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(RegioneInforma) "VACANZA IN BASILICATA"

12 settembre 2005

Un ragazzo di Milano scopre, tra l’altro, il paesino di “Pietrapertosa”

© 2013 - pietrapertosa.jpg

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(ACR) - "Vacanza in Basilicata" è un romanzo scritto da Giovanni Angiolo Rubino, romanziere, pubblicista, poeta. Scrittore dalla vena ispirata, opta coscienziosamente per il sogno e per il paradosso sembrandogli momenti assai più felici della realtà, specialmente quella fatta di abitudini e di noia quotidiana. Infatti, "Vacanze in Basilicata", è un romanzo scritto usando l'immaginazione. Narra l'esperienza di un ragazzo, Fiore, milanese che decide di andare in vacanza in Basilicata, visitandone una buona parte ma, in particolare, un paesino, Pietrapertosa. Il motivo che porta Fiore in Basilicata è una grave malattia polmonare, la sua salute ha bisogno di aria salubre, di azzurro, di sole, di pace, e dove poterli rinvenire se non in un paese di qualche migliaio di abitanti, sotteso a una roccia glabra e maestosa? I giorni a Pietrapertosa trascorrevano nella pienezza di colori che avevano il potere di isolarlo in un mondo irreale. Il cielo si presentava limpido davanti ai suoi occhi come una cartolina, le fontanine rupestri dell'Alvituro accendevano il desiderio di bere a lunghi sorsi a ogni passo. E poi, le gigantesche guglie delle rocce con presenze qua e là "monolitiche", il simbolo visivo di un vuoto senza nome che dall'Ariecella arrivava fin giù al vallone di Scieuzo lo inducevano a sogni di un benessere che non esitava a definire spirituale. Dopo appena uno o due mesi, Fiore aveva cominciato ad avvertire un appetito inconsueto, le gote erano andate assumendo un tenero colore rosa e le gambe si erano fatte più robuste. Quando, nello scoprire il paese, il protagonista si trova di fronte alle rovine del castello di Pietrapertosa, "che incorporava il centro di un mondo scomparso" lascia libera la propria immaginazione, che lo porta a "vedere" le battaglie di cui il castello, negli anni passati, è stato testimone. Quell'ammasso di pietre e calcinaccio, che guardava il cielo capovolto senza più tetto, né insegna, né un blasone, raggiungeva l'impeto della sua immaginazione e lo faceva meditare sul potere che hanno i reperti d'interpretare, a volte, il loro stesso mistero. Il ragazzo si rendeva conto che davanti a sé c'era il rottame di quello che era stato un castello. Il profilarsi di una spianata, che poteva essere stata un giardino, e lo sguardo casuale ai ruderi, era bastato, complice la sua immaginazione, per farlo correre dietro a nuove illusorie battaglie. E' l'immaginazione, quindi, che muove la penna dell'autore: "dapprima un inverosimile urlo di vittima che viene sacrificata, poi il rumore delle spade e degli scudi percossi, dei cimieri che volavano… I soldati che cadevano sui due fronti, il sangue, le ferite anche da parte di chi era stato colpito turbinavano nell'osservatore come un disfacimento cosmico. La distesa dei corpi abbattuti ben presto fu enorme". E ancora, "sotto il sole che bruciava le rovine del castello di Pietrapertosa, a 1150 metri sul livello del mare, i nemici con i loro costumi insanguinati avanzavano". Leggiamo che Fiore pensando a Milano, la sua città, rivede Città studi, piazza di Baggio, Sant'Apollinare e, naturalmente, il Duomo con la famosa Madonnina. Com'era grande Milano. Come paragonarla a Pietrapertosa, il paesino lucano, famoso per le sue mini-dolomiti e le loro forme strane: qui una testa di gufo regale, lì un'incudine e una simbolica mascalcia, poi una donna raccolta in preghiera? Capì, fin dal primo giorno della sua vacanza, quando, svegliandosi, vide il mondo presentarsi come se fosse la prima volta, che Pietrapertosa sarebbe stata la sua seconda patria. E finì con l'idealizzarla man mano che passavano i giorni, scoprendo la bellezza dove realmente stava e presagendola o desiderandola anche dove non esisteva. Certo, gli era apparso bello il paese con il sole che penetrava dalle strette finestre dove scoppiavano vasi di prezzemolo e garofani, i camini brontoloni che oscuravano il cielo, la duplice rivelazione della montagna di Caperrino di fronte, e il castello verticale sulla sua testa che lo riempì quasi di paura. "In una trasparenza marina", scrive l'autore, "ma che è degli alberi verdi come olive, il vasto circondario si snoda all'orizzonte lontano da quella, che gli abitanti di qui, chiamano "Croce". La Croce emblema del sacrificio e della gloria, ma in questa luce sempre più bianca dove per poco non ti senti sospeso in un'aria di presagio… Ma il miraggio più singolare del paesaggio, secondo l'autore, è una montagna "scenicamente" perfetta nelle sue "giogaie" che risponde al nome di Caperrino o Coperino. Rimane incantato da Caperrino che è una propaggine dell'Appennino lucano. Si slancia fin quasi a1.500 metri, con la sua cima di San Nicola che è un terrario vuoto di fiori contro il cielo. Da questa montagna, che si affaccia più a luoghi reali che a quelli della mente, sbucano le stagioni. Infatti, i pietrapertosani guardano alla loro montagna come al bollettino meteorologico. Dopo aver vissuto alcuni mesi a Pietrapertosa, l'intera estate, ed essersi integrato tra la gente del luogo, partecipando attivamente alla risoluzione dei problemi sociali, Fiore aveva, tra l'altro, con ragazzi del posto, messo su una squadra al fine di prevenire gli incendi stagionali, che in tutta la campagna pitrapertosana, un po' occasionali, un po' dolosi, abbondavano, Fiore si accorse di essersi molto legato a quel posto, tanto che, al pensiero che il giorno della partenza per Milano si stava avvicinando, cominciò a sentire i primi turbamenti che portavano i segni della nostalgia. Era stata un'estate molto piena per Fiore. Aveva trovato pace, serenità, aveva vissuto così come si vive nei piccoli paesi, apprezzando le cose semplici, genuine, aveva esplorato immense distese di natura incontaminata che lo avevano conquistato fin nel profondo. Lì in quel piccolo paesino di montagna aveva imparato a leggere la natura che, a Milano, gli era all'incirca sconosciuta, aveva colto i sentimenti dei lucani che non sono inafferrabili o preclusivi di amicizia, aveva conosciuto quel calore e quella tenerezza che, ora al momento del distacco, gli sembravano ingigantiti. Ciò che lo colpì in modo straordinario, fu la foresta demaniale di Gallipoli-Cognano, che decise di visitare qualche giorno prima di partire, trasferendosi per uno o due giorni a Gallipoli Alta. Nel fitto della boscaglia, trovò i resti di una civiltà che apparteneva al neolitico. Asce, giavellotti, clave, vasi di terracotta occupavano l'interno di un piccolo istituto di ricerca dalle mura corrose. Su un monticello, la guida gli mostrò le terramare, o meglio il luogo dove si presumeva che ci fossero state. Dal terreno smosso in più punti, erano venuti fuori piatti, vasellame, posate. Uno o due teschi costituivano ancora il punto focale per gli esperti, alcuni dei quali sembravano, addirittura, orientati verso la presenza dell'homo di "Neanderthal", mentre altri sostenevano l'insediamento dell'"homo sapiens". E aveva, anche, visitato una grotta dalle pareti istoriate con la tecnica del graffito, aveva visto, in una valletta disboscata, i grandi monumenti megalitici, e curiosato laddove non mancavano i segni di un agglomerato urbano. Quelli trascorsi a Gallipoli Alta, furono giorni indimenticabili per Fiore. Infine, arrivò l'alba giallastra in cui Fiore si decise a ripartire per Milano."Fiore partiva con la sensazione di vivere non la vita, ma un rappezzo di vita già vissuto". Man mano che il treno proseguiva la sua corsa, Fiore sistematosi vicino al finestrino, guardava i particolari del paesaggio. Ben presto Pietrapertosa "s'era completamente persa" lasciando posto al susseguirsi di altri paesaggi lucani, poi Salerno, Napoli, Roma e poi sempre più a nord, fino a Milano. "Eccomi riassorbito dal cemento e dalla nebbia per sempre" disse il ragazzo con amara rassegnazione. Con il fazzoletto Fiore si asciugò una lacrima. Il ricordo di quell'estate, passato in un paesino lucano dalle mini-dolomiti, sarebbe stato per il ragazzo un'esperienza che mai avrebbe dimenticato, ma che avrebbe portato dentro di sè per tutta la sua vita. (a.c.)

Redazione Consiglio Informa

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