venerdì, 22 nov 2024 18:50
(RegioneInforma) IMPRESA, SVILUPPO E LAVORO IN LUCANIA
03 ottobre 2005
(ACR) - Poteva sembrare un tema scontato, ormai inflazionato perché sempre in primo piano. Lavoro, ancora lavoro, quello che manca, quello che cambia su scenari mutevoli e competitivi, quello che fa fatica a trovare sbocchi. Un incontro informale per discutere e riflettere su "Impresa, sviluppo e lavoro in Lucania". Questa la tematica affrontata nel salone dell'Istituto Comprensivo scolastico di Bella che ha apportato validi contributi per cambiare rotta cercando di uscire da una situazione stagnante. Sicuramente l'associazionismo, l'introduzione di tecnologie all'avanguardia, la commercializzazione fuori regione e il passaggio dall'attuale fase di produzione a quella di trasformazione della materia prima sono leve su cui puntare per rilanciare l'economia. L'economista Claudio Impenna, ospite della serata, ha illustrato in un dettagliato excursus che ha attraversato un arco di 50 anni, la storia economica del Bel Paese. In tre tappe ha ricostruito la situazione economica passando da un ambito nazionale a quello specificatamente lucano. Tre i momenti centrali: lo sviluppo a partire dagli anni '60-'70 del modello economico italiano, la crisi degli anni '70 fino al declino degli ultimi anni. Un modello retto da un bipolarismo che vedeva contrapposta, da una parte, la grande impresa pubblica e successivamente privata e, dall'altra, la piccola-media impresa che sorge come indotto. La Basilicata in questo contesto è un prototipo, un paradigma. Infatti, regna quello che viene definita "diseconomia", causata da fattori sfavorevoli quali quelli ambientali. Qui si sviluppa un indotto limitato e il tipo di paesaggio che si viene a delineare è costituito da pochi insediamenti produttivi concentrati e manca un disegno di politica industriale. La prima caratteristica da rilevare è che la regione subisce una sorta di colonizzazione economica. Infatti, la classe imprenditoriale che investe è del centro-nord, nella maggior parte dei casi assistiti da interventi di agevolazione pubblica. Questo quadro subisce un primo scossone a partire dagli anni '70 con crisi ripetute e fenomeni di destabilizzazione. L'aumento del prezzo del petrolio e l'instabilità internazionale dei cambi, i maggiori responsabili di questi mutamenti. In più, l'Italia comincia ad uscire da alcuni settori di punta e tecnologicamente avanzati (aerospaziale, chimico), che avevano rappresentato un'eredità tradizionale. La grande impresa subisce dei contraccolpi e viene rimpiazzata dal modello del piccolo-bello. Negli anni '80 in Basilicata non ci sono distretti industriali secondo i dati Istat. Alla base della crisi di questo modello è da segnalare l'ingresso sul mercato di nuovi competitori aggressivi, come la spietata concorrenza dei cinesi. Sicuramente il basso costo del lavoro, la capacità d'innovazione nel tempo e l'entrata della moneta europea unica sono fattori determinanti. In tutto questo il Mezzogiorno d'Italia è svantaggiato da fattori storici (distanza dei mercati di sbocco). Dagli inizi del nuovo secolo si registrano forti problemi per le piccole-medie imprese e la situazione è più fragile al sud. La natalità d'impresa crolla e, attualmente, la Basilicata è relegata agli ultimi posti. Negli ultimi tre anni, con una fase di stagnazione, l'economia regionale si è semplificata. Il polo di Melfi rimane un'incognita; quello del salotto ha problemi di competizione e non ha capacità di reazione; nell'agro-industria ci sono alcune punte di eccellenza nei mercati esteri. In un mondo dove la globalizzazione è diventata schiacciante non ci si può affidare alla domanda interna, ma bisogna aprirsi a mercati esterni. Cosa fare? Il primo problema che si risconta è quello di una dimensione produttiva molto piccola. Tradotto in cifre, vuol dire che, mediamente, le imprese lucane hanno 3,1 dipendenti: un dato molto basso. Normalmente l'impresa è diretta dall'imprenditore e ha dei limiti soggettivi e oggettivi. Infatti, se l'impresa è molto piccola e non reperisce fondi, tenterà a frenare gli investimenti e si consoliderà un meccanismo di nanismo industriale. L'equazione potrebbe essere così chiarificata: se non investo, non cresco. In questo caso viene a mancare la qualità e si punta a limitare i prezzi che comporta un successivo problema di redditività. L'ostilità ad assumere manager esterni e di attingere a manodopera qualificata, risolvendo in parte il problema della disoccupazione intellettuale, resta uno scoglio da superare. Il paradosso è che la manodopera qualificata è costretta ad emigrare proprio da un luogo dove la richiesta è alta. Il tasso d'istruzione in Basilicata è tra i più elevati d'Italia per la scuola superiore, notevole anche l'incidenza di lauree tecniche. Un'offerta di lavoro potenzialmente qualificata che non riesce a trovare collocazione. Bisogna evitare la fuga dei cervelli. Un messaggio lanciato anche dal giovane presidente dell'associazione Voci bellesi, Enrico Stolfi. "Purtroppo" - ha detto con una nota di rammarico e una punta di criticità - manca il connubio tra risorse e occupazione. La disinformazione sulle nuove frontiere lavorative e sulle leggi relative agli investimenti da un lato e la tendenza dei giovani laureati a rimanere nei luoghi dove hanno studiato sono un freno allo sviluppo". Sostanzialmente sono state individuate due leve su cui agire per evitare il collasso: l'innovazione e l'internazionalizzazione. I punti di forza locali sono: i bassissimi tassi di disagio sociale e gli elevati meccanismi di integrazione sociale. "Bisogna pensare - ha concluso Impenna- a un futuro non limitato all'oggi e neanche al portafoglio". "La nostra regione - ha detto l'ex consigliere regionale, Gerardo Mariani, presente all'incontro- non può sperare in un futuro occupazionale nell'industria perché la nostra vocazione è di tipo agricolo, turistico e culturale. Questi sono i fattori trainanti su cui puntare studiando una strategia. Soffriamo di localismi, di logiche partitistiche che spesso ci allontanano dall'obiettivo del bene comune". Una chiave di lettura su cui riflettere e iniziare a programmare il nostro futuro. Quello dai contorni incerti, dalle prospettive in penombra, quello che disegnerà il nostro cammino non solo economico. (I.D.M.)