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(RegioneInforma) SAN BIAGIO, PATRONO DI RAPOLLA TRA SACRO E PROFANO
21 marzo 2005
(ACR) - La festa di San Biagio, protettore di Rapolla, cade il giorno tre febbraio. E' una festa paesana molto sentita, che induce tutti gli emigranti ad un ritorno nella terra natia. Forte è il desiderio di partecipazione ad un rito atavico, immutabile, che segna l'appartenenza alla comunità, ripristinando usi e consuetudini di un tempo. La famiglia dispersa si riunisce per consumare un pranzo dal sapore millenario; i vicini di casa tornano a condividere lo spazio del quartiere, riscaldandosi dinanzi a grandiosi falò; l'intera cittadina si stringe commossa nell'ammirazione di spettacolari fuochi d'artificio. Tutto è e deve essere uguale all'anno precedente; solo l'emozione si rinnova, come se si prenda parte all'evento per la prima volta. I festeggiamenti sono una dolce miscellanea di aspetti sacri e profani. Il due febbraio, giorno della Candelora, avvengono i riti della benedizione delle candele e della processione verso la chiesa bizantina dedicata a San Biagio, all'interno della quale si conservano alcune pitture del XII sec. e la Statua del patrono, scolpita nel sorbo, sempre nello stesso periodo, da alcuni monaci francescani. Al calar della sera, ogni rione del paese è illuminato dalle fiamme dei falò, intorno ai quali la gente si riunisce per raccontare antiche leggende e consumare in allegria patate novelle sotto la brace, salsiccia e carne arrostite, il tutto accompagnato da robusti bicchieri di vino rosso locale. La tradizione dei fuochi all'aperto non sembra, però, collegata direttamente alla festa patronale. Infatti, in nessun altro paese si festeggia la Candelora o la vigilia di San Biagio in questa maniera. Molto probabilmente, il rito serve a ricordare il tremendo assedio che il comune lucano subì il 2 febbraio 1255 da parte delle truppe saracene di Galvano Lancia, durante il quale le fiamme servirono come messaggio di tenace resistenza. Leggende a parte, i falò vengono ugualmente benedetti dal sacerdote del paese, che gira nei quartieri, accompagnato dalla banda cittadina. Una paletta di brace viene, quindi, portata in ciascuna abitazione, come buon auspicio. In nottata, gruppi di bandisti passano di rione in rione, eseguendo il caratteristico suono della diana con rulli di tamburo e grancassa. Il giorno della festa patronale viene celebrata la Santa Messa, alla quale accorrono numerosi fedeli, che si sottopongono alla benedizione della gola, con l'imposizione di candele incrociate. Nel pomeriggio, ha luogo la processione, al termine della quale si ha lo stupendo spettacolo dei fuochi pirotecnici. Sono scomparsi gli antichi giochi popolari, che si tenevano nel centro storico del paese, quali il palo della cuccagna ed il gioco delle "pignate". La tradizione culinaria è molto severa. Primo: maquarnar con ragù di coniglio; secondo: coniglio al sugo ripieno di fegato e uova, coniglio al forno, testine di agnello o capretto; dolce: vaccarelle con semi di finocchio e cannella (tipici biscotti a forma di mammelle di vacca, perché San Biagio è anche protettore del bestiame, o delle tre dita del santo, rappresentanti l'atto della benedizione), pezzi di cupet (torrone), mandorle e nocelle al forno; vino a volontà: Aglianico, Malvasia, Moscato, Santa Sofia. San Biagio, vissuto tra il III e IV secolo d.C., era un medico di origine armena. Nato da una famiglia nobile ed educato al Cristianesimo, divenne vescovo della città di Sebaste, l'odierna città di Sivas nella Turchia orientale, dove operò numerosi miracoli. La leggenda narra che Biagio vivesse rintanato in una grotta nascosta tra le montagne, forse per poter scampare alle persecuzioni contro i cristiani. Nel suo rifugio, era avvicinato da animali selvatici, che egli riusciva ad ammansire e curare. Scovato da alcuni cacciatori, fu fatto arrestare ed atrocemente torturare dal governatore Agricolao. Dopo aver professato pubblicamente la sua fede in Cristo, San Biagio venne flagellato con delle verghe. Successivamente fu appeso ad un legno e stirato. Gettato in carcere, fu torturato con pettini di ferro, tramite i quali gli fu scorticata la pelle e lacerate le carni. Si racconta che durante il tragitto verso la prigione, sette donne furono decapitate, perché avevano osato raccogliere le gocce di sangue che scorrevano dal corpo dello stesso martire. E' stato innalzato alla dignità di santo ed è invocato contro i mali di gola, perché durante la sua prigionia, guarì miracolosamente un ragazzo che aveva una lisca di pesce conficcata nella trachea. Un'altra storia sorprendente lo riguarda. Si dice che riuscì a convincere un lupo a restituire un maiale che apparteneva ad una povera donna, la quale, restituì il favore, infiltrandosi nella prigione e portandogli cibo e candele. Fu gettato in un lago, ma due angeli lo riportarono sano e salvo a riva; quindi, fu decapitato insieme ad altri due fanciulli, che egli aveva istruito alla religione cristiana. E' anche Patrono di Maratea, città che ne conserva le reliquie. Secondo la tradizione, queste, insieme a quelle di san Macario, giunsero a Maratea nel 732, quando una nave proveniente da un porto orientale, si arenò a causa di una tempesta presso l'isolotto di S. Janni. Gli abitanti del Castello raggiunsero l'imbarcazione per portare soccorso e vi trovarono oltre l'equipaggio, le sacre reliquie conservate in un urna marmorea, che fu portata in cima al monte, dove rimase custodita. Il 3 maggio 1941 fu fatta una ricognizione ufficiale per il riconoscimento di quanto contenuto nell'urna: il torace, una parte del cranio, un osso di un braccio e un femore del santo armeno. La venerazione di Maratea per il santo protettore accrebbe l'evento miracoloso della santa manna. Infatti, in più di un'occasione, la statua e le pareti della basilica si ricoprirono di un liquido acquoso, di colore giallastro, raccolto dai fedeli e adoperato con estrema devozione per la cura dei malati, in quanto proprietario di poteri taumaturgici. Fu papa Pio IV, all'epoca vescovo di Cassano, che nel 1563 riconobbe il liquido come "manna celeste". L'"osso della gola" di San Biagio, con il quale si benedicono i fedeli è dal 1617 ai SS. Biagio e Carlo Catinari di Roma. (R.A.)