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(RegioneInforma) IL VULTURE E LA PREISTORIA

11 agosto 2005

Dal parco paleolitico di Notarchirico alle pitture rupestri di Filiano

© 2013 - venosacastello2.jpg

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(ACR) - Nell'area geografica del Vulture, contraddistinta da un'antica attività vulcanica, è stata documentata, a seguito di approfondite ricerche, una delle più significative concentrazioni di insediamenti preistorici nella penisola italiana. Le prime testimonianze, riferite alla frequentazione umana del bacino di Venosa, risalgono ad un periodo compreso tra 600.000 e 150.000 anni fa, nel corso del Paleolitico Inferiore. Provengono dalla collina di Notarchirico, a circa nove chilometri da Venosa, e dalle grotte artificiali di Loreto e Notarchirico di Venosa, note sin dagli inizi del Novecento per la presenza di manufatti in pietra e resti osteologici di grandi mammiferi vissuti in quell'area in epoca preistorica. Nel giacimento di Notarchirico, scoperto nel 1979 e indagato tra il 1980 ed il 1985, è stata documentata una sovrapposizione stratigrafica di oltre undici livelli di sedimenti, costituiti da depositi di origine vulcanica e da quelli tipici di ambienti fluviali. L'analisi dei reperti paleobotanici e faunistici ritrovati a Loreto ha confermato la presenza di un bacino lacustre formatosi a seguito delle eruzioni del monte Vulture mentre, nel sito di Notarchirico, è stata ritrovata una fauna costituita per lo più da elefanti, bisonti, daini, uccelli, rettili, micromammiferi, da riferirsi ad un clima temperato-caldo, tipico di un ambiente forestale. La presenza di quegli animali e i numerosi manufatti litici ritrovati (bifacciali o amigdale, ciottoli scheggiati, selci lavorate, piccoli utensili) attestano come l'attività principale di quegli uomini primitivi fosse rappresentata dalla caccia. Il ritrovamento di un femore umano di un individuo femminile adulto di Homo erectus, vissuto circa 300.000 anni fa, conferma, inoltre, la frequentazione umana in quell'area. Al parco archeologico di Notarchirico (visitabile in sito su richiesta) e alla preistoria è dedicata una specifica sezione espositiva nel castello "Pirro del Balzo", sede del Museo archeologico nazionale di Venosa. Il percorso cronologico va dal Paleolitico fino all'Età del bronzo ed è arricchita da reperti riguardanti l'area del Vulture prima dei Greci. Vi sono esposti i ritrovamenti del Paleolitico provenienti da Notarchiro e Loreto, quelli del Neolitico di altre località (Rendina, Leonessa, Toppo Daguzzo) e quelli risalenti all'Età del bronzo rinvenuti a Lavello. La prima sezione della mostra documenta la presenza umana nella regione del Vulture, sia in epoca preistorica che protostorica. La seconda attesta le diverse tappe delle attività di scavo e il formarsi delle prime collezioni preistoriche riguardanti l'area, soprattutto ad opera di mons. Rocco Briscese, il quale seguì nel 1914 gli scavi condotti da Ugo Rellini in località Terranera, proseguendoli negli anni 1929-1930. La notevole collezione di reperti preistorici raccolti da Briscese fu donata, dal suo erede Savino, al Comune di Venosa ed ora è esposta, in parte, nel museo. In quella stessa sezione uno spazio significativo è dedicato anche ad altre celebri figure di archeologi, come Luigi Pigorini che fondò l'omonimo Museo preistorico etnografico di Roma. Nella terza sezione della mostra il visitatore può ammirare le preziose testimonianze che vanno dal Paleolitico al Mesolitico, provenienti dal bacino pleistocenico di Venosa e da quello di Atella. Dopo l'esplorazione del sito di Loreto negli anni Cinquanta e quella del giacimento di Notarchirico, fu avviata negli anni Settanta anche la ricognizione sistematica dell'area del bacino di Atella. Ciò ha portato alla delimitazione dell'antico bacino pleistocenico e alla ricostruzione dei differenti perimetri del paleolago, le cui vicende si intrecciarono con le attività parossistiche del Vulture. Anche in quell'area i reperti più antichi sono quelli riguardanti la cosiddetta industria litica del Paleolitico inferiore (choppers e bifacciali in quarzite, con raschiatoi, grattatoi, bulini denticolati e punte, ottenuti in selce da piccoli ciottoli), ritrovati in notevole quantità in territorio di Filiano e in quello di Atella. In quest'ultimo centro, nelle vicinanze del cimitero, sono emersi grossi bifacciali realizzati con radiolite porosa ed altri, più accurati, realizzati con quarzite. Sono stati inoltre ritrovati strumentari in selce dalle dimensioni microlitiche, che non trovano riscontri in altri repertori classici. Migliaia di manufatti confermano, dunque, l'intensa attività su quelle sponde lacustri di uomini vissuti tra i 630.000 e i 550.000 anni fa che cacciavano l'uro (progenitore del bue), il bisonte, l'elefante antico, il cervo. Gli scavi e i risultati delle ricerche riferite al sito di Atella, condotti da Edoardo Borzatti von Lowenstern, Vianello, Vannucci e Sozzi, hanno documentato in quell'area l'esistenza di due siti dove sono stati ritrovati i resti di un Palaeoloxodon antiquus, ma anche un molare, frammenti di ossa e denti attribuibili a diversi elefanti antichi. Di questi ultimi sono state individuate due impronte di zampe dello stesso animale, impantanatosi non lontano dalle rive del lago perché attaccato da quei cacciatori stagionali e nomadi che sfruttavano a loro vantaggio il peso e la mole degli animali. Per colpirlo usavano amigdale leggere dalla forma asimmetrica oppure ovolare, idonea al trasporto e al lancio a gittata lunga. Tutto questo chiarisce meglio anche le diverse modalità di caccia ed i comportamenti venatori dell'Homo erectus, il quale, dopo essere riuscito a distaccare l'animale dal branco, spaventandolo con il fuoco e lanciandogli pietre, lo costringeva ad impantanarsi, come nel caso dell'elefante di Atella. Lavorando la pietra su scheggia i cacciatori ricavavano inoltre oggetti per scarnificare, tagliare e spezzettare gli animali abbattuti. Altri materiali risalenti al Paleolitico superiore, fine del Pleistocene, sono stati individuati, inoltre, nella piana di San Nicola a Melfi. Nel Vulture, forse per l'emissione di gas e vapori legata all'attività vulcanica, è stata constatata l'assenza di "culture" legate alla presenza umana dal Paleolitico superiore (36.000 anni fa) al Mesolitico (9.500 anni fa). Ad alcuni gruppi umani del Mesolitico, che vissero attorno a Tuppo dei Sassi, si devono, invece, le pitture rupestri di Filiano. Su quelle rocce è raffigurata caccia, interessante per la disposizione delle figure e l'introduzione di vari soggetti. Quell'area rappresenta oggi un importante punto di riferimento della preistoria italiana: un insediamento di notevole importanza, protetto dallo Stato con l'istituzione di un'apposita riserva antropologica. (I.S.)

Redazione Consiglio Informa

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