi a celare una verità fatta di sterpaglia e di terreni rocciosi impossibili da coltivare. Delle condizioni della popolazione in Basilicata in quel periodo si sa molto poco. Ai memorialisti, ai cronisti, agli storici lucani che si occuparono del XVII secolo non interessava il problema economico perché essi non avevano ancora intuito i rapporti che intercorrevano tra le condizioni economiche-sociali della popolazione e le vicende politiche svoltesi nella regione. Sino a tutto il XVIII secolo gli scrittori lucani ignorano i problemi della loro regione. Ne d'altra parte le scarse e frammentarie notizie fornite dai geografi e dai viaggiatori spintisi tra il XVI e il XVII secolo, nei paesi interni del mezzogiorno sono riusciti a mostrare le reali condizioni economiche e sociali di questo paese. A tal proposito e a conferma di ciò si riporta la descrizione delle condizioni della Lucania effettuata da Porzio nella sua relazione al viceré di Napoli: " La Basilicata abbonda di grano, di bestiame grosso e di formaggi. I suoi abitanti vivono e vestono grossolanamente; sono più inclinati all'agricoltura ed altri servigi personali, che nel maneggiare l'armi... Questa provincia ... è senza grandi città... è numerata dalla regia Corte in fuochi 38.743. Il Re vi possiede due piccole terre di Demanio; Lagonegro e Tramutola... Il governatore di Basilicata è l'istesso del principato di Citra". Si può facilmente evincere che la descrizione si basa più su racconti di altri viaggiatori che su reali constatazioni della situazione economica e sociale Ancora nella prima metà del Settecento la Basilicata è conosciuta principalmente attraverso la descrizione di Scipione Gazzella, ed a questa descrizione si uniformarono gli autori che successivamente ne trattarono nelle loro opere , i quali erroneamente erano indotti a considerare questa regione tra le più ricche del regno. " E' questa regione - aveva scritto il Mazzella nel 1586 - la maggior parte montuosa, ma però molto fertile d'ogni sorta di biade e produce buonissimi vini... produce eziandio questo bel paese in abbondanza grano, oglio, mele, cere, arnesi, ...per tutto si vede abbondanza di diversi e saporiti e dolci frutti...". Ben diversa appare questa regione a Carlo III quando, nel gennaio 1753, si ferma a Matera , nel suo cammino verso la Calabria. Il Re non troverà un "paradiso" così come descritto dal Mazzella , ma invece terra sterile, clima rigido e natura torrentizia dei fiumi che d'estate sono privi di acqua a causa della siccità e d'inverno hanno una portata tale da distruggere le colture che li fiancheggiano e da impedire perfino il guado. Difatti Carlo III dispone un'inchiesta sulle condizioni di questa regione che verrà svolta nel 1736 da Rodrigo Maria Gaudioso, avvocato fiscale presso l'Università di Matera. Da tale inchiesta si evincerà la spaventosa miseria della Basilicata caratterizzata da terreni poco fertili adatti solo al pascolo e da un reddito lordo pro capite molto basso. L'alimentazione locale basata su pane e peperoni seccati al sole e poi fritti con qualche goccia d'olio, minestra di erba e di legumi e per il desco domenicale sempre un piatto di legumi con pasta comprata o fatta in casa. Un'alimentazione di pura sussistenza che si arricchisce di carne quando durante il periodo invernale ogni famiglia contadina scanna un porco per il proprio consumo, e secondo il numero dei suoi componenti, lo sala tutto o a metà, e lo conserva per mangiarlo nei giorni di festa. Le poche risorse hanno sviluppato nei lucani l'arte dell'arrangiarsi e del cercare di sfruttare le varie opportunità che si offrivano. Nei documenti storici presenti nell'archivio di stato di Potenza si trovano tracce di furti perpetuati alle spalle dei nobili da parte dei loro fiduciari che approfittando dell'indifferenza dei proprietari e sfruttando anche le poveri genti accumulavano ricchezze, per poter poi acquistare i terreni dei propri padroni caduti in miseria per debiti di giochi. (R.B.)