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(RegioneInforma) "SULLA VIA APPIA AD INCONTRAR LE MUSE"
01 luglio 2005
“Lucanità” di Orazio ed altri saggi
(ACR) - "Sulla Via Appia ad incontrar le Muse" di Marino Faggella, è dettato dal proposito di seguire il tracciato di un percorso storico-archeologico che, ripercorrendo idealmente la via Appia, conduce fino a Venosa. Colonia, quella di Venosa, come testimonia anche il poeta, dove Orazio nacque nel 65 a.C., che fu fondata dai Romani nel 291 avanti Cristo. Se volessimo ipotizzare in quale parte di Venosa antica avrebbe potuto vivere e abitare il giovanissimo Orazio, utilizzando i dati archeologici e le notizie biografiche che abbiamo, potremmo proporre due soluzioni non necessariamente alternative. Secondo Svetonio, infatti, non è da escludere che il padre del poeta fosse inizialmente, se non proprio un "salsamentarius" almeno un commerciante, data la sua origine servile, e come tale avrebbe potuto avere la sua dimora nella zona orientale di Venosa riservata, appunto, alle botteghe artigiane e al commercio. In seguito, messo da parte un buon capitale con investimenti in case e terre, s'ipotizza abbia fatto Fortuna, fino a diventare "coactor argentarius", in altre parole banchiere, e per tale attività si sarebbe trasferito in uno degli eleganti quartieri del centro, occupando una più confortevole "domus" con accesso alla via basolata. Non mancano in tutte le raccolte oraziane richiami al suo paese di origine, negli anni della prima giovinezza. Poi, sradicato dall'ambiente provinciale della sua città, a contatto con una realtà sofferta, il poeta venosino per confortarsi, si rifugiava talvolta nella memoria, evocando il favoloso tempo della sua infanzia che riaffiora nei suoi versi con gli incantevoli scorci del paesaggio "daunico, percorso dal fragoroso Aufido e le corse spensierate sulle balze del Vulture, mentre in lontananza si stagliava Acerenza, alta come un nido di aquila, i pascoli batini e, più discosta la fertile campagna di Forento (paese da identificarsi con l'attuale Lavello)". Il ricordo della terra natìa e le immagini caratteristiche del paesaggio circostante accompagnano, si può dire, tutta la vita del poeta, "attestando", scrive Faggella, "un affetto sincero e una devozione incancellabile alla terra madre e ai paesi in cui egli crebbe", nonostante visse qui solo i primi dieci anni della sua vita e, per quello che ne sappiamo non vi fece forse più ritorno. Nessuna meraviglia, pertanto, se egli accenna, e solo di sfuggita, alla Lucania e alla città che gli ha dato i "natali" e se, le immagini della regione circostante il suo paese si affacciano alla fantasia del poeta in un modo piuttosto vago e non propriamente nitido. Venosa compare solo due volte nell'opera del poeta indirettamente citata nella sua satira più tarda, ove egli fa riferimento al "venusinus colonus", di incerta qualifica etnica, ed esplicitamente nell'ode per Archita ("Carm. I, 28) nella quale Orazio ricorda il particolare dei suoi boschi, che si augura "siano battuti dal vento Euro". Venosa, quasi esclusivamente nel nome di Orazio, è riuscita a uscire da un lungo isolamento geografico e culturale da cui oggi la riscatta una nuova notorietà, grazie anche a una recente attività editoriale, "sebbene in alcuni casi essa arrivi a sfruttare un po' troppo anche l'opera del maggior poeta locale", e anche alla luce degli ultimi esiti dell'attività archeologica che attira sempre più l'attenzione di studiosi e visitatori esterni a Venosa, una città che è in grado di fornire una ricca e interessantissima quantità di dati storico-monumentali che, insieme con le "amenità locali", aspettano di essere riscoperti e fruiti da viaggiatori interessati e curiosi di sapere. La celebrazione del Bimillenario della morte del poeta ha richiamato per l'occasione, in Basilicata, fior di studiosi di provenienza internazionale, i quali celebrando in "modo degnissimo" il Venosino, hanno lasciato una traccia indelebile di scrittura in quelle giornate di studio. L'autore, Marino Faggella, laureato in Lettere classiche, presso l'Università "Federico II" di Napoli, vive e lavora a Potenza quale professore ordinario di Italiano e Latino nel Liceo Classico "Quinto Orazio Flacco". Già da quattro anni svolge attività di docenza presso la Scuola di Specializzazione dell'Università di Basilicata. Si è già occupato di studi su Orazio, pubblicando numerosi articoli e saggi, tra cui "Il mito del poeta e la fortuna di Orazio", "Orazio e il potere", "Lucanità di Orazio", per citarne alcuni. I suoi interessi di studioso sono stati rivolti, inoltre, a temi di linguistica e critica letteraria, alla storia e alla cultura letteraria del Sud e della Lucania. "Ho ritenuto opportuno", scrive l'autore, " partire dai dati storico-archeologici, anche per vedere che cosa oggi sopravvive, a cominciare dalla fondazione della città, dei tempi storici del poeta". E si domanda "esistono ancora, dove si trovano le antiche fabbriche, che cosa oggi di quelle splendide costruzioni di marmo che illustrarono, abbellendola la città di Orazio?" "Sono queste le domande iniziali", scrive ancora l'autore, "alle quali ho cercato di dare risposta attraverso la lettura delle testimonianze antiche attualmente presenti nella città per definire il contesto storico-culturale cui riferire l'opera del poeta di Venosa.". Attualmente all'interno del circuito cittadino, senza tener conto della zona orientale lungo l'antica Via Appia, importante per la presenza di numerose necropoli, monumenti funerari a tracce di "tabernae", si riconoscono due ampi e importanti serbatoi archeologici, complessi per la stratificazione dei manufatti, ma strettamente integrati fra loro e tali da fornire una "dovizia" di dati molto interessanti: il Parco Archeologico, la cui principale emergenza monumentale è costituita dalle Terme, databili fra il I e il II secolo d.C. e il complesso monumentale della "SS. Trinità", che insieme costituiscono un esempio unico e straordinario di giacimento archeologico preservato dall'edilizia moderna. L'abbazia della "SS. Trinità", sulle cui pietre è scolpita molta parte della storia antica di Venosa, è il complesso monumentale della città maggiormente interessato dal fenomeno del reimpiego di manufatti appartenenti all'età romana. Infatti, sia all'interno che all'esterno della fabbrica, è possibile rinvenire, colonne e capitelli in cipollino, nicchie con ritratti di principi imperiali, epigrafi di diversa provenienza, lastre e blocchi squadrati, protomi leonine e fregi dorici, la cui interpretazione e datazione ci permette di ricostruire faticosamente una significativa ed estesa " tranche d'histoire" di Venosa antica, compresa nell'arco di tempo che va dalla prima colonizzazione al tardo Medioevo. Leggiamo, però, che nel complesso abbaziale restano, purtroppo, poche tracce della fase urbana corrispondente al momento graziano, ma esse non sono meglio e più esattamente documentate nel resto del centro storico, "come dimostra l'identificazione erronea della casa del poeta da parte di studiosi locali, in alcuni edifici, attualmente ancora visibili nell'attuale Piazza Calvino, la cui datazione, tra la fine del I e il II secolo d.C. potrebbe anche coincidere con l'età di Orazio, ma non la destinazione d'uso della fabbrica che fa pensare chiaramente non a un'abitazione privata, ma a un edificio pubblico di tipo termale. Edificio formato da due vani, uno rettangolare, l'altro di forma ovale nel quale era probabilmente situato il "tepidarium". Per rispondere alla domanda che Faggella si è posto più volte: cosa sopravvive a Venosa del tempo di Orazio? "si deve concludere amaramente", scrive, "che, a parte le municipalistiche falsificazioni degli eruditi e degli abitanti locali, anche lo studioso moderno è costretto ad ammettere a causa dei segni scarsi e poco evidenti, che non molto sopravvive nei muri e nelle pietre della città che faccia pensare sia al tempo che alla persona di Orazio." (a.c.)