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(RegioneInforma) "DAL MARE ALLA TERRA"
23 giugno 2005
Archeologia subaquea e terrestre a Maratea
(ACR) - "Dal mare alla terra" è una mostra che rivela un altro modo di percepire un territorio apprezzato nell'immaginario collettivo, soprattutto per le sue bellezze naturalistiche e paesaggistiche. Per tutta l'estate, chi si reca in vacanza a Maratea, avrà l'occasione di scoprirne la storia attraverso numerosi reperti archeologici provenienti da scavi subaquei e terrestri, esposti presso il Palazzo De Lieto nel centro storico della cittadina. I numerosi reperti, rinvenuti sott'acqua e sulla terraferma nel territorio del golfo di Policastro, ricostruiscono il passato di quei luoghi, dal periodo preistorico alla storia più recente. Risale alle glaciazioni del Quartenario il più antico giacimento archeologico di Maratea, situato in una cavità costiera denominata Grotta Lina, quando il clima rendeva inospitali le zone dell'entroterra e spingeva gli ominidi sul mare, dove le condizioni climatiche erano più favorevoli e si potevano alimentare praticando la pesca. I resti faunistici di Grotta Lina, appartenenti a numerose specie animali (orsi e leoni delle caverne, leopardi, iene, rinoceronti, elefanti e cervidi giganti) sono stati datati al Pleistocene, circa 150.000 anni prima dell'era cristiana. La presenza dell'uomo è attestata successivamente nelle grotte di Fiumicello, dove sono stati rinvenuti alcuni utensili in pietra lavorata e numerosi resti ossei di animali, di cui si cibarono gli stessi abitatori di quelle caverne, databili tra 80.000 e 40.000 anni fa. Al Neolitico risale una più diffusa presenza dell'uomo in varie zone di quel territorio, documentata attraverso una serie di frammenti ceramici. All'Eneolitico riconducono diverse lame e schegge di ossidiana, costituenti i più antichi documenti relativi a traffici e commerci trasmarini, poiché quel vetro vulcanico poteva giungere solo dalle isole Eolie. Un primo insediamento stabile è documentato sulla costa di Maratea nell'Età del Bronzo medio. Il promontorio di Capo della Timpa, scelto dagli indigeni per la sua posizione quasi centrale nel Golfo, rappresentò un punto di riferimento per la navigazione del basso Tirreno e per i rapporti commerciali e culturali che si vennero ad istaurare. Le ceramiche e i vasi rinvenuti in quell'area, diversi per forma e tecnica, segnalano ancora legami con le isole Eolie, attraversato da rotte marittime che trovano eco nei poemi omerici, in particolare nei racconti riferiti al ritorno degli eroi greci in patria. La vita dell'insediamento di Capo della Timpa si interruppe all'inizio della prima Età del Ferro e la prima colonizzazione greca non interessò il Tirreno, avendo indirizzato i propri traffici verso altri mari. Gli abitanti delle aree interne tornano a rioccupare i siti costieri di Maratea nel corso del IV secolo a.C.. Gli indigeni Enotri, così individuati per la caratteristica produzione ceramica a decorazione sub-geometrica, che rivela lo stretto rapporto con altri gruppi nell'entroterra stanziati nel Vallo di Diano e sulla costa (tra Palinuro e Pertosa di Scalea), abitarono stabilmente il promontorio marateota. Le ceramiche rinvenute a Capo della Timpa rivelano anche i nuovi contatti marittimi avuti dagli indigeni: accanto ai frammenti di vernice nera di fabbricazione coloniale, sono state trovate coppe prodotte nelle colonie greche dello Ionio, frammenti di anfore provenienti dalla colonia di Velia e altre di produzione corinzia e dell'isola di Chio. Risalgono all'età classica ed ellenistica altre anfore, al periodo in cui si inseriscono nel territorio di Maratea elementi di matrice sannitica, che manifestano un interesse per il commercio, fornendo nuovi impulsi culturali a quelle popolazioni costiere. Al IV secolo a.C. datano le tracce di altri due abitati, accanto al primo insediamento: un piccolo stanziamento rurale è stato ritrovato nella frazione Massa di Maratea, mentre una necropoli, riutilizzata anche in epoca romana, è riemersa a Castrocucco. Durante il periodo romano l'insediamento antropico a ridosso della costa muta: i piccoli abitati indigeni sono sostituiti da grandi ville patrizie ("villa marittima") che affiancano alla funzione residenziale una componente produttiva e commerciale. Due complessi di questo tipo sono stati individuati nella zona di Santavenere e a Capo la Secca, quest'ultimo sito posto in prossimità della foce del fiume Noce, dove sono state ritrovate anche, nella necropoli, due tombe "alla cappuccina" e denari d'argento di età repubblicana. A Santo Janni sorse, invece, una piccola ma fiorente industria di prodotti ittici, attiva tra la tarda età ellenistica e quella tardoromana. Sull'isolotto si leggono le tracce di un vasto impianto produttivo per il "garum", la salsa a base di molluschi e pesci che venivano messi a macerare in grandi vasche di cocciopesto, molto appetita dai Romani. Le ampie cavità di quella scogliera venivano utilizzate anche come vivai ittici, adattando setti murari e pareti lignee con tagli nella roccia. Nella insenatura a nord di quell'aspro scoglio è stato ritrovato uno dei più grandi giacimenti subacquei di ancore del Mar Mediterraneo: ceppi di legno e di piombo incagliati sul fondo del mare, che si usavano tra il 300 a.C. e il I-II secolo d.C. Oltre alle ancore sono state recuperate, da quello stesso giacimento, anfore da trasporto rastremate verso il basso per essere comodamente collocate nella stiva, adatte a contenere derrate alimentari. Sono riemerse inoltre ceramiche, iscrizioni varie e misure di peso, spesso recanti il nome "Venus". Il mare, indiscusso protagonista delle vicende storiche di Maratea, ha continuato ad esercitare la propria influenza anche nella tarda antichità e nel Medioevo. Dal Nord Africa giunse infatti una lucerna, in assoluto il più antico documento cristiano del sito, così come su una nave giunsero dall'Oriente le spoglie del patrono cittadino, nel IX secolo d.C. La venerazione delle reliquie di San Biagio e dei suoi compagni di martirio, miracolosamente giunte a riva presso l'isolotto di Santo Janni, dove venne costruita in periodo altomedioevale una cappella absidata sovrapposta a resti di età romana, testimonia le prime fasi del culto del santo e rende inscindibile, e in un certo senso imperscrutabile, un destino che accomuna punti di partenza e di approdo. (I.S.)