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(RegioneInforma) UN ILLUSTRE LUCANO DEL SEICENTO: IL CARDINALE GIAMBATTISTA DE LUCA
16 maggio 2005
(ACR) - Fra i maggiori giuristi del Seicento italiano figura senza dubbio il lucano Giambattista De Luca (1614-1683). Nato a Venosa, esercitò la professione di avvocato prima a Napoli e poi a Roma: divenuto uno dei più noti esperti di diritto del suo tempo, giunse in tarda età al sacerdozio e poi al cardinalato. Il Papa Innocenzo XI noto soprattutto per i suoi scontri con il re di Francia Luigi XIV sulla questione delle libertà gallicane, ebbe infatti De Luca come consigliere per le questioni giuridiche e lo nominò dapprima uditore e segretario dei memoriali e poi, nel 1681, cardinale. Il pensiero giuridico di De Luca, straordinario per la sua modernità, è espresso in numerose opere in latino e in volgare. La più nota è il Theatrum veritatis ac iustitiae (1669-73), in quindici liberi, un colossale repertorio di allegazioni e discorsi nel campo del diritto civile, canonico e feudale. Di quest'opera esiste anche un condensato in lingua italiana, intitolato il Dottor Volgare: fra i meriti di De Luca vi è infatti, anche quello di essersi battuto per un più largo uso del volgare nella redazione di opere scientifiche ed erudite. Nel Theatrum veritatis ac iustitiae De Luca evidenzia le caratteristiche peculiari dello Stato pontificio dal punto di vista della struttura giuridica. Nell'unica figura del Papa si uniscono infatti il potere spirituale e quello temporale: ne consegue la notevole ampiezza delle possibilità d'azione del pontefice, che dispone nei confronti degli ecclesiastici di un potere assai maggiore di quello caratteristico di un principe secolare. La concentrazione di più poteri in una sola persona è per De Luca un punto di forza dello Stato pontificio, perché al suo interno non sussiste quella disordinata molteplicità di leggi e legislatori che ostacola la gestione e l'interpretazione del diritto nelle altre compagini statali del Seicento. Lo Stato della Chiesa è una granitica unità giuridica in cui città, paesi e campagne si trovano sotto l'unico e diretto dominio del papa: un potere che non necessita del consenso espresso o tacito dei sudditi, perché trae la sua legittimità direttamente da Dio. De Luca ritiene ammissibile, anzi auspicabile, una limitazione dei privilegi (soprattutto fiscali) di chierici e religiosi: ciò perché l'interesse preminente da tutelare, anche all'interno dello Stato pontificio, non deve essere quello proprio degli individui, ma quello del bene comune e di una maggiore prosperità dello stato nel suo complesso. Queste teorizzazioni sono probabilmente all'origine dell'astio e della malevolenza di cui il cardinale fu oggetto nel periodo in cui maggiore fu la sua influenza come consigliere del Papa Innocenzo XI. Le tesi sulla pluralità di figure e poteri presenti nell'unica persona del pontefice sono esposte con grande chiarezza in un'altra importante opera di De Luca, intitolata Relatio romanae curiae: vi si afferma che il papa è al tempo stesso vicario generale di Cristo, patriarca dell'Occidente, vescovo particolare di Roma e principe secolare. Il pontefice come sovrano temporale non è identificabile con il successore di Pietro: mentre il papa come principe secolare è limitato dalle decisioni dei suoi predecessori o da quelle del collegio cardinalizio, il Papa come vicario generale di Cristo e capo della Chiesa universale ha un campo d'azione vastissimo nel dominio spirituale. Ribadendo l'indipendenza dello Stato pontificio dagli altri organismi statali, De Luca sottolinea anche come il caso della Chiesa, dove potere spirituale e temporale sono raccolti in un'unica persona, rappresenti un'anomalia nel panorama internazionale del suo tempo e richieda una specifica analisi dal punto di vista giuridico. Ancora relativamente poco studiata, anche per l'oggettiva complessità degli argomenti che affronta, l'opera di Giambattista De Luca presenta un indubbio interesse non solo per la storia del pensiero giuridico, ma anche e soprattutto per ricostruire l'evolversi dei rapporti fra lo Stato pontificio e gli altri Paesi nel corso del secondo Seicento. (C.G.)