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(RegioneInforma) MUSICA POPOLARE IN BASILICATA: LA RICERCA DI SCALDAFERRI E VAJA
04 aprile 2005
(ACR) - Cosa fa di un gruppo di persone una comunità, un popolo? La risposta ha in sé un che di estrema semplicità perché sintetizza radici, culture e tradizioni comuni. Prime fra tutte quelle orali, le "non-scritte", quelle che è più complicato cogliere ma anche quelle che più di tutte racchiudono il "cuore" di un popolo. Ernesto de Martino e Diego Carpitella insegnano che per "catturare" l'anima di una comunità, per tentare di afferrare l'universo che li sottende basta conoscerne le tradizioni orali, quelle musicali, i suoi canti popolari. Ed ecco come per incanto un sipario si apre su vere e proprie "fotografie interiori" che riassumono il tempo: quello antico, fatto di vecchie credenze e tradizioni; ma anche quello moderno, specchio fedele di come quelle tradizioni vengono elaborate. In realtà, questa sete di conoscenza a ritroso è anche lo spirito che ha animato e stimolato la ricerca di Nicola Scaldaferri, etnomusicologo dell'Università di Milano con radici lucane, e Stefano Vaja, fotografo del Festival internazionale Volterrateatro specializzatosi in campo antropologico. L'indagine, promossa dall'associazione culturale Altrosud, d'intesa con l'assessorato alla cultura della Regione Basilicata, è durata circa tre anni (dal 2002 al 2005), e ha riguardato il campo delle tradizioni musicali su tutto il territorio regionale. Obiettivo principale della ricerca: verificare, a livello di tradizioni musicali, cosa è cambiato e cosa, invece, è rimasto inalterato nel tempo rispetto alle esemplari indagini condotte mezzo secolo fa da de Martino e Carpitella. Anzi, proprio i 50 anni dal loro lavoro hanno agito da spunto per quest'altro - come sostenuto da Scaldaferri -. E ancora, secondo l'etnomusicologo lucano, l'analisi è stata condotta su vasta scala abbracciando l'intero territorio lucano «come nessun'altra ricerca in passato». Particolare attenzione è stata riservata al Carnevale e la festa di S. Antonio Abate di Accettura, S. Mauro Forte e Tricarico; i Riti arborei di Accettura, Gorgoglione e Rotonda; la Settimana Santa a Barile, Ferrandina, Pisticci, S. Arcangelo, S. Chirico Nuovo e S. Costantino Albanese; processioni religiose e momenti devozionali ad Accettura (S. Giuliano), Cersosimo (S. Vincenzo Ferreri), Gorgoglione (Madonna del Pergamo e S. Antonio di Padova), Matera (Madonna della Bruna), Pisticci (S. Rocco), S. Fele (Madonna di Pierno), S. Paolo Albanese (S. Francesco), S. Severino (Madonna del Pollino), Tolve (S. Rocco) e Viggiano (Madonna). L'indagine si è inoltre occupata anche di alcune caratteristiche rappresentazioni musicali quali "le matinate" di Matera, la "serenata di nozze" a S. Costantino Albanese, il "ballo della Uglia" ad Anzi e il "ballo della cente" a Viggiano. In definitiva: 5000 scatti fotografici e 150 ore di registrazione a suggellare l'encomiabile fatica di Scaldaferri e Vaja. È stato previsto anche un libro, in uscita nei prossimi mesi, che però raccoglierà solo un numero esiguo di foto (140) insieme ad alcuni testi, e sarà corredato di un cd musicale. Per di più i due studiosi si sono anche occupati di stilare un elenco dei principali laboratori e costruttori di strumenti tradizionali, oltre che dei suonatori popolari e dei cantori. In quest'ultimo gruppo un nome spicca fra i tanti, ed è quello di Paolina Lotito di Tricarico, classe 1908, la cui tarantella è stata registrata da de Martino nel 1952, e la cui replica nel 2003 per Scaldaferri e Vaja ha rappresentato per i due ricercatori motivo di orgoglio e soddisfazione. Anche perché la signora Lotito ha abbandonato questo mondo proprio recentemente. In conclusione, il lungo, meticoloso e non facile lavoro portato avanti da Scaldaferri e Vaja finisce col racchiudere in sé un grande valore storico, oltre che artistico. Perché si tratta di «forme di contaminazione culturale» - come sostiene l'etnomusicologo lucano – . Perché è naturale che il lavoro contadino, di cui il nostro passato è fortemente intriso, faccia da sfondo a tutto quanto. Più che mai ai canti popolari che quella realtà raccontavano. E rivelare, e al tempo stesso, scoprire uno sterminato mondo fatto di suoni, canti e saperi artigianali equivale a rendere più reali e ben visibili le radici che accomunano il popolo lucano e dalle quali trae origine la propria identità culturale. Come dire che studiare l'universo dei canti popolari equivale un po' a comprendere e ricordare, qualora se ne fosse persa la memoria, le peculiarità della nostra terra. Un modo per riscoprire chi siamo. (k.s.)