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(RegioneInforma) CARLO LEVI E LE RADICI CULTURALI LUCANE
30 marzo 2005
(ACR) - Un tratto che accomuna molti degli intellettuali italiani esiliati nelle zone rurali durante il ventennio fascista è la simpatia da loro manifestata verso le popolazioni locali con cui sono venuti in contatto. E' indubbiamente il caso anche di Carlo Levi, relativamente al suo confino in terra lucana negli anni 1935-36. Nato nel 1902 a Torino, Levi rimase così colpito, emotivamente e culturalmente, dalla sua esperienza di soggiorno forzato nel paese lucano di Aliano, da chiedere nelle sue ultime volontà di essere sepolto lì: il che avverrà dopo la sua morte, nel 1975. Notevole fortuna ebbe il libro, pubblicato al termine del secondo conflitto mondiale, in cui Carlo Levi racconta il suo periodo di esilio e i rapporti con gli abitanti e con la cultura popolare della regione lucana negli anni Trenta. Il titolo del volume, Cristo si è fermato a Eboli, fa riferimento a un detto dei contadini del luogo, secondo cui la civiltà – identificata con il cristianesimo – si sarebbe arrestata a Eboli, cioè subito prima di arrivare in Lucania. In effetti, le difficili condizioni materiali ed economiche della regione nel periodo fascista sono tratteggiate in maniera pregnante nel corso di vari passi del libro; altrettanto significative sono alcune opere pittoriche lasciateci da Levi, nelle quali sono ritratti paesaggi e persone della Lucania. Oltre che scrittore, intellettuale e politico, Carlo Levi fu infatti anche artista di ottimo livello, legato negli anni Venti al "Gruppo dei Sei" (composto da pittori torinesi) e successivamente, negli anni Cinquanta, alla corrente pittorica neorealista. Ma Levi non si limitò a descrivere efficacemente la difficile realtà contadina lucana, destinata peraltro a mutare in maniera profonda nel corso degli anni Sessanta e Settanta: già in Cristo si è fermato a Eboli egli elaborò ed offrì al pubblico dibattito una significativa proposta culturale e politica volta ad affrontare in modo nuovo, dal basso, l'annosa "questione meridionale". A suo avviso un progetto di sviluppo della Lucania (e di altre zone del Meridione) richiedeva preliminarmente che se ne comprendessero a fondo il contesto culturale, le tradizioni e anche le superstizioni: solo allora vi sarebbero state le premesse per uno sviluppo che da un lato combattesse la miseria economica e dall'altro salvaguardasse gli aspetti più vitali e i valori più sani della tradizionale cultura lucana. Scrive Levi: "L'individuo non è una entità chiusa, ma un rapporto, il luogo di tutti i rapporti. Questo concetto di relazione, fuori della quale l'individuo non esiste, è lo stesso che definisce lo Stato. Individuo e Stato coincidono nella loro essenza, e devono arrivare a coincidere nella pratica quotidiana, per esistere entrambi. Questo capovolgimento della politica, che va inconsapevolmente maturando, è implicito nella civiltà contadina". Nonostante il carattere apparentemente astratto e filosofico di queste teorizzazioni, Carlo Levi riuscì anche nella pratica a dare un impulso allo sviluppo lucano, contribuendo ad esempio a tener desta l'attenzione sul problema dei Sassi di Matera: sull'esigenza cioè di migliorare le condizioni di vita per quanti vi abitavano e, nel contempo, di garantire un recupero storico-artistico di quella straordinaria testimonianza di antica civiltà. Nato da famiglia ebraica e formatosi in un ambiente ideologico socialista, Levi collaborò da giovanissimo con Pietro Gobetti nella redazione della rivista La rivoluzione liberale e successivamente diresse il giornale clandestino Lotta politica. Il suo impegno antifascista ne provocò l'arresto e poi il confino in Lucania: emigrato in Francia, tornò nel nostro paese per collaborare alla Resistenza partigiana. Dal 1962 al 1973 fu anche Senatore della Repubblica. L'esperienza, pur difficile e sofferta, dell'esilio lucano fu comunque quella che più in profondità segnò il percorso culturale di Levi; ciò fu dovuto soprattutto al fecondo incontro dell'intellettuale piemontese con l'arcaica ma vitale cultura contadina di Aliano. L'importanza di questo incontro emerge appieno nelle ultime pagine del libro, dove si narra con dolente nostalgia l'addio dell'Autore al paese lucano: "Infine mi congedai da tutti. Salutai la vedova, il becchino [...], l'Arciprete, i signori, i contadini, le donne, i ragazzi, le capre [...]; lasciai un quadro in ricordo al comune di Aliano, feci caricare le mie casse, chiusi con la grossa chiave la porta di casa, diedi un ultimo sguardo ai monti, al cimitero [...]; e una mattina all'alba, mentre i contadini si avviavano con i loro asini ai campi, salii nella macchina dell'americano e partii. Dopo la svolta, sotto il campo sportivo, Aliano scomparve, e non l'ho più riveduta". (C.G.)