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(RegioneInforma) SANTA MARIA DI PIERNO. DALL'ABBAZIA AL SANTUARIO
05 luglio 2005
(ACR) - È stato ristampato, di recente, dalla comunità montana del Vulture, l'opera di Giustino Fortunato "Notizie storiche della Valle di Vitalba, Santa Maria di Pierno", edita a Trani sul finire dell'Ottocento. La ricerca condotta dallo storico di Rionero si inseriva nell'ambito di un approfondito lavoro sull'area del Vulture che lo aveva già impegnato sulla chiesa di Santa Maria di Vitalba e sulla ricostruzione riferita alle vicende storiche del castello di Lagopesole e della Badia di Monticchio, con settantuno documenti inediti, che di li a poco sarebbero state pubblicate, nei primi anni del Novecento. Alle badie, ai feudi e ai baroni della Valle di Vitalba il deputato lucano dedicò uno studio minuzioso ancora oggi utile per rileggere la storia non solo di quei luoghi, ma anche delle vicende delle grandi famiglie feudali che si intreccia con quella complessiva dei domini succedutisi nel Regno delle Due Sicilie, dei conflitti di potere interni al regno e tra la sfera religiosa e politica. L'interesse suscitato dalla ristampa dell'opera di Fortunato è dovuto, per Santa Maria di Pierno, anche al fatto che in quella località, in cui ancora oggi sorge il santuario, sono stati eseguiti degli scavi che hanno riportato alla luce alcune strutture murarie dell'antico monastero. I rinvenimenti hanno facilitato così la comprensione storica di vicende prima oggetto soltanto di ipotesi e supposizioni. A Santa Maria di Pierno si insediò una comunità monastica, fondata da San Guglielmo da Vercelli nei primi decenni del secolo XII. Anche se la leggenda narra che il santo, avendo ritrovato in una grotta la statua lignea della Madonna con il Bambino abbandonata da romiti basiliani, decise di fondare in quel luogo il monastero, i fatti storici inducono a collegare le vicende costruttive del monastero alla potente famiglia normanna dei Balvano, che possedette i feudi di Armaterra e di Vitalba. Nel 1141 la chiesa di Pierno venne concessa, dal vescovo di Rapolla Ruggero I, all'abbazia di San Salvatore del Goleto, un'importante comunità monastica femminile presso Sant'Angelo dei Lombardi, nella limitrofa Campania. Fu Gilberto II di Balvano a effettuare consistenti donazioni patrimoniali che consentirono di ampliare e ristrutturare la chiesa e il monastero di Pierno, tra il 1189 e il 1197. Gli stessi esponenti della ricca di quella potente famiglia dotarono il monastero di estesi possedimenti terrieri che presto raggiunsero le dimensioni di un vero e proprio feudo e nella cappella cimiteriale di quel convento trovarono sepoltura diversi esponenti dei Balvano. Le iscrizioni che arricchiscono il portale d'ingresso della chiesa, trascritte e interpretate da Fortunato e dallo storico d'arte francese Emile Bertaux sul finire del Novecento, esplicitano i nomi dei maestri lapicidi che lavorarono alla nuova fabbrica, diversa da quella iniziale attribuita a San Guglielmo. Il nuovo monastero fu costruito da operai della città di Muro Lucano guidati da Sarulo da Muro che fu anche, nel 1209, architetto del campanile e autore dei bassorilievi della cattedrale di Rapolla, della chiesa Santa Maria di Capitignano a Muro Lucano e, forse, della chiesa di San Michele a Potenza e di San Lorenzo in Tufara i territorio di Pescopagano. Il nuovo edificio di Pierno fu consacrato nel 1224 dal papa Onorio III, quando era priore il frate Giovanni Federico, così come documentato nell'Archivio della Santissima Annunziata di Napoli. Quell'antico priorato vide costituirsi così nel tempo la presenza di una comunità stanziale, capace di autogestire le proprie necessità. Divenne così il più importante possedimento del monastero di Goleto, anche quando quella casa madre fu investita da un progressivo decadimento legato al venir meno della protezione dei sovrani angioini. Nel 1514 la chiesa di Pierno venne elevata alla dignità di badia dal papa Leone X e affidata in patronato alla famiglia Caracciolo, subentrata nel dominio feudale con il diritto di investitura dell'abate del monastero. Fu il papa Giulio III a confermare, nel 1552, quello stesso patronato ai nuovi feudatari spagnoli, i De Leyva. Furono i membri di quella famiglia infatti ad avviare, alla metà del secolo i lavori di retauro della chiesa che in quegli anni ritornò a nuova vita, avendo subito, quella struttura, ben due incendi e gravi danni a seguito dei terremoti del 1456 e del 1466. Furono spesi oltre cinquecento ducati per rifare le abitazioni, ristrutturare le celle dei frati, aggiungendo un'aula ecclesiale nella parte crollata dell'abside medioevale, costruendo un'arcata di unione per il nuovo grande ambiente al cui centro fu eretta una grande cona. Altra è la storia dei conflitti che intervennero successivamente fra i feudatari e la Chiesa di Roma per il controllo del santuario fra le comunità cittadine di Atella e San Fele e fra le diocesi di Muro Lucano e Melfi. Va annotato, inoltre, che nel 1616 l'abbazia di Pierno fu affidata in commenda al cardinale Ottavio Belmusto, dando così origine ad una forma di gestione che portò nel tempo ad una spoliazione dei beni patrimoniali acquisiti nei secoli dalla badia. Nella seconda metà del Seicento le strutture del monastero versavano in quasi totale abbandono da parte della comunità monastica e alla chiesa risultava annesso un edificio che veniva ad uso del monastero. Infatti, agli inizi del Settecento, una relazione riferisce che attorno alla chiesa risultava esservi anche un giardino e alcune case per il sagrestano e i pellegrini. La contesa tra i comuni per il santuario di Pierno cessò soltanto nel 1811, quando il commissario Masci, nell'ambito della ripartizione dei demani tra i diversi comini, assegnò con un decreto il santuario di Santa Maria di Pierno al comune di San Fele. Ancora oggi in quei luoghi la Madonna di Pierno continua ad essere venerata dai fedeli, che vi accorrono il 15 agosto, per pregare e portare la statua in processione verso il bosco di castagni piantato da San Guglielmo. (I.S.)