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(RegioneInforma) "IL TALLONE DI ACHILLE"
15 luglio 2005
“Melfi: la vulnerabilità della produzione snella”
(ACR) - Il lavoro di Paolo Caputo trae spunto dalle manifestazioni conflittuali dei lavoratori di Melfi che per 21 giorni consecutivi, dal 19 aprile al 9 maggio 2004, hanno bloccato la produzione dello stabilimento "fiore all'occhiello" di Fiat Auto, delle aziende fornitrici e di quasi tutte le altre fabbriche Fiat italiane. "Soltanto dopo 4 giorni di sciopero", scrive l'autore, "la protesta dei lavoratori del comprensorio produttivo lucano aveva già determinato l'arresto di una parte considerevole della produzione della multinazionale dell'auto di Torino. A causa del mancato arrivo dei componenti da Melfi, infatti, il 23 aprile avevano sospeso l'attività gli stabilimenti di Mirafiori, Termini Imerese e Sevel di Val di Sangro, complessivamente 7.500 dipendenti". La lotta dei lavoratori di Melfi ha richiamato l'attenzione generale sul tema delle condizioni di vita e di lavoro in Fiat e all'interno delle fabbriche dell'indotto. Improvvisamente, sono emerse tutte le questioni che, nel corso degli anni, "hanno silenziosamente covato sotto l'apparente gestione consensuale e partecipativa della forza lavoro, sostenuta e pubblicizzata da gran parte dei sindacati e propagandata dall'ideologia aziendale". Nonostante le decine di convegni e di libri sulla "fabbrica integrata" di Melfi, eretta a simbolo dalla Confidustria per gli alti livelli di produttività e i salari bassi, i nodi sono arrivati al pettine. Anche se, secondo l'autore, alcuni cambiamenti nei rapporti tra management e lavoratori intervenuti negli ultimi anni avrebbero dovuto far riflettere attentamente su ciò che stava accadendo in Fiat e, in particolare, all'interno della Sata e delle aziende a essa collegate. Se si considera l'incidenza dell'assenteismo in Sata, che in diversi periodi dell'anno tocca punte superiori del 10%, il numero di lavoratori che hanno abbandonato, spontaneamente o meno la fabbrica, l'aumento degli operai colpiti da malattie professionali legate a "patologie da movimento e sforzo ripetuto", (attualmente sono oltre mille gli operai Fiat ai quali è stata riconosciuta la cosiddetta limitazione), non si dovrebbe rimanere sorpresi delle manifestazioni conflittuali dei lavoratori di Melfi. C'è anche da dire che, negli ultimi anni, si è registrato un progressivo aumento dei carichi di lavoro, passando a una gestione del personale di natura prettamente autoritaria, come dimostrano i numerosi provvedimenti disciplinari che, negli ultimi tre anni, hanno investito gran parte dei lavoratori, soprattutto in Sata, portando, in alcuni casi, a "licenziamenti individuali arbitrari o, quanto meno, discutibili". La vittoria conseguita con la lotta dei 21 giorni a Melfi non può rimanere un Ricordo, né un episodio isolato, ma è necessario occuparsi di Melfi e degli stabilimenti del Sud, area dove è concentrato il grosso della produzione automobilistica del Gruppo, per affrontare dal punto di vista istituzionale e sindacale le condizioni legate alla messa appunto di un piano industriale adeguato. Attualmente, nello stabilimento di Melfi, sono in corso interventi di miglioramento, nel settore della lastratura, dei circuiti elettronici e specialmente della robotica, per rafforzare la qualità del prodotto, in attesa di iniziare la lavorazione del prototipo149. Lo stabilimento di Melfi, il più produttivo del gruppo, e quello di Avellino dove si fabbricano motori, nel 2000 hanno chiuso i conti economici con un saldo netto di profitti di oltre 1400 miliardi di lire. E' evidente, quindi, che il Mezzogiorno può contribuire fortemente a risollevare le sorti della Fiat, ovviamente con gli opportuni interventi nel processo tecnologico, nella qualità e con il lavoro "buono". Anche perché, sembra paradossale, ma è vero, le sorti degli stabilimenti del Nord-Ovest sono strettamente connessi al ridisegno complessivo del processo industriale che parte dal Sud. Decisione, quella di costruire un nuovo stabilimento produttivo in un contesto socio- economico individuato come "greenfield", la piana di San Nicola di Melfi e, al cui interno, implementare i principi organizzativi della Fabbrica Integrata, presa dalla direzione della Fiat nel corso degli anni '90 del secolo scorso. "…. La Fiat punta, come luoghi "realizzazione piena" della fabbrica integrata, sui nuovi stabilimenti in costruzione al Sud, in quanto ritiene che solo in uno stabilimento interamente nuovo, dal layout fino al tipo forza-lavoro a tutti i livelli, tale modello innovativo possa avere adeguata attuazione", e quanto affermarono a suo tempo Cerreti e Rieser. Per Fiat Auto il contesto ambientale e socio-economico di Melfi offriva i presupposti adeguati per la sperimentazione, fin dall'inizio, cioè fin dalla fase della progettazione, dei nuovi principi organizzativi e gestionali della Fabbrica Integrata. In effetti, l'operatività e la produttività dell'impianto lucano, almeno per 10 anni, hanno dimostrato l'adeguatezza della localizzazione inizialmente scelta dalla direzione aziendale. Tuttavia, il bilancio tracciato nel libro di Caputo su dieci anni di vita dello stabilimento Fiat di Melfi, mette in luce alcuni aspetti che vanno ulteriormente indagati e che sono strettamente legati alle prospettive dell'intero Gruppo automobilistico. Ci si riferisce, in particolare, alla gestione e all'attuazione del piano industriale "confezionato" da Damler che non pare ottenere tutti i risultati sperati, sia sul terreno del rientro dall'indebitamento, sia sul piano delle vendite. "Fiat", scrive Pietro Simonetti, Presidente del comitato di coordinamento istituzionale per le politiche del lavoro della Regione Basilicata, "ha ora una quota del 7% sul mercato europeo a fronte del 18% di qualche anno fa. Siamo oltre il dimezzamento. Il recente taglio dei livelli occupazionali nell'area piemontese, la riduzione della capacità produttiva a Mirafiori e in Polonia, oltre alla quasi chiusura dello Stabilimento di Cordoba, e il ricorso alla cassa integrazione nel periodo natalizio per lo stabilimento di Melfi danno la misura della crisi del Gruppo. Anche indebitamento non è migliorato, nonostante la cessione di importanti rami della Holding". La ricerca dell'autore ha tentato di affrontare alcune tendenze e atteggiamenti opposti legati al sistema produttivo "snello" messo in campo dal management di Fiat Auto a partire dall'inizio degli anni '90 del secolo appena trascorso. "In particolare", scrive Caputo, " nel corso del lavoro, ci si è soffermati sulle implicazioni e sulle contraddizioni legate ai processi di terziarizzazione, outsorcing e modularizzazione della "catena" produttiva dell'auto intervenuti nel corso dell'ultimo decennio, trasformazioni che in Fiat si sono concretizzate nel passaggio dal modello della Fabbrica Integrata a quello della Fabbrica Modulare". "Quest'ultima", continua l'autore, "oltre ad esprimersi in una differente organizzazione del lavoro prevede l'esternalizzazione di tutte le attività che non fanno parte del core strategico dell'impresa automobilistica, il che implica anche una costante ridefinizione dinamica dei rapporti con le imprese fornitrici". Il testo di Paolo Caputo sui primi anni di Fiat stimola la riflessione su quella che è stata ed è, ma, soprattutto, quella che deve essere, la presenza di una realtà industriale all'interno di un territorio. Commentare il passato è facile, ma non basta, l'elaborazione del futuro è la sfida più avvincente, ma anche la più determinante per la sopravvivenza della realtà industriale in Basilicata. (a.c.)