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(RegioneInforma) L'ORO NERO IN BASILICATA
17 maggio 2005
(ACR) - Sebbene la Basilicata sia stata di recente ribattezzata "Texas d'Italia", la corsa all'oro nero in questa regione dura da quasi un secolo. Secondo la tradizione nel lontano 1400 nei pressi di Viggiano una folla di fedeli si recò a vegliare su un monte, attratta dai "fuochi" visibili sulla cima e che l'indomani mattina fu rinvenuta una statua della Vergine. Ma la statua, in stile greco-bizantino e in legno, proveniva da lontano: era venerata, infatti, già da molto tempo, nella Cattedrale dedicata a Santa Maria dell'Assunta dell'antica Grumentum, sede vescovile; ma, intorno al 1000-1500 d.C, le invasioni dei Saraceni, misero in fuga il vescovo verso Marsico Nuovo, il quale portandosi dietro la statua della Vergine, la nascose appunto sul Monte di Viggiano, che da quel rinvenimento fu considerato sacro, ancor più perché la prodigiosa riscoperta della statua, avvenne proprio là dove zampillava l'oro nero: coincidenza della Madonna Nera di Viggiano dai tratti somatici bizantini. Da allora i viggianesi ne rivendicarono il diritto di possesso e cominciarono il culto di quella che, successivamente, divenne la patrona dell'intera regione. A distanza di secoli, la vicenda dell'oro nero in Basilicata rimane attorniata da un alone di mistero e rappresenta, sempre più spesso, un imbarazzante casus belli di difficile gestione piuttosto che preziosa risorsa collettiva, positiva voce per bilanci e vitale leva occupazionale. Ma se allora il mistero della Fede consentiva di trascendere l'umana razionalità, in epoca a noi più vicina, intrighi politici e accordi economici non sciolgono certo mortali dubbi e perplessità. La vicenda dell'estrazione dell'oro nero, quella più umana che divina, ben lungi dal colorarsi di fascino mistico e religioso, è lunga da raccontare…che ci sia il petrolio in Basilicata si è sempre saputo! E oggi all'ombra di Viggiano sorge il centro oli dell'Eni tra silos da cui esce vapore grigio, torri dalla fiamma perenne e pozzi illuminati, mentre le tasche delle aziende petrolifere multinazionali si arricchiscono lasciando alla Basilicata il mistero di royalties pagate in minima parte e inquietanti interrogativi sulla salute dei suoi fervidi pastori. Con un grande balzo indietro nel tempo ritroviamo la prima perforazione del territorio lucano nel 1902 a Tramutola, mentre a partire dal 1939 comincia la prima fase di coltivazione che si interrompe nel 1953 quando, per le mutate condizioni internazionali e la conseguente caduta del prezzo del barile a pochi dollari, l'AGIP chiude questa fase con l'ultimo pozzo sempre a Tramutola, per giunta beffardo e sterile. Si racconta che in quel periodo, correva l'anno 1946, in piena campagna elettorale, a Emilio Colombo, mentre girava a dorso di un mulo l'alta Val D'Agri nei pressi di Tramutola, i montanari della zona avessero mostrato, con una punta d'orgoglio e un velo di mistero, una profonda ferita nella terra da cui sgorgava dell'olio scuro. Quando, nel 1950 diventa Sottosegretario all'Agricoltura, nel VI Governo De Gasperi, quella strana vicenda gli ritornò alla mente, e l'AGIP avviò le sue ricerche in quella zona, risultate vane. E, se pur il giacimento di Tramutala si era probabilmente esaurito, l'intera Val D'Agri fu, poco più tardi, identificata come zona particolarmente ricca tanto che, tra il 1975 e il 1985, con l'aumento del prezzo del petrolio e lo sviluppo tecnologico, si diede inizio a una nuova fase di estrazione a cui presero parte, otre all'AGIP o ENI, che dir si voglia, anche Enterprise e Mobil. Nella zona compresa tra il territorio di Viggiano e di Calvello fu individuata l'area di produzione denominata Caldarosa e, nel 1984 fu aperto il pozzo Caldarosa1, proprio nella zona che la legge 394/91 avrebbe indicato l'area protetta del parco nazionale della Val D'Agri-Lagonegrese. Il protocollo di intesa tra ENI e la Regione Basilicata è stato firmato solo il 13.11.1998 quando si costituisce l'accordo politico tra l'allora Presidente del Consiglio, Massimo D'Alema ed il Presidente della Giunta Regionale Di Nardo. Da allora nella zona di Calvello e del Vulturino c'è stato un proliferare di numeri crescenti per le diverse piattaforme" Cerro Falcone" che dominano la vallata a oltre i 1330 metri. Nelle migliori intenzioni, si sperava che con l'estrazione di petrolio dalla Val D'Agri, la Basilicata avrebbe goduto, se non dei ricavi della attività estrattiva del sottosuolo spettanti allo Stato, almeno dello sfruttamento in superficie dell'attività con il pedaggio per camion-cisterne e altri mezzi preposti all'uopo e, cosa non secondaria, che avrebbe avuto rilevanti ritorni occupazionali. Ma nella realtà, la parola royalty è stata gridata fino allo stremo da ambientalisti inferociti e cittadini preoccupati: sono state effettuate più di 20.000 cosiddette microesplosioni, danneggiati boschi ed aziende agricole, lesionato fabbricati e distrutti pozzi e falde acquifere, mentre, sul versante occupazionale, l'impiego di manodopera locale è ancora insufficiente e, spesso non avviene in modo trasparente, ma secondo criteri clientelari, miranti a favorire quei gruppi politici e di potere che si dimostrano acquiescenti ai desideri dell'ENI. Si denuncia da più parti che, per poter lavorare, è necessario essere iscritti in appositi elenchi in cui, però, compaiono solo alcuni nomi. Poco più di un anno fa, calò come spada di Damocle, l'intervento dell'Arcivescovo Agostino Superbo che, riferendosi al "ricorso alle raccomandazioni attraverso la conoscenza del potente di turno, senza il quale i nostri ragazzi non possono ambire ad un posto di lavoro", condannava con forza un tale ed evidente "sviluppo distorto" e "struttura di peccato". Intanto, i numeri dell'attività d'estrazione in Basilicata fanno davvero girare la testa! Nel 2004 negli impianti di Viggiano l'estrazione petrolifera ha superato la quota di 20 milioni di barili, con una media di 63.500 barili al giorno; mentre per il periodo 2000-2005 dalla Val D'Agri è prevista in totale una produzione media di 4,8 milioni di tonnellate annue di petrolio con la copertura dell'11% del fabbisogno nazionale. Intanto il 21 Gennaio 2005, l'Ansa batteva la notizia dell'accordo Regione-Governo-Total Fina con cui si riconosce al titolare petrolifero la concessione per lo sfruttamento del nuovo giacimento Tempa Rossa, nella zona dell'Alto Sauro, e si dà il via all'apertura del secondo giacimento lucano, dopo quello della Val d'Agri. E mentre immediate volano euforiche dichiarazioni di futuri e certi vantaggi economici ed occupazionali, si prospettano altri appetitosi 120 milioni di barili di greggio di buona qualità; dati che si andrebbero ad aggiungere a quelli forniti dall'ENI relativi agli altri due bacini, di Val d'Agri e Val Camastra, che avrebbero riserve per circa 900 milioni di barili. (C.L.)