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(RegioneInforma) "LA FRANCIA, L'ITALIA GIACOBINA, IL MEZZOGIORNO"

14 ottobre 2005

© 2013 - giacobini_3.jpg

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(ACR) - La parte del libro"Popolo Plebe Giacobini", curata da Tommaso Russo, dal titolo "La Francia, L'Italia giacobina, il Mezzogiorno", pone in evidenza come l'Italia, e al suo interno il Mezzogiorno, aderì ai grandi mutamenti, che dalla seconda metà del secolo XVIII erano in atto in tutta l'Europa, con una grande varietà di orientamenti e di risultati che corrisposero alla molteplicità di Stati e Ducati che componevano la geografia politica italiana del Secolo XVIII. "Per la Penisola - scrive Tommaso Russo - questi anni segnarono una grande svolta: per la prima volta essa non si ritrasformava in campo di battaglia per eserciti e ciò costituì un indubbio fattore di tranquillità". Leggiamo che la relativa stabilità favorì nella coscienza collettiva degli abitanti dell'Europa, un clima di maggiore sicurezza, specie ai livelli più alti delle gerarchie sociali, fra nobili, i ceti borghesi in ascesa e, in modo particolare, gruppi di intellettuali. Questa sorta di "rinnovata fiducia" influenzò anche la produzione culturale, dalle arti figurative alla speculazione "filosofica". Si assiste, così, alla comparsa e alla crescita di un nuovo pubblico fruitore di opere d'arte, di musica, di teatro, di letture di vario genere. L'Italia e il Regno di Napoli non furono estranei a questo generale fervore culturale, ai fermenti innovatori nelle arti, nella ricerca filosofica, ai tentativi di riformare le strutture amministrative ed economiche. Tant'è che, nella seconda metà del secolo decimottavo, il Regno di Napoli può definirsi un laboratorio in cui vennero sperimentandosi, tra intellettuali, clero regalista, personale politico-amministrativo e gruppi sociali, significative alleanze anche se non sempre organiche e del tutto definitive. Questo rinnovato clima si poteva "respirare" anche in Basilicata. Infatti, lentamente e progressivamente i ceti lucani delle professioni civili, i borghesi, i notai, i massai di campo, gli speziali, gli esponenti più sensibili e colti del clero, costruirono le loro case palazziate intorno al perimetro della piazza per voler, comunque, ricordare la centralità delle sedi dove si svolgevano le funzioni del potere. Presso il fondo archivistico, l'Amministrazione dei Beni dei Rei di Stato, nei volumi che riguardano la Basilicata, fornisce preziose e utili indicazioni per ricostruire gli arredi interni e gli oggetti e i mobili delle case palazziate, di proprietà degli inquisiti. Le biblioteche delle nuove famiglie lucane hanno libri che mostrano un discreto livello di attenzione alle novità. I Carelli di Picerno, ad esempio, possedevano nella stanza detta "Dello Studio" la diderottiana Enciclopedia. Interessante, per i volumi di medicina e per quelli di agricoltura, era anche la biblioteca dei Gaimari di Picerno. Anche i numerosi ordini monastici presenti nella Basilicata settecentesca avevano fornite e interessanti biblioteche. Se si pensa che la regione era priva di vie che potessero agevolmente metterla in comunicazione con altre regioni, appare allora veramente significativa la quantità di libri, opere, di volumi, presenti nelle case dei nuclei familiari lucani più in vista. "Un ulteriore elemento - scrive Russo - che testimonia la solidità culturale del quadro regionale è la presenza di illustri lucani, a Napoli ma anche fuori dal Regno che occupano posti di notevole rilevanza". Lo scenario della società meridionale del diciottesimo secolo si caratterizza per un diffuso "gioco di luci e di ombre, di convivenza tra elementi avanzati e fattori di arretratezza, di fasi di crisi come quella collocabile tra il 1759 e il 1764 e fasi di ripresa, come quella del periodo 1767-1788". A queste tendenze non fu estranea la Basilicata. Un'analisi più specifica consente di ritrovare "nell'ordito regionale" i contrasti "chiaroscurali" e i modi con cui la regione partecipò con proprie specificità alle vicende meridionali, a partire almeno dalla visita di Carlo III. La notizia che il Re avrebbe visitato anche una parte della Basilicata, "nel freddo e piovoso inverno del 1735" si diffuse con rapidità e fu accolta con curiosità dalle popolazioni; mentre da parte delle Università e dei nobili fu atteso con ansia e animazione poiché a essi toccavano le cerimonie ufficiali, le accoglienze e i ricevimenti. Un altro evento importante che attraversò l'Europa del'700, fu la rivoluzione demografica, fenomeno che interessò anche la Basilicata, soprattutto, dagli anni '30. Il ciclo in crescita, sebbene con ritmi, fasi, e tempi diversi da regione a regione della Penisola, permette di "recuperare i vuoti della popolazione italiana dovuti alle epidemie, alla peste, famose quelle del 1630 e del 1650. Tuttavia, "nonostante questi movimenti - afferma l'autore - la regione aveva un volto ancora e prevalentemente feudale. Grandi feudatari erano i Reperta, i Riario Sforza, i Sanseverino, i Torella, i Pignatelli, i Doria. Altra grande famiglia feudale furono i Caracciolo, Marchesi di Brienza e principi di Atena". Si evince, quindi, che il complesso delle attività sia dei grandi nuclei feudali che del piccolo e medio baronaggio, non "fuoriusciva dal tradizionale orizzonte feudale: il lavoro servile, l'"eternità" della rendita, la dispersione nella fase del suo reimpiego". Tuttavia, nel corso degli ultimi decenni del secolo XVIII, vennero maturando, nella regione, alcune evidenti contraddizione fra i ceti sociali; si fece più urgente la necessità di trasformare i rapporti di proprietà nelle campagne, aumentò l'aspirazione dei piccoli proprietari alla reintegra delle loro modeste proprietà. Nel clima del "complotto aristocratico", la reazione popolare che si concluse nel massacro delle Tuileries del 10 agosto 1792, si aprì il periodo del "Terrore": terrore popolare. I massacri di massa si diffusero in molte zone dell'Europa parallelamente al diffondersi dei principi ispiratori della Rivoluzione. Infatti, è in questi anni che può essere datata la nascita di una sorta di "partito giacobino" europeo, "la cui durata temporale fu breve e la cui estensione non corrispose però allo spessore culturale del fenomeno". Dopo la partenza di Carlo III da Napoli, qualcosa cominciò a incrinarsi lentamente, era maturata in loro la consapevolezza di una maggiore autonomia e la certezza di un maggiore peso "nella trama della società civile meridionale". Infatti, i decenni che precedettero il '99, in Basilicata, furono caratterizzati da lotte persistenti per affermare i diritti delle Università, principalmente nelle elezioni, e per rivendicare proprietà feudali o demaniali usurpate. Di volta in volta, il fenomeno si manifestò come rivolta vera e propria, insurrezione, sommossa, assalto, scoppio improvviso. Anche la modalità delle lotte era fortemente evocativa: corteo, suono di campane, uso di strumenti agricoli come armi, tumulto della folla che assalta il palazzo baronale, simbolo del potere, sfonda i portoni massicci, sciama nelle stanze alla ricerca di atti e documenti da bruciare, infine il fuoco come elemento catartico che brucia i segni e simboli dell'arroganza baronale. Negli anni dal 1784 al 1970, in ben trenta paesi lucani, si hanno violente rivolte contro l'ingerenza baronale nelle elezioni. La lotta dei picernesi contro il governatore, Don Raffaele Caiafa, durò due anni, dal 1762 al 1763, fino a quando la Regia Udienza non lo incriminò di "indebita carcerazione in persona del Notar Stefano De Meo e del Magnifico Felice Caivano". L'epicentro del movimento repubblicano, giacobino e democratico, fu costituito dai paesi del Bradano, del Basento, del Marmo-Melandro, del Sauro Camastra: Vaglio, Oppido, Cancellara, Potenza, Picerno, Pietrapertosa, Calvello, Tito, Muro, Avigliano, Tolve e Albano. Qui operarono i migliori esponenti della borghesia lucana e gli intellettuali più vivaci. Ciò che è sottolineato nel libro è, da un lato la numerosissima presenza di donne e, dall'altro la non trascurabile partecipazione del clero. Infatti, le donne parteciparono all'occupazione delle difese, agli incendi dei libri e dei documenti catastali, spesso diressero in prima persona gli assalti alle prigioni per liberare i detenuti: "Memorabile la strenua difesa delle donne di Picerno dalle bande dello Sciarpa". L'esperimento lucano delle Municipalità del '99 si chiuse con il massacro sanfedista effettuato da Sciarpa e dalle sue truppe contro Picerno. Nonostante l'impiego di un alto numero di armati sanfedisti, la partecipazione di molte Guardie civiche di altri paesi a difesa di Picerno, abilmente organizzata dai fratelli Gaimari, Picerno fu sconfitto. Il suono pesante e triste delle campane che accompagnò la caduta di Picerno aveva gli stessi lugubri rintocchi delle campane che da Luglio a Dicembre 1799 accompagnò le migliaia di giovani che salirono sul patibolo a Piazza Mercato, a Napoli. (a.c.)

Redazione Consiglio Informa

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