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(RegioneInforma) UN CASO DA ARCHIVIARE: IL DELITTO D'ONORE DI CARLO GESUALDO
16 settembre 2005
(ACR) - Nel 1586 Maria D'Avalos si congiunse in matrimonio con il cugino Carlo Gesualdo, principe di Venosa: per Maria quello era il terzo matrimonio, ed era un'unione che pareva concludere felicemente la sua vita, segnata da una duplice vedovanza. L'unione fu serena per tre anni e venne rallegrata dalla nascita del figlio Emanuele. Nella letteratura occidentale l'amore felice è assai raro, perché i romanzi narrano spesso l'amore minacciato e condannato dalla vita. E proprio come un romanzo procede l'adulterio commesso da Maria, amante del giovane e bellissimo Fabrizio Carafa, duca d'Andria, che le cronache del tempo descrivono come un Adone. Il destino aveva fatto sì che i due si incontrassero in una festa da ballo a Napoli; il duca era peraltro sposato con Maria Carafa e, benché padre di quattro figli, era già noto per le frequenti scappatelle e per il carattere turbolento. Fabrizio e Maria si innamorarono al primo sguardo: ma il loro primo incontro carnale avvenne solo più tardi, in occasione di una passeggiata nei viali di un giardino nel Borgo di Chiaia. Lì, nascosto, il duca aveva atteso la sua amata che, fingendo un malore, si era allontanata dai suoi accompagnatori per raggiungerlo. I loro incontri, dapprima radi, si intensificarono sempre più, fino a infangare agli orecchi di molti il nome di Maria. Al fascino della donna era comunque sensibile più di un cavaliere: tra gli altri anche don Giulio Gesualdo, zio di Carlo. Benché sposato con l'avvenente Lucia Caracciolo (amata dal Tasso), don Giulio si innamorò della nipote Maria: al rifiuto di lei, e avendo scoperto che tradiva il marito, riferì ogni cosa a Carlo Gesualdo. Ricevuta la grave notizia, Carlo rimase stupefatto e, preso dall'orgoglio e dalla gelosia, meditò una terribile vendetta. Il giorno martedì 16 ottobre 1590 egli doveva recarsi ad una delle solite battute di caccia nella tenuta degli Astroni, non lontano da Napoli. Ma nella sua casa le serrature di tutte le porte, in particolare quella della camera di Maria, erano state forzate in modo da non opporre resistenza, anche se esternamente apparivano salde. Carlo finse di partire, ma in realtà si nascose poco lontano, in casa di un parente. Fra i testimoni oculari della strage vi fu Silvia Albana, la cameriera di Maria, che raccontò di aver aiutato lei stessa la signora a far entrare in casa l'amante, il duca d'Andria. Poi, ritiratasi nella sua stanza per dormire, Silvia udì dei rumori provenire dalla camera della padrona: alzatasi, vide Carlo Gesualdo che, esclamando "Ah! Traditora... ti voglio uccidere! Non mi scappi!", lavava la macchia del disonore uccidendo insieme la moglie e l'amante di lei. L'indomani mattina venne al palazzo Maria Gesualdo, marchesa di Vico: fatta vestire Maria D'Avalos e compostone il cadavere mutilato in una bara, la fece seppellire nella cappella di Ferrante Carafa, marchese di San Lucido, accanto al suo primo marito Federico. Il corpo di Fabrizio Carafa, lavato e vestito, fu invece consegnato al gesuita don Carlo Mastrillo. E Carlo Gesualdo? Figlio di un principe, pronipote di un pontefice, nipote di cardinali, egli poté vanificare ogni tentativo di attacco alla sua persona grazie a una vera e propria roccaforte di parentele. All'epoca si versavano fiumi di sangue per i delitti d'onore e i magistrati non osarono intervenire: Carlo non subì neanche un giorno di carcere e, trasferitosi a Ferrara, si risposò con Eleonora d'Este. Nella città romagnola riprese anche a musicare i madrigali che tanto contavano per lui, forse più della vita di due persone. Il caso fu infine archiviato dal Viceré di Napoli, il conte Miranda. Negli atti risulta la seguente annotazione: "Fine dell'informatione che non si proseguita per ordine del Viceré, stante la notorietà della causa giusta dalla quale fu mosso don Carlo Gesualdo, principe di Venosa, ad ammazzare sua moglie e il duca d'Andria". (C.G.)