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(RegioneInforma) "UN COMUNE LUCANO NELL'OTTOCENTO: PICERNO"
12 agosto 2005
(ACR) - Agli inizi del secolo scorso, si assistette a un fiorire di monografie sui vari comuni lucani, sull'onda della pubblicazione, avvenuta nel 1889, dell'opera di Racioppi: "Storia dei popoli della Lucania e della Basilicata". "Lo scopo", scrivono gli autori, "o meglio uno degli scopi, che ha animato questo lavoro è stato, ed è, quello di restituire una indagine su Picerno non isolata, ma implicitamente intrecciata con gli eventi nazionali ed europei." "Scegliendo, - continuano gli autori - dopo ampie discussioni interne, un periodo storico lungo l'Ottocento, abbiamo inteso scorgere attraverso di esso similitudini e differenze, velocità e ritardi, rotture e continuità, originalità e luoghi consolidati della storia locale con eventi storici di più ampio respiro". Questo lavoro intende collocarsi all'interno di quel filone di studi che ha come campo d'indagine la storia del "paese" e che, negli ultimi decenni del Novecento, ha trovato attenzioni e ampi sviluppi critici, soprattutto, nell'ambito della stroriografia francese. Il libro è scritto a più mani, da Assunta Arte, Damiano Gianturco, Tommaso Russo, Giuseppe Pronesti, "perché coprire un secolo intero non è cosa agevole". Il primo capitolo è stato scritto da Damiano Gianturco, aviglianese. Il secondo capitolo da Tommaso Russo, picernese di origine. Don Giuseppe Pronesti ha scritto il terzo capitolo, indagando nelle vicende della Chiesa che tanto peso ha avuto e ha ancora, nella storia locale. Assunta Arte si è mossa tra libri e "case palazziate" per restituire un ricco patrimonio librario. "Abbiamo volutamente - leggiamo nella prefazione - lasciato da parte i luoghi comuni della "Lucania", della "Picernesitudine" e, soprattutto, dell'immobilità, dell'arretratezza permanente, della civiltà contadina. Non abbiamo pregiudiziali contro siffatti luoghi teorici. Semplicemente riteniamo che non ci sia stato, né c'è, un periodo storico, lungo o corto, antico, moderno o contemporaneo, in cui essi si sono dati, si sono manifestati, hanno prodotto movimenti oggettivi, hanno sposato interessi, hanno modificato assetti proprietari o armato uomini per un ideale". Nei tornanti cronologici settecenteschi vissero a Picerno ricchi "bottegai", speziali, dottori fisici, notai, avvocati, massari di campo, ma anche barbieri, falegnami, muratori, fabbri, "viaticali". Tra le famiglie che hanno vissuto a Picerno, spicca la famiglia del barone Carelli collocata quasi ai vertici della gerarchia sociale, sia per la consistenza patrimoniale, che per il peso politico e di "status". I Carelli possedevano terre, vigne, case, boschi e animali, abitavano a Picerno in una casa palazziata "sita nella contrada denominata "sopra la Piazza", contenuta in più membra". Il palazzo aveva un ampio giardino, un grande salone e una grande stanza con una ricca biblioteca. Questi luoghi rappresentavano le sedi del "lusso" e della "socievolezza urbana". Nell'Ottocento lucano e picernese, i fermenti sociali e culturali, le ansie e le aspirazioni politiche, la quotidianità dei comuni, dei paesi si manifestarono in modo non uniforme sul territorio regionale. Di conseguenza, anche a Picerno si ebbero fasi di accelerazione e di stasi, incontrando resistenze e spinte verso il cambiamento. "I processi di mobilità sociale nella comunità locale, sembrano essere più evidenti e vivaci nella prima metà dell'Ottocento". Intorno al 1820 e al 1848, gli anni a ridosso dell'Unità, sembra di assistere, nella trama comunale, a "fasi di assestamento e di successivi riassestamenti" in cui famiglie scompaiono dalla scena perché vanno via, si trasferiscono altrove; altri nuclei compaiono e "occupano gli spazi lasciati vuoti…". Per quanto concerne la popolazione di Picerno, si osserva un andamento demografico ascendente fino 1861, anno dopo il quale, tale andamento comincia a decrescere. La popolazione picernese crebbe fino al 1771, per poi "ripiegare" fino al 1820. Risalì da tale anno per giungere, sia nel 1847, che nel 1861, al di sopra dei 4000 abitanti. Da questa data e fino al 1911, Picerno registrò una perdita, in abitanti, pari a 1317 unità, tra uomini e donne. Si scopre, leggendo il libro, che un fattore molto importante per lo sviluppo e la caratteristica dell'andamento demografico picernese, è costitutito dalla favorevole posizione del paese: la presenza, a poche centinaia di metri, della ferrovia e la vicinanza delle strade che, per un versante, lo collegavano a Potenza, e per l'altro versante lo "aprivano" verso Vietri. Questa situazione fece sì che Picerno fosse luogo ambito e percorso da ambulanti, commercianti, viaticali che venivano da altri paesi. Ciò permise ai picernesi di spostarsi, di muoversi, di percorrere il territorio circonvicino. Si vennero, quindi, lentamente a creare microcorrenti di traffico da e per Picerno, con fenomeni di mobilità e di "aperture". Si intrecciarono matrimoni da e con picernesi. Ci fu uno scambio di beni e merci, ma anche una "circolazione" di uomini, di idee, di notizie. Il sistema viario picernese fu, dunque, prevalentemente commerciale, anzi, esso fu la prima struttura commerciale. Dal registro dei battesimi del 1611 si ha la prima notizia certa dell'esistenza della Chiesa Collegiata di Picerno, attualmente Chiesa di San Nicola. La Chiesa fu collocata nel castello dei principi Pignatelli. Nel 1711, la Chiesa di S. Nicola era in condizioni talmente precarie che il "Capitolo" decise di restaurarla e ripararla, affidandone il progetto a Biagio Calenda. A causa del preventivo decisamente alto la ristrutturazione fu rinviata. Tuttavia, anche per ragioni di culto legato alla funzione e alla presenza religiosa della Chiesa, il "Capitolo" decise il finanziamento dell'opera di restauro con il ricavato della vendita del grano presente nei magazzini del monte frumentario del Crocifisso. "Come è noto, i monti frumentari ebbero, fra gli altri, l'obiettivo sia di calmierare il mercato prestando a tassi non esosi, sia di intervenire quando accadevano carestie o scarsi raccolti". Alla fine dei lavori di ristrutturazione, tra il 1728 e il 1729, quando furono portati a termine sia la struttura esterna, sia i soffitti a "tempiata" delle varie cappelle e gli stucchi, la cui realizzazione artistica fu opera del maestro Stefano Langetta, fra il 1754 e il 1757, fu decisa la costruzione del campanile. Giovanni Maria Pignatelli, nel 1725, donò alla Collegiata una piccola estensione di terreno nel giardino del suo castello per completare l'edificio ecclesiastico con la costruzione della sacrestia. "Un atto di magnificenza", scrive Don Giuseppe Pronesti, con il quale i Pignatelli intendevano rinsaldare i loro legami con la Chiesa e ascendere il prestigio e credito agli occhi dei picernesi". La Chiesa fu interessata da un successivo restauro nel biennio 1788-1789. In tale occasione fu aggiunta "la libreria", che corrisponde all'odierno ufficio parrocchiale. "La Collegiata di Picerno era un vero e proprio microcosmo con le sue gerarchie interne, i suoi vincoli, la sua intima strutturazione, le sue regole rigide e la sua ritualità." Essa può essere considerata un vero e proprio sistema, un insieme di attività, di scelte che avevano la loro centralità sulla spiritualità, sulla religiosità degli uomini e delle donne, le loro credenze e la loro fede. Il numero dei sacerdoti non variò molto nel corso dell'Ottocento, anche se il numero di 33, il più alto, fu raggiunto negli ultimi anni del secolo XVIII. Nel 1821, i sacerdoti a Picerno erano 26, 22 nel 1838, sette anni dopo, nel 1845, scesero a 18. Da sottolineare il fatto che erano tutti nativi e residenti a Picerno. Il terremoto del 1857 danneggiò gravemente la Chiesa Madre, e il campanile. Dopo il 1870, la Collegiata continuò nella sua quotidiana azione religiosa, di perpetuazione della ritualità, delle processioni e delle festività. La storia di Picerno è ben lungi dall'essere scritta del tutto. Si dovrà ancora continuare a scavare e a indagare, a ricercare, a individuare periodi storici vicini e lontani, dai quali far emergere il complicato e affascinante gioco di luci e ombre che ha interessato questa comunità. (a.c.)