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(RegioneInforma) INVASIONE CINESE, PREOCCUPAZIONI ANCHE IN BASILICATA

11 luglio 2005

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(ACR) - Le popolazioni immigrate di molti Paesi europei stanno vivendo una fase di forte inclinazione al lavoro autonomo. Da uno studio pubblicato dalla CNA- Confederazione Nazionale Artigianato Piccole e Medie Imprese- e Union Camere con il contributo del Dossier Caritas/Migrantes, si rileva che, se nel passato l'esercizio del lavoro autonomo era considerato unicamente come commercio abusivo e ambulante, oggi gli immigrati tendono a metter su imprese e aziende individuali semplici, raramente dalle formule cooperative. Diversamente dal lavoro dipendente privo di percorsi di avanzamento e svolto in condizioni difficili nelle mansioni più basse, lo sbocco imprenditoriale risponde, infatti, ad esigenze di aspirazione di carriera e mobilità sociale, venendo a relegare nel passato vecchi steriotipi sulla posizione dell'immigrato nelle nostre società. Il numero dei titolari d'impresa con cittadinanza estera al 30 giugno 2004 in Italia è risultato essere pari a 71.843, con un incremento del 27% rispetto all'anno precedente. Tra i gruppi più numerosi al primo posto troviamo quello marocchino, il 20% della totalità degli imprenditori immigrati, successivamente quello cinese, il 14%, poi quello albanese, appena il 9%. L'imprenditore straniero nella fuga dalle tradizionali formule di lavoro dipendente e nella sua ricerca di soluzioni autonome si avvale del sostegno economico dei familiari e del gruppo di appartenenza per il reperimento del capitale iniziale e dalla loro disponibilità, pressocché assoluta, come personale dipendente nell'impresa. Poi la bassa qualificazione tecnico-professionale, che rende possibili prezzi altamente concorrenziali, fa tutto il resto! Solo per fare qualche esempio si calcola che in Lombardia ci sono 18.414 imprese con cittadinanza estera, in Emilia Romagna 8.216, nel Lazio 7.312, in Campania 2.334, in Basilicata appena 54. E se pur le Regioni che maggiormente hanno subìto negli ultimi tempi un incremento di presenze di immigrati imprenditori sono Marche (+49%), Emilia Romagna e Lazio (+33%), Veneto (+31%), mentre il sud rimane (per fortuna!) ben poco attrattivo, con Molise e Basilicata in coda, è pur vero che lo spuntare di negozi dalle lanterne rosse all'ingresso è evidente anche a noi! Il "problema" cinese c'è e diventa sempre più preoccupante come vera minaccia alla nostra economia. Tuttavia ricorrere all'imposizione di dazi doganali, come ha proposto la Lega, non sembra la soluzione migliore: hanno sapore di ristrettezze commerciali passate, di un protezionismo che paesi evoluti hanno relegato negli anni bui delle dittature e che ora apparirebbero solo come misure antistoriche. E' invece, auspicabile, l'introduzione di misure anti-dumping, cioè di salvaguardia dalla pratica sleale di vendere sottocosto e l'eliminazione di tutti i dazi, in primis di quelli che il gigante asiatico impone obbligando, ad esempio, un produttore di calzature italiano a un dazio d'ingresso del 30%. Occorre una governance del processo di globalizzazione che contenga la "concorrenza asimmetrica" della Cina: gli occhi a mandorla, forti di una svalutazione artificiosa della loro moneta del 35% rispetto all'euro, con l'unica arma del dumping sociale e commerciale e totalmente privi di vincoli ambientali e di contraffazione, sono un fiume difficilmente arginabile specialmente nell'importazione di abbigliamento e calzature sottocosto. E' prassi orami comunissima registrare un marchio in Italia, richiedere la licenza per l'importazione dalla Cina di milioni di pezzi di biancheria, camicie e magliette che saranno venduti a prezzi sleali. La questione spinosa è di competenza della Commissione Europea. Ma in questa sede sembra che l'Italia corri da sola in strenua difesa del suo prezioso made in Italy. I Paesi del Nord Europa, infatti, tradizionalmente più dediti al trading che alla produzione, ben gradiscono l'acquisto a buon prezzo sui mercati asiatici e non appoggiano facilmente le nostre richieste di clausole di salvaguardie e regole per competere alla pari. Da più parti si grida che occorre difendere il made in Italy, ma è pur vero che, allo stesso tempo, è fondamentale investire su ricerca e innovazione e andare alla ricerca di nuovi mercati. La nostra piccola Basilicata, non sfugge a questi rischi di carattere mondiale, né possiamo dirci al sicuro dai gravi risvolti, non solo economici, di una globalizzazione falsata dall'assenza di regole del gioco comuni e eque. Il polo del salotto di Metera, bell'esempio di prezioso made in Italy orgogliosamente lucano, ha risentito non poco della minaccia cinese e dei contraccolpi del fin troppo favorevole cambio euro-dollaro. Così, nell'attesa di diverse congiunture economiche e dei soccorsi di mamma Europa, Nicoletti guarda con ambizione ai nuovi mercati della Nuova Zelanda e dell'India dove sanno apprezzare la qualità di divani e sofà e non ragionano solo in termini di prezzi e portafogli. E nella speranza che gli equilibri del commercio mondiale si ristabiliscano presto, ci possiamo consolare tenendoci strette le pregiate bottiglie di Aglianico del Vulture e di Terre dell'Alta Val D'Agri che, insieme alle numerose altre aziende vinicole lucane, hanno riscontrato un enorme apprezzamento e gratificante risonanza a livello europeo alla trentanovesima edizione del Vinitaly. Il vino sì che è difficilmente imitabile… E a proposito di vino, lungi dal confondere sacro e profano, vile commercio e aura di santità, con un azzardo direi che la soluzione al problema è stata forse sfiorata: se il misterioso cardinale in pectore che Giovanni Paolo II si è portato nella tomba, fosse stato davvero il famigerato "cinese" di cui si è parlato e se, proprio questi, il Conclave avesse designato al sacro soglio Pontificio, avrebbe forse Lui, e meglio di chi altri, illuminato il suo Popolo. (C.L.)

Redazione Consiglio Informa

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