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(RegioneInforma) "I LUOGHI SONO DESTINI". IMMAGINI DEL PAESAGGIO LUCANO E PERCORSI METAFORICI
05 luglio 2005
(ACR) - È un testo che scorre, quello che si sfoglia osservando le immagini fotografiche realizzate da Angela Rosati. È, poi, ancora un percorso metaforico che narra di una terra-paesaggio, mitica e antica: la Basilicata. È, dunque, un collage di luoghi dalle coordinate molteplici e dai compositi destini. Sfondo unificante, l'elemento acquatico nel suo "fluire" placido che appare, all'osservatore, perfino immobile. Le immagini di Angela Rosati si focalizzano sui tanti piccoli particolari del paesaggio, sulla terra e i suoi materiali come l'argilla, il legno, il fango. E, poi, sull'imponenza degli invasi lucani (bacini e strutture che si ergono maestose e potenti) e che si stagliano, contraddistinguendolo, sul territorio della Basilicata. Nella presentazione dell'opera fotografica, alla quale è stato conferito il patrocinio del Consiglio regionale della Basilicata, Vito De Filippo ha sottolineato come "L'elemento acqua assume un valore determinante nella religiosità indigena, condizionando sia le scelte dei luoghi che le forme del culto. Regione- paesaggio e "luoghi come destini", sono due metafore – ha insistito De Filippo- di un impegno politico e civile polarizzato sul tema dell'identità regionale che passa anche attraverso l'"aggiornamento estetico" della percezione che abbiamo del nostro territorio, come quello proposto dalla ricerca fotografica che Angela Rosati ci consegna in questo libro". Il soggetto indagato e catturato nelle differenti prospettive costituisce, se non la prima, la principale fonte di risorsa energetica di una regione che vanta ben cinque corsi d'acqua che la innervano; migliaia di torrenti ed affluenti che danno vita ad una ricco e variegato ecosistema naturale. Come giunge ad affermare Pierangelo Cavanna, "I luoghi sono destini costituisce la consapevolezza, l'identificazione biografica e quasi corporale, la radicata appartenenza alla terra di cui si narra e che trova nel "fenomeno" delle dighe un'occasione di espressione metaforica e, insieme, fisicamente reale". Queste riflessioni- rivelazioni non sono giudizi strettamente personali ma, scaturiscono dalle parole dell'artista stessa. Amante della fotografia di paesaggio come fotografia di ritratto, la sua prospettiva prende corpo e forma, in soluzioni che svelano un carattere velatamente erotico dell'immagine proposta. Come afferma la fotografa, "il corpo della diga riceve sollecitazioni, tensioni, spinte; pressioni e depressioni; dilatazioni e contrazioni; ma anche gli elementi di una diga sembrano alludere: valvole, calice di sfioramento, bacino di calma, unghia a valle (e a monte), raccordi a sentimento". Ma, questo testo non deve essere catalogato come semplice documentazione di immagini. Esso si impone come un suo doppio percorso che comincia dall'esterno per proiettarsi al suo interno. Angela Rosati, infatti, dichiara che si tratta di "un percorso costruito e delimitato da uno spazio reale fatto di accessi e chiusure, di sentieri che si biforcano e incrociano, di improvvise aperture panoramiche che offrono alla vista orizzonti sempre più ampi ma no per questo più chiari; uno spazio costellato di figure e segni diversi, di indizi disponibili ad essere colti e interpretati, compresi, oppure dimenticati per via, pensando ad altro". Si tratta, dunque, di un catalogo che mette in primo piano l'ambiente, lo spirito dei luoghi e gli elementi della natura ma, che, in fondo vuole esprimere e svelare i moti personali dell'artista, i suoi sentimenti e sensazioni che, stare dinnanzi alla sua terra, provoca. "Una lettura pudica della propria metafora del sé che trova conferma – come sottolinea ancora Cavanna – dall'immagine di felicità restituita dalle parole di Nazim Hikmet ("è la mia felicità fiume soleggiato che irrompe sulle dighe") e dal pensiero di Robert Adams ("Ogni fotografia di paesaggio è una metafora"). Citazioni per nulla avulse da questo contesto in quanto, percorrere il libro significa, non solo, dar vita ad un'idea di luogo ma, anche, ingenerare una forma del discorso, al di là del puro e semplice rispecchiamento ( una raffigurazione a doppi livelli di mise en abyme ) del sé dal quale, tuttavia, non si può certo prescindere per comprendere il temperamento di Angela Rosati e il suo modo di percepire la forma, tra il naturale e l'artificiale. A tale proposito, Cavanna rintraccia nella prospettiva dell'artista, la capacità di uno sguardo "ampio, di contesto che esprime pacificazione, ben più che dalle letture di dettaglio". "Lo sguardo che ci viene restituito – continua Cavanna – è calmo come la luce perlacea che rivela luoghi, miti e altri richiami che appartengono alla fotografia di paesaggio delle origini, quando per la prima volta le campagne furono osservate dall'occhio prospettico della machina". In definitiva, l'opera di Angela Rosati può considerarsi una vera e propria metafora dell'identità, da una parte personale e dall'altra del territorio lucano. (L.L.)